LONGHI (Falca), Pietro
Nacque il 15 nov. 1701 a Venezia e fu registrato nel libro dei battesimi della parrocchia di S. Margherita con il cognome del padre, Piero Falca, che esercitava la professione di gettatore d'argento (Moretti, p. 249). Il nome Longhi, di cui si ignora l'origine, è attestato solo a partire dai documenti riguardanti le sue vicende artistiche.
Il figlio Alessandro (ibid., p. 31), nato nel 1733 dal matrimonio con Caterina Maria Rizzi, e P. Guarienti (ibid., p. 427) attestano un primo discepolato del L. nella bottega di Antonio Balestra, e ricordano inoltre che fu lo stesso maestro a raccomandarlo per un periodo di formazione ulteriore presso Giuseppe Maria Crespi a Bologna, senza però precisare i termini temporali.
Se, tuttavia, le componenti stilistiche di Crespi appaiono agevolmente identificabili nella prima fase dell'attività del L., la notizia del passaggio nella sua bottega e la cronologia del soggiorno bolognese rimangono nodi insoluti della filologia longhiana. Nello spettro di ipotesi avanzate intorno alle modalità e ai tempi del viaggio in Emilia - questi ultimi oscillanti nella letteratura moderna tra gli anni Venti e il 1732-34 - pare maggiormente accreditabile la congettura orientata verso un soggiorno nel terzo decennio, di poco posteriore al ritorno di Balestra a Verona nel 1719. In effetti è senz'altro possibile rilevare derivazioni bolognesi piuttosto chiare già agli esordi della carriera del L., legati ai generi "maggiori", come ha sottolineato Pedrocco (1993, p. 8) in dialettica rispetto a un diffuso orientamento della critica, radicato nella supposizione che il L. avesse abbandonato il modello di Balestra per quello crespiano solo in seguito ai presunti insuccessi dei dipinti storico-mitologici verso la metà del quarto decennio.
Elementi formali vicini a quelli di Crespi e della tradizione barocca emiliana, accanto naturalmente ad alcune componenti della cultura figurativa veneziana, risultano riscontrabili, per esempio, nel primo lavoro del L. di cui si conosca la data, realizzato nel 1732 per la parrocchiale di San Pellegrino (Bergamo) e raffigurante S. Pellegrino condannato al martirio; così come nella pressoché contemporanea Adorazione dei magi conservata presso la Scuola di S. Giovanni Evangelista a Venezia, ma proveniente da S. Maria Materdomini.
Influssi della medesima matrice paiono inoltre palesi nell'affresco con la Caduta dei giganti, eseguito dal L. nel 1734, su commissione di Gerardo Sagredo, nella volta dello scalone di palazzo Sagredo di S. Sofia ed esemplato, con ogni probabilità direttamente, sul paradigma dei due soffitti dipinti da Crespi in palazzo Pepoli Campogrande a Bologna nel primo decennio e raffiguranti Il convito degli dei e Il trionfo di Ercole con le Stagioni.
Una stretta dipendenza dalla maniera dello Spagnoletto (Jusepe de Ribera) si manifesta, in particolare, nel primo nucleo di opere "di genere", la cui realizzazione è da porre alla metà degli anni Trenta.
Si tratta della piccola serie di Pastorelli, variamente atteggiati, divisi tra il Museo civico di Bassano del Grappa, il Museo del Seminario di Rovigo e una collezione privata (Daninos, in P. L. 24 dipinti…, schede 1-2). Il gruppo presenta una certa contiguità tematica e soprattutto esecutiva con quattro opere conservate a Ca' Rezzonico, intitolate di consueto L'allegra coppia, le Lavandaie, le Filatrici e La polenta e ormai concordemente riferite allo stesso momento. Al nucleo del museo veneziano vanno inoltre accostati tra gli altri, sotto il profilo iconografico e stilistico, altrettanti dipinti conservati in collezione privata (Pignatti, 1974, pp. 90 s., nn. 56-59) e identificati con titoli analoghi (Le lavandaie, I bevitori, La filatrice, La polenta), la cui datazione tuttavia si tende a ritenere più avanzata, benché senza argomenti decisivi che sostanzino una distinzione cronologica netta rispetto alle opere precedenti. Pedrocco (1993, pp. 18-24) ha avanzato l'ipotesi, per alcuni versi convincente, che queste scene siano da interpretare come soggetti riconducibili al mondo della prostituzione, per via della presenza di una rete di segnali riferibili alla sfera erotica che permetterebbe di cogliere il senso autentico delle immagini oltre l'apparente "innocenza" degli aneddoti rappresentati.
