RAIMONDI, Pietro
RAIMONDI, Pietro. – Nacque a Roma il 20 dicembre 1786 da Vincenzo e da Caterina Malacari.
Studiò contrappunto e composizione con Giacomo Tritto nel conservatorio di S. Maria della Pietà de’ Turchini di Napoli. Sebbene avesse debuttato come operista a Genova, la pluridecennale attività di musicista e di insegnante di Raimondi si svolse quasi interamente nel Meridione d’Italia, tra Napoli e la Sicilia. Al San Carlo di Napoli, il massimo teatro italiano dell’epoca, il 15 agosto 1811 presentò la cantata L’oracolo di Delfo, su libretto di Saverio Scrofani, con scarsa fortuna. Dal 1815 al 1820 fu maestro di cappella ad Acireale, dove si cominciò ad affermare la sua fama di abile contrappuntista; di una Messa di Requiem con alcune sezioni per venti parti reali arrivò a far cenno la Allgemeine musikalische Zeitung (14 aprile 1819, n. 15, col. 249). Tornato a Napoli, Raimondi ebbe una seconda occasione al San Carlo: tuttavia nel marzo 1820 Ciro in Babilonia, libretto di Giovanni Battista Bordese, soccombette al confronto con il Mosè in Egitto di Gioachino Rossini, replicato negli stessi giorni. Stando a un viaggiatore inglese, John Waldie, «Ciro in Babilonia [...] was dull and different far from the magnificent combinations in the music of Mosè in Egitto [...] The end was so flat that the composer was not called for, and the opera hissed...» (The Journal of John Waldie, 19 marzo 1820).
Sempre nel marzo del 1820 Raimondi avrebbe collaborato alla composizione della Messa di gloria del Pesarese, secondo testimonianze non pienamente dimostrabili né verificabili, ma comunque sintomatiche della fama di abile contrappuntista che egli si era guadagnato (Rosenberg, 1995). Il 27 ottobre 1823, con regio decreto, Raimondi fu aggregato all’Accademia di belle arti di Napoli, e l’anno dopo ottenne forse il riconoscimento più prestigioso della carriera: fu nominato direttore musicale dei reali teatri di Napoli. Nel 1825 andò a sostituire il defunto Tritto come maestro di contrappunto e composizione nel Real Collegio di musica (Memorie, 1867, pp. 34 s.).
Gli anni napoletani non furono privi di conflitti. Raimondi sarebbe stato il responsabile di alterazioni e tagli alla partitura del Pirata di Vincenzo Bellini rappresentato per la prima volta a Napoli il 30 maggio 1828 (suscitando lo sdegno dell’autore; cfr. le lettere di Bellini a Francesco Florimo del 7 e 21 giugno 1828, in Vincenzo Bellini..., 1943, pp. 101 s., 116-118), e già due anni prima avrebbe mosso pesanti critiche circa la condotta armonica di alcuni passi di Bianca e Fernando. Va anche detto che, se da un lato Bellini era oltremodo suscettibile e sospettoso nei confronti dei colleghi, dall’altro rientrava nei compiti e nei doveri di Raimondi, come direttore musicale del teatro, apportare le modifiche da lui ritenute utili in funzione del nuovo cast, come avveniva di consueto all’epoca (cfr. Rosenberg, 1999, pp. 91, 95).
Dal 1823 al 1838 Raimondi mise in scena in prevalenza opere comiche, spesso con parti in dialetto napoletano, nel Teatro Nuovo e nel Teatro del Fondo di Napoli. Ottenne il suo maggior successo operistico con Il ventaglio (ed. in facsimile dello spartito edito da Cottrau, a cura di Ph. Gossett, New York-London 1989), andato in scena al Nuovo il 19 aprile 1831, libretto di Domenico Gilardoni tratto dall’arcinota commedia di Carlo Goldoni.
Nel 1833 Raimondi arrivò a Palermo, e vi rimase quasi vent’anni. Il decreto reale del 2 giugno lo nominò contemporaneamente professore di contrappunto al collegio di musica e maestro direttore fisso al Real Teatro Carolino, con uno stipendio annuo pagato per tre quarti dal teatro e per il rimanente dal collegio (Memorie, 1867, pp. 34-38). A Palermo fu apprezzato più come insegnante che come direttore del teatro, meno ancora come compositore di opere: nessuna vi fu rappresentata fino a Sveno, 1838, librettista Giuseppe Sapio.
Raimondi lasciò Palermo nel 1852; il 12 dicembre fu nominato maestro della Cappella Giulia in S. Pietro, il posto più illustre cui potesse aspirare un compositore di musica sacra (Kantner, 1979, pp. 139 s.). In realtà, da anni Raimondi mirava a un impiego stabile nella città natale, tale da consentirgli di abbandonare gli impegni, per lui ingrati, nel teatro Carolino (e la circostanza che dal 1838 in poi abbia composto solo quattro opere è un indizio tangibile del declino della carriera di operista). A tal fine si era cimentato in un’impresa inusitata, volta ad accreditarlo come un’autorità indiscussa nel campo della musica sacra: nel 1847-48 aveva dato vita a un ‘triplo’ oratorio per voci, coro e orchestra, Putifar – Giacobbe – Giuseppe, su testo di Sapio, eseguito con grande risonanza nell’agosto del 1852 al teatro Argentina di Roma. Nell’ultima pagina dell’autografo si legge, di pugno dell’autore: «Questi tre Oratorj possono eseguirsi isolatamente, ciascuno da sé. È indifferente eseguire per primo piuttosto uno che l’altro [...]. Per la riunione ed esecuzione contemporanea dei tre oratorj (principal subietto di questo lavoro), i tre corpi di esecutori debbono essere situati ad una conveniente distanza fra loro, perché ciascun corpo possa procedere indipendentemente dagli altri» (Rosenberg, 1993, p. 328). Il successo della première favorì una ripresa nel 1853 al teatro Apollo di Roma e un’altra nel 1857 in Palazzo Vecchio a Firenze, in occasione della visita di Pio IX.
