GALEOTTI, Pietro Paolo (Pietro Paolo Romano)
Nacque a Monterotondo, presso Roma, intorno alla fine del secondo decennio del Cinquecento. Benvenuto Cellini (1558-68, p. 341) lo descrive di umili origini e di padre ignoto. Il Milanesi (in Vasari [1568], V, 1880) lo indica al contrario come figlio di un Pietro di Francesco che per primo lo avrebbe indirizzato all'arte orafa.
Stando a quanto afferma il Cellini (nell'autobiografia [1558-68], 1973, p. 174), il G. fin da "piccol fanciulletto" fu a Roma presso la sua bottega e poco dopo, con ogni probabilità, a Firenze, dove il maestro si era rifugiato in seguito alle vicende del sacco del 1527. Nel 1529 il Cellini tornò a Roma come "maestro delle stampe" nella Zecca romana, mentre "Pietro Pagolo da Monte Ritondo" rimase a Firenze e andò a lavorare presso "un certo Bernardonaccio orafo il quale non lo trattava molto bene" (si tratta, con ogni probabilità, del gioielliere fiorentino Bernardo Baldini, provveditore alla Zecca di Firenze, odiato dal Cellini: Tassi, 1829, p. 352 n. 2). Intorno al 1535 il Cellini, rientrato per breve tempo a Firenze, riferisce di aver ripreso il G. nella sua bottega dove gli insegnò a mettere i "ferri per le monete": poco dopo, avendo intenzione di partire nuovamente alla volta di Roma, ordinò all'allievo "in che modo egli avev'a mettere le stampe" per l'esecuzione del rovescio di una medaglia del duca Alessandro de' Medici rassicurando quest'ultimo circa l'operato del G. "il quale è un giovane romano, a chi io ho insegnato, che servirà benissimo la Eccelenzia Vostra" (pp. 174-176).
Il 22 marzo 1540, chiamato al servizio del re di Francia Francesco I (tramite il cardinale Ippolito d'Este), il Cellini partì alla volta della Francia insieme con il G. e con un altro suo allievo, Ascanio De Mari. Durante il viaggio il G. fu coinvolto nella rissa seguita all'uccisione da parte del Cellini del maestro della posta di Siena e fu ferito al petto da uno dei figli di questo. Dopo alcuni giorni di convalescenza a Firenze, il G. e i suoi due compagni di viaggio giunsero a Ferrara. Qui furono alloggiati nel palazzo di Belfiore (di proprietà del cardinale Ippolito) ed eseguirono lavori per il duca Ercole II. Verso metà settembre i tre artisti giunsero a Fontainebleau e poco dopo a Parigi.
Quasi nulla sappiamo della prima produzione del G. che deve essere generalmente considerata unitamente a quella del Cellini. Nonostante la commissione per il rovescio della medaglia di Alessandro de' Medici (di cui si ignora l'effettivo compimento), all'inizio della sua attività, il G. lavorò con ogni probabilità ai coni delle monete battute nella Zecca fiorentina: i testoni, le lire con la testa giovanile del duca e il giulio (Galeotti, 1930, p. 60).
La bottega del Cellini nel castello del Petit-Nesle sulla riva sinistra della Senna, assegnatagli da Francesco I, ebbe un successo immediato che continuò anche dopo il 1545, anno del ritorno in Italia del maestro. Il compenso annuo per i due allievi (secondo quanto riferito dal Cellini [1558-68], 1973, p. 313), pattuito personalmente dal maestro con il re Francesco I, era di 100 scudi d'oro. In Francia il G. praticò soprattutto l'oreficeria; e il suo nome, unitamente a quello di Ascanio, compare con regolarità nei registri di pagamento delle opere prodotte nella bottega (De Laborde, 1880). Tra le opere menzionate si segnalano, in particolare, un grande manufatto in argento eseguito nel 1546 per la tavola di Francesco I in collaborazione con l'orafo tedesco Pierre Baulduc e una saliera, realizzata nel 1551, ornata con una figura di Diana, destinata dal nuovo re di Francia Enrico II come dono a Diana di Poitiers. L'ultimo pagamento nel quale compare il nome del G. risale al 1552 e riguarda un bacile d'argento dorato decorato con una figura di nave. Dagli stessi documenti si desume che i due artisti ricevettero compensi anche per portare a termine due piccoli vasi d'argento lasciati incompiuti dal Cellini (forse gli stessi "vasetti cominciati" e lasciati in Francia dall'artista all'epoca della sua partenza per l'Italia: [1558-68], 1973, p. 377). Nei registri della Guardaroba medicea (Supino, 1901) viene inoltre menzionato un vaso d'oro, opera del G. e di Ascanio, da identificare probabilmente con uno dei vasi donati dal Cellini, una volta tornato in Italia, al duca Cosimo I.