A dispetto della possibilità di cogliere la nitida derivazione di schemi formali da Crespi nelle opere menzionate, tuttavia, le fonti relative alle vicende biografiche dell'artista emiliano non fanno alcun cenno alla presenza del giovane L. nella sua bottega, precisando, in aggiunta, che Crespi non ebbe allievi nel periodo durante il quale, di norma, si è supposta la permanenza del L. a Bologna (Spike, p. 34). Ciò, se non esclude la congettura di una conoscenza diretta dell'arte bolognese, ha indotto a ritenere che la problematica notizia dell'apprendistato presso Crespi possa essere stata creata, o quantomeno enfatizzata, dagli estensori dei primi profili biografici del L. (Mariuz, p. 34; Pedrocco, 1993, p. 6), con l'intento presumibile di nobilitare le radici di quella produzione "di genere" che possedeva per taluni aspetti caratteri di forte novità, in particolare nella declinazione delle scene di costume, rispetto al contesto della pittura veneziana. Del resto, la voga del tema pastorale e contadino, senz'altro dovuta anche al consenso ottenuto dalle immagini di Crespi - presenti, è bene ricordarlo, anche in alcune collezioni veneziane (Spike, p. 35), - a Venezia si stava diffondendo attraverso i riflessi crespiani nelle invenzioni di Federico Bencovich della metà del quarto decennio e soprattutto di Giovanni Battista Piazzetta. Al Piazzetta il L. dovette fare riferimento, per esempio, nella Contadina addormentata della Pinacoteca della Fondazione Querini Stampalia, databile alla fine del sesto decennio, che cita la figura dormiente del Cacciatore e contadina addormentata dello stesso Piazzetta, noto oggi solo per un'incisione di Fabio Berardi (Mariuz, pp. 34 s.).
Nel 1737 il nome del L. compare per la prima volta nella fraglia dei pittori veneziani, della quale farà parte fino al 1773.
Il 13 ag. 1737 ricevette dal conte Paolo Giovannelli il pagamento per una Clemenza di Tito. La tela, attestante la frequentazione dei generi maggiori anche nel quarto decennio avanzato, era destinata a costituire una coppia, destinata al barone Fedrigazzi a Innsbruck e oggi dispersa, con il dipinto di Giuseppe Camerata raffigurante La clemenza di Alessandro.
Verso il 1739-40 dovrebbe collocarsi il dipinto conservato alla National Gallery di Londra, raffigurante assai probabilmente il Ritratto di Caterina e Marina Sagredo - figlie di Cecilia Grimani e Gerardo Sagredo, già committente della Caduta dei giganti - presentate insieme con una domestica e un anziano "servo di casata".
A quel periodo risale dunque l'inizio della lunga sequenza di opere raffiguranti la vita privata dell'alta società della Serenissima. Il primo punto di riferimento certo del catalogo relativo a tale produzione è il Concertino delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, firmato e datato 1741.
La tela riprende temi affatto tradizionali - la musica d'insieme e il gioco delle carte - vertendoli però nell'ambientazione inusuale dell'interno di una dimora dell'aristocrazia connotato dall'effigie di un procuratore, parzialmente visibile sullo sfondo. Il L. optò quindi per una tipologia rappresentativa della nobiltà sostanzialmente inedita, almeno a Venezia, ritraendo i membri di quel mondo in una dimensione estranea rispetto alla tradizionale immagine dell'impegno civile e politico. La scelta, lontana dagli artifici della retorica visiva del genere storico, dovette rivelarsi vantaggiosa nel contesto del mercato artistico, come dimostra l'abbandono quasi completo da parte del L. dei generi accademicamente maggiori per dedicarsi alla pittura di costume.
In rapporto alla genesi dei nuovi codici praticati dal L., Sohm (pp. 258-260) ha provveduto a contestualizzarne gli aspetti più innovatori, mettendo in luce, sulla base di un confronto già tracciato, la complementarità tra la vena di "realismo" del L. e la ricerca di un rigenerato naturalismo nel teatro di Carlo Goldoni, suo grande estimatore, circostanziando ulteriormente, in tal modo, alcune delle possibili cause intellettuali del distacco del L. dalle magniloquenze della pittura di storia.
