VALIER, Pietro
– Nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Samuele, il 13 aprile 1575, secondogenito dei sei figli di Gian Alvise e di Paola Bernardo di Lorenzo.
Fu lo zio, il cardinale Agostino Valier, a indirizzarlo alla carriera ecclesiastica e a fargli avere alcuni benefici. Il 2 dicembre 1601 venne cooptato nell’Accademia padovana dei Ricovrati, da poco fondata dal futuro cardinale Federico Corner e di cui facevano parte anche Silvestro Aldobrandini, nipote del papa, e Galileo Galilei. Alle adunanze dell’Accademia, dove figurava come ‘il Cauto’, Valier partecipò regolarmente fino a tutto il 1605, comparendo dal gennaio del 1603 con i titoli di dottore in teologia e di canonico padovano. A Padova la sua famiglia possedeva una casa in contrà San Massimo, di cui si servì Valier, che a Venezia visse soltanto gli anni dell’infanzia; poi dovette seguire le indicazioni dello zio, che poco prima di morire riuscì ad assicurargli il titolo di referendario della Segnatura apostolica, dietro impegno a rinunciare al canonicato padovano (1607).
Nel 1609 Valier ebbe il governatorato della cittadina marchigiana di San Severino e l’anno dopo di quella umbra di Todi, ma un progresso decisivo nella sua carriera si ebbe il 18 maggio 1611, allorché fu creato vescovo titolare di Famagosta, nell’isola di Cipro. Non tornò a Venezia: rimase al servizio della S. Sede come governatore di Spoleto dal 20 febbraio 1614 al 1616, quindi di Orvieto, sommando all’incarico quello di nunzio apostolico in Toscana dal 27 giugno 1616 fino al 18 maggio 1620, dando prova di notevole abilità nel risolvere taluni problemi diplomatici fra i Medici e il pontefice e fra quest’ultimo e i Gonzaga. La nunziatura ebbe termine con la traslazione di Valier all’arcivescovato di Creta dalla sede di Famagosta, sulla quale peraltro si riservò una pensione di 800 scudi annui «pro personis nominandis» (Hierarchia catholica..., 1935, p. 168).
A Roma aveva saputo contrarre utili amicizie, dal momento che nel suo ultimo concistoro Paolo V lo creò cardinale con il titolo di S. Salvatore in Lauro (11 gennaio 1621); giusto in tempo per partecipare al conclave apertosi neppure un mese dopo, l’8 febbraio, che portò all’elezione di Gregorio XV. Nella circostanza Valier si schierò con il partito più forte, guidato dal cardinale Scipione Borghese Caffarelli, ma seppe anche prendere le distanze dalla linea sostenuta dal conterraneo cardinale Giovanni Dolfin.
In seguito fu un susseguirsi di nomine e conseguimenti di nuovi benefici: in particolare, il 22 giugno 1622 divenne membro della congregazione de Propaganda Fide, della quale vennero chiamati a far parte eminenti cardinali e prelati, con il potere di vigilare sulla predicazione e l’istruzione religiosa nelle missioni cattoliche e promuovere la diffusione della fede nel mondo. Nello stesso anno Valier divenne abate del monastero di S. Ambrogio di Nona, in Dalmazia, e a novembre fu coinvolto in una serrata, poco edificante e infine fallita trattativa con il cardinal nipote Ludovico Ludovisi e il vescovo Federico Corner; la posta in palio era l’abbazia veronese di S. Zeno, che sarebbe toccata a Ludovisi in cambio del conferimento del cappello cardinalizio a Corner, che a sua volta avrebbe ceduto a Valier l’episcopato padovano.
Qualche mese più tardi, il 19 luglio 1623, si apriva un nuovo conclave che avrebbe portato all’elezione di Urbano VIII. La scelta del nuovo pontefice fu combattuta, perché erano molti i cardinali stimati papabili; decisiva fu pertanto la seduta del 6 agosto, nella quale Valier seppe schierarsi con il partito vincente dei Barberini.
Ne derivò una nuova promozione, consistente nella traslazione dal vescovato cretese a quello di Ceneda; inoltre Valier ottenne, alcuni mesi dopo, la commenda del monastero di S. Crisogono (Zara), presto seguita, il 9 marzo 1624, dal priorato di S. Maria del Monte (Conegliano); pressoché contemporaneamente, il 18 marzo 1624, lasciava il titolo di S. Salvatore in Lauro per assumere quello di S. Marco.
