PIETRAMELLARA VASSE, Pietro
PIETRAMELLARA VASSÉ, Pietro. – Nacque a Bologna il 9 settembre 1804 dal marchese Lorenzo e dalla nobile Carlotta Teodora Sampieri Scappi.
La famiglia aveva antiche origini transalpine: il capostipite del ramo italiano, Adamo Vassé, era sceso nella penisola nel 1265 al seguito di Carlo I d’Angiò, partecipando come capitano di cavalleria alla conquista del Regno di Sicilia. Il cognome Pietramellara, acquisito in seguito dai discendenti, derivava dalla località di Pietramelara, nel Casertano, di cui la casata ebbe la giurisdizione.
Compiuti gli studi liceali nel collegio militare di Venezia, Pietramellara conseguì a ventitré anni la laurea in giurisprudenza all’Università di Bologna. Propensioni personali e tradizioni familiari lo indirizzavano tuttavia verso il mestiere delle armi e i secolari rapporti tra i Pietramellara e la dinastia Savoia favorirono nel 1829 l’entrata di Pietro al servizio di Carlo Alberto. Arruolatosi come cadetto fra i granatieri della guardia, ottenne in breve tempo il grado di tenente. Proprio nell’ambiente militare prese forma la sua prima esperienza politica, con il coinvolgimento nei progetti insurrezionali mazziniani del 1833, che avrebbero dovuto portare la rivoluzione nel Regno di Sardegna. Pietramellara diede un significativo contributo all’azione di proselitismo della Giovine Italia fra i gradi intermedi dell’esercito: allo scoppio dell’insurrezione avrebbe dovuto guidare la compagnia di granatieri scelta per occupare il forte dello Sprone a Genova e innalzarvi il tricolore. Dopo il fallimento del progetto, Pietramellara fu colpito dalla repressione che coinvolse anche chi fosse giudicato semplicemente a conoscenza delle trame o lettore di libri sediziosi. Sfuggì alla pena capitale, ma fu condannato al carcere: dopo due anni scontati al forte di Fenestrelle, le relazioni e l’influenza della sua famiglia gli valsero la liberazione. La madre, dama dell’ordine della Croce stellata, ottenne infatti che la condanna gli fosse commutata nell’esilio dal Regno di Sardegna, da scontarsi a Bologna.
La carriera militare sembrava definitivamente preclusa a Pietramellara, che al rientro nella città d’origine, nel 1835, fu ammesso all’esercizio dell’avvocatura. Nel 1837, per ulteriori istanze della madre, ebbe la revoca completa delle misure di rigore adottate nei suoi confronti dal governo sardo. In realtà, lungi dal far davvero ammenda dei suoi trascorsi rivoluzionari, egli stava radicalizzando le proprie convinzioni politiche: tanto che nel 1843, quando, secondo i progetti mazziniani, nell’Italia meridionale, in Toscana e nelle Legazioni avrebbero dovuto scoppiare insurrezioni simultanee, Pietramellara svolse un ruolo rilevante nel comitato bolognese e nello sfortunato tentativo di far sollevare Imola da parte della colonna rivoluzionaria di Ignazio Ribotti. La repressione che ne seguì lo colpì assai più seriamente che nel 1833: apprese di essere stato condannato a morte in contumacia, quand’era ormai riuscito a riparare in Corsica. Approdato in Francia, si stabilì a Châteauroux e in seguito a Parigi, guadagnandosi da vivere come insegnante di italiano e impiegato nelle ferrovie.
L’elezione di Pio IX (1846) e i provvedimenti che fecero inneggiare al ‘papa liberale’ aprirono a Pietramellara la prospettiva del ritorno in patria: rientrò a Bologna nel 1847 e diede il suo contributo all’organizzazione della guardia civica cittadina, mettendo a frutto la propria esperienza militare.
Si era ormai alla vigilia del biennio rivoluzionario 1848-49, che coincise con la fase più significativa e intensa della vita di Pietramellara, citato nei documenti coevi anche come ‘Mellara’. A Bologna, nella primavera 1848, incontrò di nuovo Giovanni Durando, nominato comandante delle truppe pontificie, che aveva conosciuto durante la sua esperienza giovanile nellʼesercito sardo. Da lui fu incaricato di organizzare un battaglione di fucilieri con ferma militare, arruolando in gran parte giovani disoccupati o senza fissa occupazione: erano coloro che all’epoca rientravano nella categoria degli ‘oziosi’, individuati come potenziali veicoli di disordine, specie in fasi storiche particolarmente accese. Assunto il comando del VI battaglione fucilieri con il grado di maggiore, Pietramellara, disobbedendo come Durando agli ordini di Pio IX, prese parte con i suoi uomini alla prima guerra d’indipendenza e partecipò alla difesa di Vicenza fino alla resa della città il 10 giugno 1848. Seguendo la sorte delle altre truppe capitolate, il battaglione ripassò il Po e raggiunse Bologna il 16 agosto, quando già la città, otto giorni prima, aveva resistito vittoriosamente alle truppe austriache. A fine agosto il battaglione si spostò a Cento, dove fu riorganizzato e assunse il nome di VI battaglione bersaglieri: Pietramellara fu confermato comandante e promosso al grado di tenente colonnello. Fra novembre 1848 e gennaio 1849 i bersaglieri furono dislocati a Ferrara, Argenta e Lugo, mentre Pietramellara si impegnava a difendere i suoi uomini da accuse di indisciplina e rissosità più o meno fondate, riconducibili sia all’irrequietezza tipica delle truppe non professionali nelle fasi di inattività, sia ai pregiudizi sociali e politici di cui quel corpo era oggetto.