È stato ipotizzato (Pedrocco, 1993, p. 29) che il Concertino potesse appartenere a una serie con La toletta, Il sarto e La lezione di danza, tutte opere provenienti dalla collezione Contarini e conservate oggi presso l'Accademia di Venezia.
Tali dipinti, stilisticamente affini e databili al medesimo periodo, costituivano dunque, verosimilmente, il racconto dei principali momenti dell'educazione e dell'esistenza quotidiana delle dame veneziane, e delineavano una sequenza narrativa in ossequio alla moda figurativa delle "carriere". Il sarto rappresenta, inoltre, con ogni probabilità, un ritratto di Samaritana Dolfin e della figlia Maria, nata dal matrimonio con Girolamo Venier, come lascerebbe intendere l'immagine sulla parete di fondo del fratello di Girolamo, Nicolò, eletto procuratore di S. Marco nel 1740.
Sul piano storico-artistico furono molto probabilmente suggestioni provenienti soprattutto dalla cultura figurativa francese, secondo un'ipotesi ormai consolidata, a generare l'interesse per l'elaborazione di schemi inusuali per la pittura di genere e per il ritratto aristocratico. È stata a questo proposito rilevata, in particolare, una certa prossimità del L., soprattutto nella tecnica grafica, con quella di Antoine Watteau e Nicolas Lancret, tra gli altri, come già aveva riconosciuto nel Settecento Pierre-Jean Mariette, sottolineandone la comune inclinazione tematica. Tuttavia, solo nel caso della Visita alla biblioteca (Worcester, MA, Art Museum) e della Seduzione (collezione privata: Pignatti, 1974, p. 92 n. 74) si è individuata una derivazione puntuale da opere di artisti francesi, mentre, per il resto, gli accostamenti con il gusto transalpino rimangono sostanzialmente generici. È possibile che il L. avesse avuto occasione di conoscere il disegno francese già agli esordi della carriera, attraverso le incisioni tratte dalle opere di Watteau, di cui Rosalba Carriera entrò in possesso tra la fine degli anni Venti e l'inizio del decennio successivo. A far da tramite ulteriore con le novità del panorama artistico europeo - recepite per tempo anche da Piazzetta - Iacopo Amigoni e l'incisore Joseph Wagner, recando stampe inglesi e francesi, giunsero insieme a Venezia dall'Inghilterra nel 1739, dopo aver soggiornato entrambi a Parigi nel 1736. Un certo ruolo di mediazione con il gusto d'Oltralpe è stato riconosciuto - ancorché ridimensionato di recente soprattutto da Pedrocco (1993, p. 12) - anche a Charles-Joseph Flipart. L'artista, formatosi nella tradizione di Watteau, arrivò in Italia da Parigi appena diciottenne, nello stesso 1739, per entrare nella bottega di Wagner, dove entro il 1748 tradusse a bulino quattro opere del Longhi.
La nuova versione della pittura di "genere" segnò un distacco profondo dallo stile di Crespi, non solo dal punto di vista iconografico ma anche sul piano tecnico esecutivo. Il L. si avvicinò infatti, progressivamente, alla tavolozza chiara e alle modalità di stesura del colore proprio di Amigoni - con il quale, padrino al battesimo del figlio Giacomo Andrea nel 1746, intrattenne rapporti di amicizia - e di Rosalba Carriera, inscrivendo la propria maniera, pur nell'originalità dei soggetti, entro la cornice delle principali tendenze stilistiche del periodo centrale del secolo.
Probabilmente vicina al Concertino sul piano cronologico è anche la cosiddetta Presentazione del Louvre, che costituisce uno degli esiti migliori della prima maturità longhiana, in ragione dei notevoli effetti luministici, della resa dei tessuti raffinata e di un'invenzione compositiva assai felice nella coppia di spalle in primo piano.
Nella prima metà del quinto decennio, dopo averne già in parte sperimentato le principali soluzioni per le scene pastorali e contadine, il L. mise a punto lo schema strutturale che, fondato su un sistema costante di costruzione spaziale e di prossemica delle figure - articolata di solito su diagonali, a scandire limpidamente i piani di profondità, o su più semplici composizioni paratattiche - non abbandonò più nella sua configurazione generale e persino nelle misure delle tele, tendendo piuttosto a variare nel tempo le gamme cromatiche.