Nei registri dell'Hostel de Nesle il nome del G. compare, per quanto menzionato una sola volta, anche nel 1556 (De Laborde, 1880, p. 338): non è escluso si tratti di un atto di falsificazione da parte di Pierre de la Fa, responsabile della contabilità, trovatosi a dovere giustificare il proprio operato in seguito a una convocazione a giudizio, ricevuta anche dai due artisti, per rendere conto delle eccessive spese sostenute dalla bottega. La prolungata presenza in Francia di Ascanio, che continuò a lavorare per il cardinale Ippolito fino al 1563 e che risulta ancora abitare a Parigi nel 1566, induce a pensare che egli, e dunque anche il G., furono riconosciuti estranei ai fatti (Plon, 1883, pp. 69 s.).
Da un registro dei conti relativo all'amministrazione dei beni d'Ippolito d'Este in Francia tra il luglio 1548 e il maggio 1549 si rileva che il G. e Ascanio lavoravano anche per il cardinale ricevendo un regolare salario mensile; negli stessi documenti il G. viene chiamato con l'epiteto di "della Frangia" (Campori, 1864, p. 296).
Si tratta sia di lavori minori quali il restauro, la brunitura e la doratura degli oggetti, sia di opere più complesse quali quattro saliere e quattro candelieri ornati con sigilli e cornici, un piede di croce d'altare e numerose coppe e vasi per la tavola (Plon, 1883, p. 68 n. 2).
Nel 1552 il G. tornò a Firenze, come testimonia il pagamento da parte del Cellini per lavori di "rinettatura" del Perseo (in data 1° dicembre: [1565-68], 1857). Nel 1556 il G. chiese al duca Cosimo I la cittadinanza fiorentina per "havere habitato la città di Fiorenza continuamente più che 26 anni, et havere in tal tempo servitola in zeccha più tempo", ottenendola il 24 ott. 1560 (Pini-Milanesi, 1876).
Dopo il ritorno in Italia, il G., impiegato come intagliatore alla Zecca di Firenze insieme con i fratelli Giovanni Paolo e Domenico Poggini, fu attivo soprattutto come medaglista e coniatore di monete; in particolare, secondo il Galeotti (1930) egli lavorò ai coni dei 40 soldi, del testone, del giulio e dello scudo. Delle medaglie eseguite dal G. ne rimangono 78 (Pollard, 1985), di cui solo 8 recano la data di esecuzione che si estende dal 1552 della medaglia di Cristoforo Madruzzo al 1574 di quella con i ritratti di CosimoI e Francesco I de' Medici. Le sue firme risultano essere: "Ppr."; "P.p.r."; "P.p.ro"; "Petrus Paulus. Rom.".
Il G. ritrasse in medaglia personaggi appartenenti ad aree geografiche e sociali diverse (soprattutto di Milano, Genova, Torino e Firenze). Eseguì inoltre medaglie di più esponenti appartenenti a una stessa famiglia, quali i Medici, i Savoia, i Farnese, gli Sforza, i Madruzzo, i Taverna, i Meli Lupi, i Gonfalonieri, i Marini. Tra queste medaglie, molte non sono attribuibili con certezza all'artista, come quella di Gianfrancesco Trivulzio, datata 1548, celebre per la sua diffusione e per la bellezza del rovescio che allude alla brillante carriera dell'effigiato (Hill, 1923). Tra le medaglie riferibili all'ambiente milanese si ricordano quelle che ritraggono Juan de Figueroa, Gabriel de Cueva, Giovanni Battista Castaldo, Isabella Visconti, Barbara Borromeo, Alessandro Caimo, Francesco Taverna, Gerolamo Cardano, Girolamo Figino, Giovanni Paolo Lomazzo. Quest'ultimo in particolare, ricevuto in dono dal G. il proprio ritratto in medaglia nel 1562, contraccambiò il favore dipingendo un ritratto del medaglista, oggi disperso, e menzionando la medaglia in un sonetto dedicato a Prospero Visconti. Il G. eseguì anche la medaglia dello scultore Alessandro Colin e dell'orafo e incisore di placchette Valerio Belli. Legate all'ambiente genovese sono le medaglie di Giovanni Battista Grimaldi, Leonardo de Marini, Tommaso e Andrea Marini; a quello torinese-sabaudo, quelle di Emanuele Filiberto e di Carlo Emanueledi Savoia e del poeta e condottiero astigiano Federico Asinari. Un altro significativo gruppo di medaglie è legato alla milizia di Carlo V: fra le altre, quelle di Giacomo Medici, Fernando Álvarez de Toledo, e Alberico Lodrone. Si ricordano anche le medaglie di Francesco Cornelio Musso e del cardinale Carlo Carafa.
