GAGGIA, Pietro
Nacque a Verolanuova, in prov. di Brescia, il 10 marzo 1791, da Giacomo e da Giuseppina Celli. Orfano di madre a cinque anni, frequentò le scuole pubbliche ed entrò quindi nel seminario bresciano. Il 18 sett. 1813 fu ordinato sacerdote dal vescovo Gabrio M. Nava che, presolo a benvolere, lo mandò a completare gli studi a Bologna: vi restò per due anni, fino al conseguimento della laurea in lettere classiche, e al ritorno a Brescia fu incaricato dell'insegnamento delle lingue antiche (greco, latino, ebraico) nel seminario; quindi diede prova della acquisita padronanza del greco preparando per gli allievi una versione degli Inni di Callimaco cirenese secondo l'edizione ernestina del 1761… (Brescia 1820) e corredandola di molte annotazioni sui dialetti ellenici.
Era intanto entrato a contatto con gli ambienti intellettuali della città, aderendo alla rosminiana Società degli amici e poi stringendo amicizia con i fratelli Camillo e Filippo Ugoni, che il conte F. Confalonieri aveva coinvolto nella setta della Federazione italiana in vista di un progetto di sollevazione della Lombardia contro la dominazione austriaca. Furono appunto gli Ugoni ad affiliare il Gaggia. Poco dopo, però, la cospirazione milanese fu scoperta e il Confalonieri arrestato; cominciarono così le confessioni che svelarono l'ampiezza della trama settaria e indussero i giudici austriaci a estendere le indagini, dalla metà del 1822, a tutto il Bresciano: molti dei cospiratori, e tra essi gli Ugoni, fuggirono, imitati nel luglio del 1823 dal G., che non sembrava avere responsabilità penali di rilievo ma che forse voleva evitare contraccolpi al seminario, già preso di mira per il carattere troppo aperto dell'insegnamento che vi si impartiva. In seguito i giudici si limitarono a decretare a carico del G. il sequestro dei beni.
Espatriato clandestinamente in Svizzera, vi si trattenne per circa un anno: qui depose l'abito talare e si convertì al luteranesimo. Poi passò in Belgio, attratto dalla possibilità di trovarvi lavoro e di unirsi al gruppo di esuli italiani - soprattutto lombardi - che si erano raccolti intorno alla famiglia degli Arconati. Si stabilì prima ad Anversa, cercando lavoro come istitutore privato e trovando finalmente un posto di ripetitore di latino e greco all'Università di Liegi; infine, nel 1827, si trasferì a Bruxelles con un incarico di insegnamento presso un collegio privato e, quando l'anno dopo il proprietario fallì, chiese e ottenne l'autorizzazione ad aprire un proprio istituto-convitto nel sobborgo di Ixelles: avviati già nel 1828, dal 1829 i corsi presero a svolgersi con regolarità annuale.
Nello stesso anno il G. illustrava in un opuscolo (Plan de l'institution…, Bruxelles 1829) le idee portanti di un'esperienza didattica che, nel clima aperto dalla vittoriosa rivoluzione del 1830, si sarebbe affermata come esempio di una politica educativa ispirata a criteri di grande apertura liberale. Presa confidenza durante il soggiorno svizzero con il metodo pestalozziano, il G. organizzò il suo collegio sulle linee di una pedagogia che intendeva la formazione dell'individuo come equilibrato sviluppo delle qualità mentali e spirituali nonché di quelle fisiche. Programmata su quattro livelli della durata complessiva di otto anni e con l'iscrizione consentita a ragazzi d'età compresa tra i sette e i dieci anni, la didattica affiancava infatti, a una larga gamma di discipline scientifiche e umanistiche, lezioni di morale, musica, galateo, danza, scherma, equitazione, nuoto; l'insegnamento della religione aveva un ruolo preminente ma non era causa di discriminazione ed era impartito all'esterno del collegio da preti delle due confessioni, la protestante e la cattolica; la disciplina era tenuta senza ricorrere a mezzi coercitivi e facendo appello al senso di responsabilità; a fine anno gli alunni che più si erano distinti venivano premiati con un simbolico riconoscimento.