Nel 1744 firmò il Risveglio del cavaliere e la Moscacieca, delle collezioni reali di Windsor Castle, appartenuti alla raccolta del console Joseph Smith. Le due tele costituiscono un fondamentale punto di riferimento per la datazione di alcune opere stilisticamente analoghe, come Lo svenimento e Il gioco della pentola, entrambe alla National Gallery di Washington, e La dama nello studio del pittore di Ca' Rezzonico, di cui esistono diverse repliche.
Tra il 1744 e l'anno successivo il L. eseguì la Madonna col Bambino, santi e angeli nella cappella della Madonna di Loreto nella chiesa di S. Pantalon a Venezia, inaugurata il 25 marzo 1745.
Tale dipinto murale manifesta l'aggiornamento del L. sui modelli cromatici del rococò veneziano anche nell'ormai per lui inconsueta attività di frescante, palesando, a dispetto delle ampie ridipinture che l'opera ha subito, un partito coloristico molto luminoso e una pittura estremamente morbida nella resa delle superfici.
Nel 1746 eseguì La visita alla dama del Metropolitan Museum di New York. Nello stesso museo si trovano altre tre opere di simile impianto stilistico e tematico, e quindi presumibilmente prossime anche nei tempi di esecuzione: La modista o La lettera, La visita del procuratore e La visita al lord o La tentazione, quest'ultima sicuramente anteriore al 1749.
La modista e La visita al lord, in particolare, ruotano attorno al motivo della disponibilità delle giovani donne ritratte nei confronti di ben più anziani amanti, ricorrente con una certa frequenza nel catalogo del L., ancorché declinato secondo una larga variabilità di formule, come nella ben nota Tentazione del Wadsworth Museum di Hartford (CT) forse di poco successiva. La vena erotica delle immagini di questo tipo è generalmente allusa anziché esibita, e risulta indicata attraverso un'ampia costellazione simbolica, ovvero la presenza, come nella Visita al lord, di veri e propri quadri nel quadro raffiguranti mitologie a motivo amoroso, che forniscono, insieme con i versi in calce alle incisioni tratte da esse, la chiave interpretativa per le scene rappresentate, costituendo spesso citazioni puntuali di dipinti altrui.
Tra il 1746 e il 1747, a giudicare dall'età apparente dei protagonisti (Magani, in P. L., 1993, p. 104 scheda 51), fu realizzata la versione della Lezione di geografia, conservata alla Querini Stampalia, che rappresenta Giovanni Carlo Querini insieme con il figlio Andrea e alla di lui moglie Elena Mocenigo, secondo la tipologia del ritratto del gruppo familiare e il gusto dell'immagine dell'educazione femminile che il L. stesso contribuì a diffondere.
Nel 1748 il L. fu eletto priore del Collegio dei pittori.
Verso il 1749-50 dovrebbe collocarsi il Ritratto della famiglia Sagredo della Querini Stampalia (ibid., p. 172 scheda 78), dove compaiono, insieme con un domestico, Cecilia Grimani, madre di Marina, raffigurata con il figlio Almorò Pisani, e di Caterina, presentata con le due figlie Contarina e Cecilia Barbarigo.
Il dipinto celebra la famiglia che forse più di ogni altra, in particolare nella sua componente femminile, dimostrò a più riprese di apprezzare l'arte del L., al quale commissionò un buon numero di lavori; si trattò di un ruolo decisivo per l'affermazione del pittore, anche presso altre famiglie legate ai Sagredo da vincoli di parentela o di amicizia (Del Negro, p. 232).
Intorno al 1749, il L. eseguì L'indovino, delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, probabilmente la prima - se ha ragione Fossaluzza (in P. L., 1993, p. 130, scheda 62) - di un filone di scene di costume in cui la dominante tematica dei mestieri "di strada" spesso si lega a richiami alla dimensione erotica, per mezzo della costante presenza di coppie fra gli astanti, e al motivo del carnevale cui si riferiscono le immancabili maschere.
Alla tipologia sommariamente descritta, appartengono, tra gli altri, Il cavadenti della Pinacoteca di Brera (1746-52), La venditrice di frittole (1750), La scuola di lavoro o La venditrice di ciambelle (primi anni Cinquanta), L'indovina (1752), La venditrice di essenze (1757 circa), Il ciarlatano (1757), conservati a Ca' Rezzonico, L'indovina (1756 circa) della National Gallery di Londra e Il "mondo novo" (1757 circa) della Querini Stampalia. Si tratta di opere in cui il L. presenta per la prima volta un'ambientazione in esterni - praticamente mai individuabili al di fuori delle "storie" collocate sotto i portici di palazzo ducale e concepiti anch'essi come degli interni - entro i quali il L. dispone, con una certa perizia scenica, gruppi talvolta complessi di figure come nel Cavadenti o nel Ciarlatano, creando diverse strutture di interazione tra i personaggi rappresentati, nobili e popolani.