Una produzione così vasta, apparentemente seconda nel Cinquecento solo a quella di Pastorino Pastorini, e l'alta qualità dell'esecuzione, soprattutto dei rovesci, procurarono al G. grande fama come si desume anche da un sonetto (1555) di B. Varchi. Anche il Vasari dedica parole d'elogio a una delle opere più celebri del G., i rovesci della serie di 12 medaglie celebrative del governo di Cosimo I (dall'immagine di Pisa "quasi tornata nel suo primo essere per opera del duca" a palazzo Pitti "magnifico e regio": [1568], VII, 1881, pp. 542 s.).
Dei tre tipi di ritratti presenti sul recto, il G. eseguì il secondo, datato 1567 circa, e il terzo, databile tra il 1567 e il 1568. Entrambi furono utilizzati per altre due coniazioni della serie: l'ultima, databile a dopo il 1569, per la presenza nella leggenda del titolo granducale assunto in quell'anno da Cosimo I. Il Johnson (1976) ipotizza che, nell'esecuzione dei rovesci, il G. si sia direttamente rivolto alla medaglistica classica e agli elementi allegorici della tipologia monetaria romana. Secondo Pollard (1983) e Scorza (1988) è tuttavia passato inosservato il fatto che fu un ignoto letterato a ideare il programma figurativo della serie, che deriva quasi interamente dalla decorazione del cortile di palazzo Vecchio, ideato da Vincenzo Borghini, nel quale comparivano medaglioni "all'antica".
Databile tra il 1550 e il 1560 è l'unica opera che attesti l'attività del G. come scultore: un busto in bronzo firmato raffigurante Ottavio Farnese in veste di imperatore romano, di chiara derivazione celliniana (Pollard, 1985).
Negli anni 1575-76 il G. lavorò per la Zecca pontificia (Bertolotti, 1885); né sembra esservi ragione di dubitare della sua presenza a Roma (Forrer, 1904) per la mancanza di medaglie papali firmate dall'artista. Dalla documentazione raccolta dal Martinori (1918, XI, p. 78) emerge infatti che autori dei coni dei primi tre anni del pontificato di Gregorio XIII furono Ludovico Leoni, detto il Padovanino, e Lorenzo Fragni; nel 1575, tuttavia, in occasione della preparazione di monete e medaglie per il giubileo, vennero chiamati, come incisori di coni, altri artisti tra i quali Domenico Poggini e il Galeotti.
Il G. morì a Firenze il 19 sett. 1584 (Milanesi, in Vasari [1568], V, 1880).
La critica concorda nel notare una particolare predisposizione del G. per i rovesci fini e pittorici, "celliniani", in contrasto con i busti dei dritti dal rilievo molto più marcato (Habich, 1923; Hill - Pollard, 1967). A dispetto dell'elogio del Vasari, abilmente redatto allo scopo di celebrare il duca, il Pollard (1985) nota che proprio la serie di medaglie per Cosimo I manca di creatività e qualità. Talvolta debole nell'esecuzione delle figure, il G. risulta particolarmente abile nella raffigurazione di paesaggi e nella resa del dettaglio. È stato osservato inoltre (Habich, 1923) che, nonostante sia nato nei pressi di Roma e abbia lavorato a Firenze, l'artista mostra di subire l'influenza del gruppo di medaglisti milanesi orbitanti attorno a Leone Leoni, tra i quali il figlio di questo Pompeo, Iacopo Nizzola da Trezzo, Annibale Fontana, Antonio Abondio. Rispetto alla produzione di questa scuola (Scher, 1996), nel G. si riscontra tuttavia un fare maggiormente miniaturistico, più delicato, che risalta soprattutto nella lavorazione dell'argento.
