PACINI, Pietro
PACINI, Pietro (Piero). – Nacque intorno alla metà del secolo XV a Pescia, da Nardo e dalla sua seconda moglie, Francesca.
La famiglia era tra le più antiche e nobili della città: la sua presenza a Pescia è attestata fin dalla metà del Trecento, quando il nonno di Piero, Pacino di Coluccio, commerciava in farina. Dal primo matrimonio del padre erano nati due fratelli, Domenico e Pacino, già grandi quando nacque Piero. Dal secondo matrimonio nacque anche Bernardo, che fu vicario di Montecarlo Pescia.
Pacini intraprese gli studi giuridici, poi trascurati per dedicarsi a quelli letterari, come si apprende da una delle due lettere che gli scrisse l’amico e conterraneo Bartolomeo Galeotti (Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Plutei, 90 sup. 36, cc. 61r-62v; in questo manoscritto cartaceo, trascritto da Pacini stesso, contenente le Virorum illustrium epistolae e datato alla seconda metà del XV secolo, compare a c. 1r il suo stemma, una colomba all’interno di uno scudo, che si ritrova poi nella sua marca). Compì comunque gli studi di diritto e divenne notaio, professione che probabilmente non esercitò, dal momento che la sua principale attività fu quella di editore.
Nel secolo XV editore era colui che faceva eseguire a sue spese la stampa di testi, in genere lo stesso tipografo o altra persona interessata alla pubblicazione. Pacini fu editore nel senso moderno del termine: non ebbe mai una sua tipografia, ma lavorò con i maggiori tipografi fiorentini del tempo. Nelle note tipografiche delle sue edizioni il nome è preceduto da formule quali «opera et impensa», «sumptibus et impensis», «ad petitionem», «ad instantia», con varianti.
Nel 1470 era a Roma, dove seguì le lezioni di Martino Filetico (di cui raccolse i Commenti sopra le Satire di Giovenale e diPersio, Firenze, Bibl. Riccardiana, Mss., 1190) e nel 1471 ad Arezzo, dove copiò in un corsivo umanistico elegante e uniforme un manoscritto contenente i nove libri delle Epistole latine di Leonardo Bruni ((Berlin, Staatsbibliotthek Preussischen Kulturbesits, Lat. qu. 429). Nel 1471 iniziò a pubblicare a Firenze con il Commentarius inVergilium di Servio, a opera di Bernardo e Domenico Cennini. In realtà, il lavoro tipografico iniziò a gennaio 1471 e si concluse solo nell’ottobre dell’anno successivo; Pacini probabilmente si spostò da Pescia a Firenze poco dopo. Alla fine del 1480 iniziò la sua collaborazione con la stamperia del convento di Ripoli.
Questa tipografia aveva cominciato la sua attività a Firenze nel 1476 a opera del domenicano fra Domenico da Pistoia, dando così avvio definitivo alla produzione tipografica fiorentina che, dopo un buon inizio, aveva subito un forte rallentamento. L’attività della stamperia è documentata nel Diario della stamperia di Ripoli (Firenze, Bibl. nazionale centrale, Magl. X.6.143), opera dello stesso Domenico. Il nome di Pacini vi compare per la prima volta il 20 dicembre 1480, quando inviò all’officina 14 risme di carta di due diversi tipi. Il suo ruolo nella stamperia non fu di collaboratore alla stampa, ma piuttosto di coordinatore, di responsabile della diffusione dei volumi e di mediatore con gli altri tipografi che collaboravano con questa officina. Dopo solo tre mesi dall’inizio della sua collaborazione si trovò a svolgere il compito di intermediario tra fra Domenico e il tipografo Giovanni di Nato, debitore di una cifra considerevole. Il debito fu saldato con l’invio di 36 risme di carta. Il nome di Pacini compare per l’ultima volta nel Diario il 9 giugno 1483, ancora per una questione di debiti, stavolta tra lui e fra Domenico. L’anno successivo, il 1484, la stamperia di Ripoli interruppe la sua attività con la morte di quest’ultimo.
Pacini riapparve in veste di editore nel 1488 in un’edizione del Formularium diversorum contractuum di Lorenzo Vannelli stampata dal tipografo Bartolomeo de’ Libri. La sua funzione editoriale in questa occasione è accertata: lo si ricava da un esemplare della Biblioteca Moreniana di Firenze (segn. Inc. 65), in cui, sull’ultima carta del testo, è presente la sottoscrizione di Pacini tipica di questo periodo, adottata prima delle marche e utilizzata per lo stesso scopo: «P. Pacinus subscripsit». Pacini fu anche autore delle glosse marginali manoscritte di questo esemplare. In questi anni fu inoltre attivo nel commercio librario fiorentino, come testimoniato da una sua lettera datata luglio 1491 a ser Andrea da Foiano, mandatario fiorentino a Siena dal 1489 al 1491, in cui fa riferimento a un credito che vantava verso un cartaio senese.
Nel 1490 fu editore di due edizioni, La leggenda di Lazzaro, Marta e Maddalena e La regola del Terzo Ordine di s. Francesco, entrambe senza note tipografiche, attribuite la prima al tipografo Francesco Bonaccorsi e la seconda a Bartolomeo de’ Libri. A partire dal 1495, lavorò a numerose edizioni con Lorenzo Morgiani, il quale aveva iniziato a stampare a Firenze nel 1490 in società con Johann Petri, divenendo tra i più attivi tipografi della città. Nel 1495 Pacini pubblicò con il solo Morgiani Il Lucidario, ovvero Dialogo del maestro e del discepolo e con Morgiani e Petri le Elegantiolae di Agostino Dati, il Modus bene vivendi di Bernardo di Chiaravalle e le Epistolae et Evangelia in volgare. Questa edizione, uscita il 27 luglio di quell’anno, rappresenta, insieme con altre, quali il Libro di giuocho di scacchi di Jacques de Cessoles, stampato l’anno precedente da Antonio Miscomini, e l’Aesopus moralisatus, stampato da Francesco Bonaccorsi nel 1496, entrambe a spese di Pacini, l’inizio della tradizione silografica delle edizioni popolari fiorentine.