Al 1751 risale la versione del Rinoceronte conservata a Ca' Rezzonico, commissionata da Giovanni Grimani del ramo dei Servi, secondo quanto attesta l'iscrizione sulla destra del dipinto, per documentare la presenza dell'esotico animale a Venezia durante il carnevale. Per la replica con varianti della National Gallery di Londra, il L. ricevette l'incarico da Girolamo Mocenigo, quasi certamente nello stesso anno.
In ragione delle forti affinità stilistiche con i dipinti precedenti, si data allo stesso periodo anche la cosiddetta Ambasciata del moro, conservata a Ca' Rezzonico. Nell'opera, costruita in base a un codice ormai assestato, il L. inserì l'immagine di un paesaggio con figure à la Francesco Zuccarelli, seguendo la prassi cui si è già fatto cenno, forse derivata dalla conoscenza di stampe o tele seicentesche olandesi e fiamminghe, queste ultime presenti a Venezia, tra le altre, nella collezione Sagredo. Lo stesso dispositivo di "montaggio" si ritrova, peraltro, anche nel pressoché contemporaneo Farmacista delle Gallerie dell'Accademia, databile intorno al 1752, in cui compare una Natività di Antonio Balestra, suo primo maestro.
La citazione in una lettera indirizzata da Goldoni all'incisore Marco Pitteri, che ne aveva iniziato la traduzione a stampa, consente di fissare tra il 1755 e il 1757 il terminus ante quem per la serie dei Sacramenti della Querini Stampalia. La committenza dei sette dipinti, strettamente legata alla loro datazione, rimane tuttavia ancora oscillante tra il cardinale Angelo Maria Querini e suo nipote Andrea Domenico, sebbene prevalga l'ipotesi relativa ad Andrea, che conservava le tele nella sua camera da letto e ne fece menzione nel testamento (Busetto, p. 243).
La rilevazione di alcune differenze non minime sul piano dello stile legittima, del resto, la proposta di una gestazione estesa, collocabile tra la fine del quinto decennio e la metà del successivo. È forse possibile individuare inoltre, con il Moschini (pp. 26, 28), la prima opera della sequenza nella Confessione, alla quale si accomunano, per la stesura levigata del colore, il Battesimo, il Matrimonio e la Cresima. Proprio la condotta cromatica, insieme con un deciso stemperamento dei contrasti di luce, pone altresì una certa distanza tra il gruppo veneziano e il noto precedente iconografico costituito dalla serie di Giuseppe Maria Crespi, ordinata dal cardinale Pietro Ottoboni nel 1712 e oggi alla Gemäldegalerie di Dresda.
Alla metà degli anni Cinquanta si data comunemente La passeggiata a cavallo di Ca' Rezzonico, in cui il L. sperimentò una delle prime ambientazioni in un contesto paesaggistico, trattando la scena in modo piuttosto corsivo, non diversamente dalle opere successive, in cui compaiono brani di natura, come esempio nella Colazione negli orti dell'estuario del medesimo museo, con ogni probabilità non di molto posteriore.
Nel 1756 fu nominato membro dell'Accademia di Venezia, dove insegnò, pur con qualche interruzione, fino al 1780. Presumibilmente in un momento compreso tra il 1756 e il 1758 (Magani, in P. L., 1993, p. 104 scheda 51), il L. tornò sul tema della Lezione di geografia con il dipinto dei Musei civici di Padova, che raffigura Cecilia e Contarina Barbarigo, figlie di Caterina Sagredo, con il precettore e, sullo sfondo, un ritratto del beato Gregorio Barbarigo.
Nel 1757, in base a ciò che si apprende dall'iscrizione dipinta, il L. eseguì la tela raffigurante Il gigante Magrat per Giovanni Grimani, che ribadiva, con tale commissione, l'interesse spiccato per la documentazione visiva degli eventi di carattere straordinario che animavano il carnevale veneziano, come era già avvenuto qualche anno prima con Il rinoceronte. Lo stesso committente ordinò al pittore, verso la fine degli anni Cinquanta, anche Gli alchimisti, oggi a Ca' Rezzonico, e il già menzionato La colazione negli orti dell'estuario (Del Negro, p. 237).