Destinato a Roma, il battaglione raggiunse la città il 4 febbraio 1849, cinque giorni prima della proclamazione della Repubblica. Durante la primavera, Pietramellara e i suoi uomini entrarono da protagonisti nel corso degli eventi. Un contingente fu inviato a Civitavecchia il 23 aprile 1849 per presidiare la città in vista dell’imminente sbarco delle truppe francesi del generale Nicolas-Charles Oudinot: a testimonianza delle intenzioni ostili di quest’ultimo, Pietramellara e i suoi bersaglieri furono disarmati e fatti prigionieri, potendo far ritorno a Roma solo il 30 aprile. Durante la resistenza della Repubblica all’offensiva francese il battaglione contese agli assedianti la linea delle ville del Vascello, dei Quattro Venti, Pamphili e del convento di S. Pancrazio, partecipando ai combattimenti del 3, 4 e 5 giugno, quando Pietramellara subì la ferita che il 5 luglio 1849 lo portò alla morte.
Fu protagonista negli scontri anche il fratello di Pietro, Lodovico (1822-1886), ufficiale del battaglione fin dai tempi della sua costituzione, in seguito volontario garibaldino nel 1866 e nel 1867.
Le esequie di Pietramellara si svolsero nella chiesa romana dei Ss. Vincenzo e Anastasio, con grande affluenza di commilitoni e di popolo, ma furono funestate dall’intervento delle truppe francesi, ormai padrone della città, che interruppero la cerimonia strappando la coccarda tricolore dal cappello del defunto tanto da ispirare a Michelangelo Pinto e al suo illustratore Antonio Masutti una caricatura dal titolo Oltre la tomba ogni rancor non tace (M. Pinto, Don Pirlone a Roma. Memorie di un italiano dal 1º settembre 1848 al 31 dicembre 1850, III, Torino 1850, tav. CCX). Non mancò a Pietramellara un ulteriore riconoscimento postumo in quella che era ormai la capitale d’Italia: il suo ritratto scultoreo fu collocato nel 1886 tra i busti che sul Gianicolo celebrano i difensori della Repubblica Romana.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Miscellanea dei volontari delle campagne 1848-1849, bb. 87, 88; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo speciale Vassé Pietra-mellara, su cui si può consultare la presentazione di M. Fanti, Frammenti dell’archivio Vassé Pietramellara nella Biblioteca comunale dell’Archi-ginnasio, in L’Archiginnasio, LXIII-LXV (1968-1970), pp. 517-531. Si vedano inoltre: M. D’Ayala, Vite deglʼitaliani benemeriti della libertà e della patria morti combattendo, Firenze 1868, pp. 317-320; F. Bertolini, P. P. e i suoi tempi. Discorso letto il 1º gennaio 1885 all’inaugurazione del busto del colonnello dei bersaglieri romani e pubblicato per cura del Municipio di Bologna, Bologna 1885; A.G. Barrili, Con Garibaldi alle porte di Roma (1867). Ricordi e note, Milano 1895, pp. 37, 39, 43, 54 s., 63, 66, 88,111,133-136, 143, 152 s., 157, 191, 255, 281; N. Morini, Il battaglione Pietramellara. Notizie, in L’Archiginnasio, X (1915), pp. 255-264; A. Sorbelli, Un’autobiografia del marchese Lodovico Vassé Pietramellara, ibid., XI (1916), pp. 68-71; G. Mazzini, Scritti editi e inediti, XXV, Imola 1918, p. 132 s.; F. Cantoni, Una lettera inedita di P. P., Roma 1929; P. Schiarini, P., P., in Dizionario del Risorgimento nazionale dalle origini a Roma capitale, III, Fatti e persone, a cura di M. Rosi, Milano 1933, p. 876; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana. Appendice, II, Milano 1935, p. 472; G. Natali, Il battaglione bersaglieri Pietramellara (12 aprile 1848-5 luglio 1849), in Rassegna storica del Risorgimento, XXIII (1936), 3, pp. 1247-1274; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino 1962, pp. 420, 422, 878; F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il ‘partito dʼazione’ 1830-1845, Milano 1974, pp. 106, 377, 379-384, 386, 392, 396, 398, 400; P. Zama, La rivolta in Romagna fra il 1831 e il 1845. I giudizi dell’Azeglio, Mazzini, Farini, Capponi, Montanelli e altri, Faenza 1978, pp. 40, 66 s.; Palazzo Vassé Pietramellara, a cura di V. Fortunati, Bologna 2009.