Tale nomina comportava la possibilità di risiedere a Roma nel grande palazzo appartenente alla Repubblica marciana, che vi ospitava i suoi cardinali e gli ambasciatori. Nonostante la vastità dell’edificio e dei suoi giardini, era aperto un annoso contenzioso fra le due istituzioni, quella laica e quella ecclesiastica, per la disponibilità degli spazi; la questione si riaccese quando Valier, tornato a Roma dopo aver preso possesso della diocesi padovana, cui era stato traslato il 18 agosto 1625, andò ad abitarvi nell’aprile del 1626. Ambasciatore della Repubblica era Pietro Contarini, allora propugnatore di istanze giurisdizionaliste non già per motivi ideologici, ma politici (il contrasto veneto-pontificio per la questione della Valtellina) e personali, ossia riconducibili alla sua famiglia. Donde i dissapori con Valier, terminati solo l’anno dopo, quando il cardinale tornò a Padova; qui i suoi rapporti con i rettori furono di tutt’altro segno, come testimonia il podestà Girolamo Lando, il quale in data 19 ottobre 1627 scriveva al Senato che il vescovo cardinale «così absente come presente, ci ha dato sempre segni assai chiari di filiale osservanza a questa Serenissima Patria» (Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, IV, a cura dell’Istituto di storia economica dell’Università di Trieste, 1975, p. 226).
Morì a Padova il 5 aprile 1629, a soli cinquantaquattro anni, dopo aver lasciato tutti i suoi averi al capitolo di quella cattedrale, dove fu sepolto.
Molto devoto alla Madonna, aveva fondato in suo onore tre notevoli cappelle a Verona, Padova e nell’isola lagunare di Santa Maria delle Grazie, dove furono collocati il busto suo e dello zio Agostino, l’uno e l’altro opera di Gian Lorenzo Bernini, cui Valier li aveva commissionati durante il soggiorno romano del 1626. Smantellata la cappella nel 1810, questi busti Valier sono ora ospitati nella Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro, a Venezia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. 1, 20, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, p. 173; Senato, Dispacci, Firenze, f. 33, c. 238v; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, IV, Podestaria e capitanato di Padova, a cura dell’Istituto di storia economica dell’Università di Trieste, Milano 1975, pp. 225 s.; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1601 ad annum 1605, a cura di F. Zen Benetti, Padova 1987, pp. 251, 402, 430, 432, 494, 501, 512, 525, 541, 561, 609, 630, 667; Giornale della gloriosissima Accademia Ricovrata. A. Verbali delle adunanze accademiche dal 1599 al 1694, a cura di A. Gamba - L. Rossetti, Padova 1999, pp. 41, 87, 93, 106 s., 117 s., 123, 126 s., 131, 137.
N. Orlandi, Oratio ad illustriss. et ampliss. cardinalem Petrum Valerium..., Coneglani 1624; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, Roma 1931, pp. 29, 33, 104, 230, 239, 244, 714 (nell’Indice dei nomi figura erroneamente sotto il lemma Valiero Agostino); Hierarchia catholica Medii et Recentioris aevi, IV, a cura di P. Gauchat, Monasterii 1935, pp. 14, 168, 184; A. Maggiolo, I soci dell’Accademia Patavina dalla sua fondazione (1599), Padova 1983, p. 346; V. Martinelli - A.M. Gunter, Notizie su Agostino e P. V. cardinali di San Marco, veneti a Roma. Su le vicende di due ritratti berniniani in marmo da Roma a Venezia, in La regola e la fama. San Filippo Neri e l’arte (catal., Roma), a cura di C. Strinati, Milano 1995, pp. 98-107; A Pizzati, Commende e politica ecclesiastica nella Repubblica di Venezia tra ’500 e ’600, Venezia 1997, pp. 78, 154, 323, 338, 345; C. Scarpa, Venezia a Roma: il palazzo di San Marco. Documenti, in La storia del Palazzo di Venezia: dalle collezioni Barbo e Grimani a sede dell’ambasciata veneta e austriaca, a cura di M.G. Barberini - M. De Angelis d’Ossat - A. Schiavon, Roma 2011, pp. 86, 91, 155, 157, 162-167; I cardinali della Serenissima. Arte e committenza tra Venezia e Roma (1523-1605), a cura di C. Furlan - P. Tosini, Cinisello Balsamo 2014, pp. 166, 224, 229 s., 302.