Sempre intorno al 1757 dovrebbero porsi inoltre, in ragione della presenza della coppia centrale di personaggi che compare praticamente identica nel Ciarlatano, dipinto in quell'anno, le due versioni con poche varianti del Ridotto, entrambe alla Querini Stampalia.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta il L. realizzò anche dipinti di carattere più tradizionalmente ufficiale, tra i quali L'udienza del doge Piero Grimani, del Museo Correr di Venezia e il Ritratto a figura intera dello stesso doge, conservato in collezione privata (Pignatti, 1974, p. 95 scheda 113).
Il L. ebbe in seguito la tendenza, anche nel contesto della prediletta ritrattistica "privata", a uniformare le sue formule compositive a quelle del figlio Alessandro, specialista affermato e pittore di ritratti ufficialmente riconosciuto dall'Accademia.
Verso la fine del sesto decennio lo stile del L. cominciò a tendere verso una maniera meno fine nella delineazione grafica delle figure, in taluni casi persino approssimative sotto il profilo della connotazione fisionomica e delle forme anatomiche.
Iniziò a optare per l'applicazione di paste cromatiche piuttosto dense e modulate su toni bassi, raramente vicine ai sofisticati effetti di luce della produzione precedente e accostabili alla circoscritta voga rembrandtiana, che attraversò brevemente l'arte veneziana del periodo.
Tali caratteri, insieme con giustapposizioni di chiari e di scuri talvolta piuttosto schematiche, tesero a stabilizzarsi negli anni successivi e si possono agevolmente riscontrare, per esempio, nel dipinto della Querini Stampalia raffigurante Monaci, canonici e frati di Venezia e delle isole vicine, che il L. firmò nel 1761, rappresentando, forse non senza un intento ironico, tre classi di religiosi - gli studiosi, i devoti e "quelli che godono il buon tempo" -, come spiega una nota settecentesca un tempo incollata sul retro della tela e oggi conservata nell'archivio della Fondazione Querini Stampalia.
Probabilmente nel corso del 1761 fu completata anche la tela con Le tentazioni di s. Antonio (Querini Stampalia), raro esempio di pittura devozionale elaborata al di fuori dei collaudati codici del L., da cui il figlio trasse un'acquaforte con poche varianti.
Entro la medesima cornice stilistica dei Monaci vanno posti, tra gli altri, Il casotto del leone (Ibid.) del 1762 e Il casotto del Borgogna (Vicenza, Banco Ambrosiano Veneto), in genere datato anch'esso all'inizio degli anni Sessanta, che ritrae il celebre burattinaio nel corso di un'esibizione carnevalesca.
È stato persuasivamente ipotizzato (Fossaluzza, in P. L., 1993, p. 148 scheda 70) che Il casotto del leone, rappresentazione di uno spettacolo nel quale alcuni cagnolini ammaestrati si muovono sul palco vestiti con gli abiti della nobiltà, costituisse una satira dell'aristocrazia veneziana.
Tra la fine del 1762 e l'inizio del 1763 firmò il Pitagora filosofo, realizzato per l'Accademia di pittura e ancora conservato nelle sue Gallerie.
Il dipinto, dedicato a Giuseppe Nogari all'epoca presidente dell'istituzione veneziana - come testimonia l'acquaforte trattane dal figlio - oltre a essere un'inedita prova di nudo costituisce un saggio dell'accennato fugace e leggero accostamento di questo periodo a una certa tendenza coloristica di stampo rembrandtiano, di cui proprio il Nogari fu sostenitore e Alessandro, suo allievo, un seguace nella prima fase della carriera. Occorre altresì aggiungere, a proposito dei rapporti tra il L. e Nogari, che la conoscenza dei due risaliva sicuramente a parecchi anni prima, e almeno al 1736, quando il celebre ritrattista fu, ben prima di diventare maestro di Alessandro, padrino di un altro dei figli del L., Iseppo Gerolamo, morto dopo soli tre giorni dalla nascita.
Nel 1763 fu affidata al L. la direzione dell'Accademia di disegno e incisione, istituita da Marina Sagredo per il figlio Almorò Pisani presso il palazzo di famiglia. Egli conservò la carica fino al 1766, quando scomparve il giovane Almorò, non ancora ventenne.