Raimondi in realtà non era nuovo a tali opere contrappuntistiche sperimentali, eseguibili sia separatamente sia simultaneamente, secondo una concezione ‘scientifica’ piuttosto singolare nell’Italia musicale del tempo: dal 1829 al 1846 aveva composto una ventina di fughe, tutte con le medesime caratteristiche combinatorie (Rosenberg, 1993, pp. 322 s.). Significativo il titolo della pubblicazione Ricordi di Fughe quattro in una dissimili nel modo: opera scientifica (1846), al pari di Il nuovo genere di scientifica composizione: andamenti di Basso numerati con una, due o tre armonie («Palermo 1844» si legge nell’autografo, pubblicato poi da almeno tre editori). Su quest’ultima opera, determinante nell’affermazione del ‘basso imitato e fugato’, esercizio ancora vigente nelle scuole di composizione dei conservatòri italiani (Stella, 2007, pp. 166 s.), così si espresse l’autore: «Parmi di avere in essa col mio poco ingegno raccolto quanto per me poteasi in fatto di novità non che di difficoltà non tentate finora da altri, e di avere mostrato [...] che si dura fatica, ma si giunge pur finalmente dall’uom pensatore a penetrare i recessi d’una scienza, e ad allargarne i confini» (Memorie, 1867, p. 48). Raimondi arrivò persino a concepire un’opera comica (I quattro rusteghi) e una seria (Adelasia) eseguibili separatamente oppure congiuntamente: ma il progetto rimase incompiuto.
Nel complesso Raimondi scrisse una dozzina di opere serie, circa il triplo di opere comiche e decine tra oratori e opere ecclesiastiche (Memorie, 1867, pp. 9 s.). Un giudizio su Raimondi, in fondo condivisibile ancor oggi, si deve a Rossini, che dichiarò all’amico Ferdinand Hiller nel 1855: «In cose del genere [scil. il triplo oratorio] era veramente molto abile e si è cimentato nelle combinazioni più avventurose. Al contrario la sua musica per il teatro era brutta e noiosa, e soltanto con uno dei suoi ultimi lavori, Il ventaglio, ha fatto un po’ di fortuna» (Gli scritti, 1992, pp. 128 s.).
Ebbe per allievi Pietro Platania, Federico Ricci e Lauro Rossi. Fu sposato a Domenica Casaccia, ed ebbe un figlio di nome Vincenzo (Florimo, 1882, p. 100).
Morì a Roma il 30 ottobre 1853, «lasciando la sua famiglia sprovista di ogni mezzo di susistenza» (Rossini a Michele Costa, 7 ottobre 1861, in Rosenberg, 1995, p. 91).
Fonti e Bibl.: The Journal of John Waldie. Theatre Commentaries, 1799-1830, tXLV/184, 19 marzo 1820, https://escholarship.org/uc/item/ 337260v6#page-19 (29 gennaio 2016); F. Regli, Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici [...] che fiorirono in Italia dal 1800 al 1860, Torino 1860, pp. 432 s.; Memorie intorno a P. R., raccolte ed annotate da F. Cicconetti, Roma 1867 (contiene P. Alfieri, Necrologia di P. R., già in L’Album. Giornale letterario e di belle arti, Roma, 19 novembre 1853, XX, n. 39, pp. 296-298, nonché lettere di e a Raimondi, e documenti vari); F. Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi Conservatorii, III, Napoli 1882, pp. 96-101; Vincenzo Bellini, Epistolario, a cura di L. Cambi, Milano 1943; L. Kantner, Aurea luce. Musik an St. Peter in Rom 1790-1850, Wien 1979, pp. 63-65, 106-113, 341-343; Gli scritti rossiniani di Ferdinand Hiller, a cura di G.J. Joerg, in Bollettino del Centro rossiniano di studi, XXXII (1992), pp. 63-155; J. Rosenberg, Notes on Pietro Raimondi’s “Triple Oratorio”, in Ottocento e oltre. Scritti in onore di Raoul Meloncelli, a cura di F. Izzo - J. Streicher, Roma 1993, pp. 319-338; Id., Rossini, Raimondi e la “Messa di gloria” del 1820, in Bollettino del Centro rossiniano di studi, XXXV (1995), pp. 85-102; Id., Il ‘leista’ Raimondi contro il ‘durantista’ Bellini, in Francesco Florimo e l’Ottocento musicale, a cura di R. Cafiero - M. Marino, Reggio Calabria 1999, pp. 75-97; G. Stella, Partimenti in the age of romanticism, in Journal of music theory, LI (2007), pp. 162-168; G. Rostirolla, Musica e musicisti nella basilica di San Pietro: cinque secoli di storia della Cappella Giulia, Città del Vaticano 2014, pp. 833-843.