Le incisioni che illustravano questi volumi rappresentarono un repertorio fondamentale dell’iconografia fiorentina dell’epoca e furono utilizzate da quasi tutti i tipografi fiorentini del Cinquecento per abbellire le loro edizioni. La scuola fiorentina di illustrazione silografica fu tra le più notevoli, superiore per vivacità e forza espressiva anche a quella veneziana, e tutto ciò è strettamente legato all’opera di Pacini. Probabilmente egli fu il primo a Firenze ad avere l’idea di decorare le edizioni che commissionava ai vari tipografi, al fine di renderle simili a quelle veneziane, adottando però uno stile più conforme all’arte e al gusto del luogo. Quasi tutti i legni che decorarono le edizioni fiorentine furono intagliati per suo ordine o ispirati a quelli da lui ordinati.
Nel 1495 Pacini iniziò con Lorenzo Morgiani e Johann Petri anche la stampa de La sfera di Gregorio Dati, che si concluse nel 1500. L’anno seguente, lavorando con Morgiani, Petri e Francesco Bonaccorsi, finanziò più di dieci edizioni, tra cui i Soliloquia di s. Agostino, in ottavo con iniziali silografiche di particolare accuratezza e una piccola silografia con l’immagine del santo seduto allo scrittoio. Ma, soprattutto, pubblicò cinque edizioni di Girolamo Savonarola.
Nel secolo XV a Firenze si stamparono numerose edizioni savonaroliane, delle quali molte, come in generale nella produzione tipografica fiorentina del Quattrocento, sine notis. A Pacini se ne possono attribuire con certezza cinque, di cui due stampate con Francesco Bonaccorsi, il Compendio dirivelazioni e l’Expositio in psalmum “Qui regis Israel”, una con Lorenzo Morgiani e Johann Petri, De simplicitate christanae vitae, stampata con il solo Morgiani nella traduzione italiana, e infine il Libro della vita viduale sempre con Morgiani.
Tra le edizioni quattrocentesche di Pacini si distinguono per accuratezza e bellezza delle incisioni i Trionfi di Francesco Petrarca, stampati il 16 dicembre 1499 dai tipografi Lorenzo Alopa e Andrea Ghirlandi, edizione arricchita da preziose incisioni a piena pagina e iniziali silografiche, nonché, l’anno successivo, la bella edizione del Morgante maggiore di Luigi Pulci, stampata dal tipografo Antonio Tubini.
Pacini usò sempre la stessa marca, con poche varianti. Essa è rappresentata da tre rettangoli, nel più grande al centro si trova il delfino coronato con ai lati le iniziali S. P. (da sciogliere in «Ser Piero», in ricordo del suo titolo di notaio), mentre nei rettangoli più piccoli ai lati sono disegnati due delfini; in alto appare una colomba all’interno di uno scudo. In tutti e tre i rettangoli sono ripetute le iniziali S. P. e compare la scritta Piscia. La marca indica il forte attaccamento di Pacini nei confronti della sua città: il delfino è lo stemma di Pescia; mentre la colomba può essere interpretata come marca parlante del cognome Pacini, dal momento che rappresenta la pace. A volte si trova il solo rettangolo centrale con il delfino su fondo bianco o nero.
Fino a tutto il 1500 e anche negli anni successivi l’attività di Pacini fu costante. Nel XV secolo pubblicò quasi 40 edizioni, nel secolo successivo oltre 30 (il numero però potrebbe variare, dal momento che varie edizioni a lui attribuite sono senza indicazione di anno). Nel XVI secolo l’anno in cui pubblicò il maggior numero di edizioni fu il 1505: ben sette, tra cui i Soliloquia di s. Agostino, già editi nel 1496, La vita de’ filosofi di Diogene Laerzio e il Fior di virtù per i tipi del tipografo Girolamo Ruggeri, che fu poi ristampata nel 1511 da Bernardo Zucchetta, sempre a spese di Pacini. Nel 1508 pubblicò il Quadriregio di Federico Frezzi, opera che ebbe numerose edizioni, di cui però quella di Pacini è la più importante per le migliorie apportate al testo. Rieditò anche alcune sue edizioni, tra cui i Trionfi di Petrarca (1508) e la Sfera di Gregorio Dati (1513).
La sua attività si concluse nel 1514, anno in cui uscirono il Lunarium di Bernardo Granollachs (già stampata nel 1496 e nel 1504), con la data 21 ottobre, e le Fabulae di Esopo con il tipografo Giovanni Stefano da Pavia (già stampata nel 1496 e nel 1500), ricca di incisioni di particolare pregio.
Probabilmente morì a Firenze nello stesso anno o poco dopo.
Proseguì la sua attività il figlio Bernardo, che lo aveva affiancato già dal 1514 (l’edizione degli Esonecti del Burchiello porta la data del 1514 con l’indicazione «ad petitione di Bernardo di Piero Pacini») e fu attivo fino al 1525, pubblicando circa 16 edizioni.
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