Presumibilmente alla metà del settimo decennio eseguì la serie della Caccia in valle, composta sicuramente di sei dipinti (L'arrivo del signore, La preparazione dei fucili, Il sorteggio, Lo scarico del materiale, La posta in botte, Il conteggio delle prede), incisi da Pitteri, cui vanno aggiunti La partenza per la caccia, della quale non si conoscono traduzioni a stampa, e forse I contadini all'osteria o La festa dei valligiani, tela assai prossima stilisticamente alle altre e possibile conclusione narrativa del ciclo. La serie, conservata ora alla Querini Stampalia, iconograficamente inedita nella sua complessa struttura diegetica, decorava il salotto del mezzanino di palazzo Barbarigo (Mariuz, p. 44), insieme con le due opere tematicamente affini raffiguranti La caccia all'anatra o La caccia in laguna e La caccia alla lepre, della medesima pinacoteca, avvalorando l'ipotesi di una committenza da ascrivere a Gregorio Barbarigo (1709-66), marito di Caterina Sagredo. Sul piano stilistico il gruppo presenta caratteri omogenei, negli accordi cromatici su toni brunastri e nella ricerca di una definizione delle scene per via di sintesi, analiticamente descrittiva solo nel ritratto del signore, forse proprio Barbarigo al momento del suo arrivo in laguna, e in pochi altri dettagli.
Nello stesso periodo, accanto alla consolidata e fortunata produzione di immagini di gruppi familiari, il L. intensificò l'esecuzione di ritratti individuali. Spicca tra essi quello, datato 1764, di un Pittore, conservato a Ca' Rezzonico e identificato generalmente, in base all'iscrizione sul retro, come il Ritratto di Francesco Guardi.
Pedrocco (2002, p. 131 n. 15) ha sottolineato la notevole somiglianza del personaggio con i tratti noti del L. stesso, suggerendo l'opportunità di considerare il significato dell'iscrizione come un'attribuzione dell'opera a Guardi.
Ancora nel 1764 il L. firmò il Ritratto del procuratore Ludovico Manin del Museo civico di Udine, cui si può accostare, per la vicinanza stilistica, anche il cosiddetto Gentiluomo polacco di collezione privata (Pignatti, 1974, p. 100 n. 182).
Intorno al 1772, in virtù delle iscrizioni sul verso - di recente rivelatesi non del tutto attendibili - si pongono i tre Ritratti tradizionalmente riconosciuti come Matilde Querini da Ponte (Algeri, Musée national), Stefano Querini (Parigi, collezione Cailleux) e Marina Querini Benzon, di cui si ignora l'attuale collocazione (Pignatti, 1974, pp. 101 s., nn. 200-202), e la cui identificazione è stata messa in dubbio con solidi argomenti da Piero Del Negro (p. 229).
Nel 1774 dipinse L'elefante per Marina Sagredo Pisani (collezione privata: Pignatti, 1974, p. 102 n. 205), registrando l'esposizione dell'esotico pachiderma durante il carnevale, secondo la prassi documentaristica inaugurata venti anni prima con le immagini del Rinoceronte.
Il L. stesso si rappresentò nell'atto di disegnare l'animale, attestando in tal modo la propensione per una pittura realistica, direttamente esperita sull'oggetto della figurazione. Il L. licenziò, sempre nel 1774, un'altra versione dello stesso soggetto per Domenica Dolfin Valier, oggi in collezione privata (Martini, 1982, p. 546 n. 326, fig. 270).
Alla prima metà dell'ottavo decennio occorre ascrivere anche l'esecuzione del Ritratto di Edward Wortley Montagu in veste di bey turco (collezione privata: Pignatti, 1974, p. 102 n. 207).
Una scrittura posta sul retro della tela consente di datare al 1775 I contadini che giocano a carte (collezione privata: ibid., p. 102 n. 208), costituendo un esempio importante della ripresa nella produzione tarda di temi popolareschi, trattati secondo lo stile tipico dell'ultimo periodo, entro la quale andranno ricondotti anche Gli alchimisti di villa Cagnola a Gazzada e La filatrice, entrambi firmati e datati 1779, La polenta, Il ciarlatano e La furlana, tutti già in collezione Fornoni Bisacco e sicuramente vicini cronologicamente (ibid., p. 103 nn. 220-224).