Fonti e Bibl.: B. Cellini, La vita (1558-68), a cura di G. Davico Bonino, Torino 1973, pp. 174-176, 192, 297, 313, 341, 375, 377; Id., I trattati dell'oreficeria e della scultura… (1565-68), a cura di C. Milanesi, Firenze 1857, p. 256; G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, p. 390 n. 1; VII, ibid. 1881, pp. 542 s.; B. Varchi, Opere… (sec. XVI), a cura di A. Racheli, II, Trieste 1830, n. CCCCXCIV; F. Tassi, in Vita di B. Cellini…, Firenze 1829, pp. 351 s. nn. 1 s.; G. Campori, Documents inédits sur les relations du cardinal Hippolyte d'Este et de B. Cellini, in Gazette des beaux-arts, XVII (1864), pp. 292-296; C. Pini - G. Milanesi, La scrittura di artisti italiani (sec. XIV-XVII), III, Firenze 1876, n. 209; L. De Laborde, Les comptes des bâtiments du Roi (1528-1571), II, Paris 1880, pp. 330 s., 333-339; E. Plon, B. Cellini, orfèvre, médailleur, sculpteur…, Paris 1883, pp. 63-70; C. Casati, Leone Leoni d'Arezzo scultore e Giovanni Paolo Lomazzo pittore milanese…, Milano 1884, p. 79; A. Bertolotti, Artisti bolognesi, ferraresi… in Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Bologna 1885, p. 109; C.F. Keary, British Museum. Department of coins and medals. A guide to the exhibition of Italian medals, London 1893, p. 54, nn. 169-178; H. Havard, Historie de l'orfèvrerie française, Paris 1896, p. 312; I.B. Supino, Il medagliere mediceo nel R. Museo nazionale di Firenze, secoli XV-XVI, Firenze 1899, p. 133; Id., L'arte di B. Cellini…, Firenze 1901, p. 51; L. Forrer, Biographical Dictionary of medallists…, II, New York 1904, pp. 190-194; E. Martinori, Annali della Zecca di Roma, Roma 1918, X, p. 17; XI, pp. 67, 78; G.F. Hill, Medals of the Renaissance, Oxford 1920, p. 91; Id., A Guide to the exhibition of medals of the Renaissance in the British Museum, London 1923, p. 39; G. Habich, Die Medaillen der italienischen Renaissance, Stuttgart - Berlin 1923, p. 136; J. Babelon, La médaille et les médailleurs, Paris 1927, p. 69; A. Galeotti, Le monete del Granducato di Toscana, Bologna 1930, pp. 59 s.; F. Álvarez-Ossorio, Catálogo de las medallas de los siglos XV y XVI… en el Museo arqueológico nacional, Madrid 1950, pp. 75-77; C.G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia…, I, 1, Roma 1958, p. 486; Médailleurs et numismates de la Renaissance aux Pays-Bas, Bruxelles 1959, p. 73; Medaglie del Rinascimento (catal.), Bologna 1960, pp. 22, 90; G.F. Hill - G. Pollard, Renaissance medals from the Samuel H. Kress Collection at the National Gallery of art, London 1967, p. 65; F. Panvini Rosati, Medaglie e placchette italiane dal Rinascimento al XVIII secolo, Roma 1968, p. 53; V. Johnson, Breve storia delle "Storie metalliche", in Medaglia, VI (1976), 12, pp. 6-13; C. Johnson, Cosimo I de' Medici e la sua "Storia metallica" nelle medaglie di P.P. G., ibid., pp. 14-46; A.S. Norris - I. Weber, Medals and plaquettes from the Molinari Collection at Bowdoin College, Brunswick, ME, 1976, p. 20; C. Johnson, Ancora sul corpo di medaglie di Cosimo I de' Medici, in Medaglia, VII (1977), 14, p. 33; K. Langedijk, A lapis lazuli medallion of Cosimo I de' Medici, in Metropolitan Museum Journal, XIII (1978), pp. 75-78; M. Jones, The art of the medal, London 1979, p. 60; N. Borsellino, Cellini, Benvenuto, in Diz. biogr. degli Ital., XXIII, Roma 1979, pp. 441 s.; G. Pollard, Il medagliere mediceo. Gli Uffizi: quattro secoli di una galleria. Atti… 1982, Firenze 1983, p. 8; Id., Museo nazionale del Bargello. Medaglie italiane del Rinascimento, Firenze 1983, pp. 4 s.; Id., Medaglie italiane del Rinascimento nel Museo nazionale del Bargello, II, Firenze 1985, p. 771; III, ibid. 1984, p. 1321; M. Campbell, in Renaissance studies in honour of C. Smyth, Firenze 1985, II, p. 116, figg. 2a, 2b; T. Eden, A recent sale of Italian Renaissance medals, in The Medal, 1988, n. 13, p. 11; R.A. Scorza, Imprese and medals. "Invenzioni all'antica" by Vincenzo Borghini, ibid., pp. 18-32; M. Ravegnani Morosini, Signorie e principati. Monete italiane con ritratto (1450-1796), San Marino 1989, p. 325; C. Johnson, Collezione Johnson di medaglie, I, Milano 1990, p. 94; The currency of fame. Portrait medals of the Renaissance (catal.), a cura di S.K. Scher, New York 1994, pp. 164 s.; S.K. Scher, A sixteenth century wax model, in The Medal, 1996, n. 9, pp. 17 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 91 s.