La maggior parte della critica, fatta eccezione per Pignatti (1995, pp. 349-351), concorda nel rilevare, opportunamente, una flessione qualitativa piuttosto pronunciata nella pur ampia attività di questa fase, durante la quale il L. continuò a replicare, verosimilmente anche per soddisfare le richieste della committenza, le stesse formule compositive elaborate quasi quaranta anni prima, stendendo trame cromatiche dalla tessitura sempre meno raffinata. Un esempio della maniera tarda è rappresentato dalla cosiddetta Cioccolata del mattino (Ca' Rezzonico), databile alla seconda metà dell'ottavo decennio, che, pur entro una formula strutturale assolutamente collaudata, presenta un notevole grado di schematismo sia nell'organizzazione degli spazi sia nell'esecuzione dei personaggi, sottolineato anche dalla tendenza, tipica del periodo, di ripassare i contorni.
Intorno al 1779 eseguì Il caffè (collezione privata: Pignatti, 1974, p. 103 n. 227), che potrebbe rappresentare, secondo la proposta di identificazione dei ritrattati avanzata da Del Negro (p. 229), la famiglia Venier San Vio, una delle committenze più prestigiose del pittore.
Al 1780 si data invece il Ritratto della famiglia Michiel, conservato alla Querini Stampalia. L'anno dopo siglò il Pittore (Ca' Rezzonico), che fornisce importanti indicazioni per stabilire la cronologia ultima dell'artista.
Il L. morì a Venezia l'8 maggio 1785.
Fonti e Bibl.: P. Guarienti, Pietro Lunghi [sic], in P.A. Orlandi, Abecedario pittorico…, Venezia 1753, p. 427; A. Longhi, Compendio delle vite de' pittori veneziani…, Venezia 1762, p. 31; V. Moschini, L., Firenze 1956; T. Pignatti, P. L., Venezia 1968 (con bibl.); Id., L'opera completa di P. L., Milano 1974; P.L. Sohm, P. L. and Carlo Goldoni: relations between painting and theater, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XLV (1982), pp. 256-273; E. Martini, La pittura del Settecento veneto, Udine 1982, p. 546 e passim; J.T. Spike, Giuseppe Maria Crespi and the emergence of genre painting in Italy, in Giuseppe Maria Crespi and the emergence of genre painting in Italy (catal., Fort Worth), a cura di J.T. Spike, Firenze 1986, pp. 13-38; P. L. (catal., Venezia), a cura di A. Mariuz - G. Pavanello - G. Romanelli, Milano 1993 (con bibl.); A. Mariuz, P. L.: "un'originale maniera…", ibid., pp. 31-48; P. Del Negro, "Amato da tutta la veneta nobiltà". P. L. e il patriziato veneto, ibid., pp. 225-241; G. Busetto, P. L. alla Querini Stampalia. Un episodio di committenza, ibid., pp. 243-247; L. Moretti, Asterischi longhiani, ibid., pp. 249-255; P. L.: 24 dipinti da collezioni private (catal.), a cura di A. Daninos, Milano 1993; F. Pedrocco, L., in Art Dossier, 1993, n. 85; G. Vio, P. Falca detto L.: la sua famiglia e i suoi messaggi elettorali, in Arte. Documento, VII (1993), pp. 163-170; G. Marini, P. L. and his engravers, in Print Quarterly, XI (1994), 4, pp. 401-410; G. Busetto, Cento scene di vita veneziana. P. L. e Gabriel Bella alla Querini Stampalia (catal.), Venezia 1995; R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, II, Milano 1995, pp. 365-393; T. Pignatti, P. e Alessandro Longhi, in Splendori del Settecento veneziano (catal., Venezia), a cura di G. Nepi Scirè - G. Romanelli, Milano 1995, pp. 343-369; M. Levey, La pittura veneziana nel Settecento, Milano 1996, pp. 137-148; C. Cortese, P. L., Giuseppe Wagner a Giambattista Remondini, in Lettere artistiche del Settecento veneziano, I, a cura di A. Bettagno - M. Magrini, Vicenza 2002, pp. 379-413; F. Pedrocco, Francesco Guardi e P. L., in I Guardi. Vedute, capricci, feste, disegni e "quadri turcheschi", a cura di A. Bettagno, Venezia 2002, pp. 125-131; Nove dipinti di P. e Alessandro Longhi: da una raccolta privata (catal. d'asta Finarte Semenzato, Venezia), Milano 2003; G. Pavanello, Temi mitologici nella decorazione monumentale veneziana fra Sei e Settecento, in Metamorfosi del mito. Pittura barocca tra Napoli, Genova e Venezia (catal., Genova-Salerno), a cura di M.A. Pavone, Milano 2003, pp. 45, 48; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, pp. 357 s.