Presentato positivamente dalla stampa liberale belga e appoggiato pubblicamente da personaggi quali A. Quetelet e L. de Potter, il collegio vide rapidamente accresciuto il numero delle frequenze, tanto che si dovette presto portare il corpo docente dai circa venti iniziali ai trentasette del 1833 (di cui almeno sette italiani, tra i quali i conterranei del G., A. Panigada e G.B. Passerini). Il G., che aveva riservato per sé i corsi di latino e greco cui attribuiva grande valore formativo, preparò per i propri scolari un Aperçu de la grammaire grecque, accentuando forse quel carattere selettivo che la buona società di Bruxelles, principale destinataria delle sue proposte didattiche, mostrava di aver gradito. Per adeguarsi, la concorrenza fu costretta ad abbassare i prezzi, ma ciò non tolse alunni all'Istituto Gaggia che riceveva iscrizioni anche dall'estero, dando crescenti profitti al titolare il quale frattanto, unitosi a una donna belga, Désirée André, l'aveva sposata dopo la nascita di un figlio (seguito nel 1836 da una bambina). Investiti in acquisti di terreni e in bonifiche che avrebbero dovuto consentire nuove coltivazioni ma che non ebbero successo, i guadagni presero però a calare e si determinò una situazione per la quale il G. fu costretto a entrare in società con due esuli piemontesi, P. Bosso e P. Olivero, il primo dei quali, oltre ad assumere su di sé per un paio di anni (1835-37) la direzione dell'istituto, aprì anche la strada all'arrivo in Belgio di V. Gioberti che, entrato subito nel corpo docente del convitto, ebbe la cattedra di filosofia, che avrebbe mantenuto per circa dieci anni. Intanto nel 1835 un giornale del posto celebrava nell'istituto "un des produits plus réels de la liberté d'enseignement" (Battistini, 1935, p. 100). Costretto ad allontanarsi da non chiari dissidi coi suoi soci, il G. assumeva allora la direzione della cattedra di pedagogia nella libera Università di Bruxelles; poi, nel 1837, rientrato il Bosso in Italia, riprendeva il proprio posto al collegio che trovò declinante per il ritiro di parte del corpo docente. Nel tentativo di rilanciarlo e con la speranza di offrire alle famiglie un servizio sempre più qualificato, stabilì che a partire dal 1839 il numero dei convittori non superasse le sessanta unità.
Proprio l'arrivo del Gioberti attirò sull'istituto, già malvisto dai cattolici per le vicende pubbliche e private del G., l'attenzione del rappresentante sardo a Bruxelles, E. Crotti di Costigliole, i cui timori di un'attività cospirativa da parte degli esuli furono presto fugati dalla sostanziale apoliticità del collegio; anzi alla fine del 1841 il Crotti manifestava la speranza che l'abate torinese sapesse con il proprio tatto ricondurre il G. alla fede cattolica. Ciò non accadde: si deteriorarono invece la situazione finanziaria del collegio e quella personale del G., costretto a coprirsi di debiti per far fronte alle spese. La primavera del 1845, con il "povero Gaggia perseguitato dai pretacci del paese" (V. Gioberti, Epistolario, V, p. 197), portò al Gioberti il presagio di una imminente chiusura che egli credette di anticipare lasciando improvvisamente, dopo dieci anni di permanenza, Bruxelles.
Rimasto praticamente solo a fronteggiare difficoltà organizzative e logistiche insormontabili, il G. non resse alla tensione, e il 13 nov. 1845, mentre si trovava ad Anversa, rimase vittima di un colpo apoplettico.
Alla moglie e ai due figli toccò un'eredità in cui il pur consistente patrimonio immobiliare era gravato di debiti e di ipoteche di gran lunga superiori al suo valore. La conseguenza fu l'immediata chiusura di un istituto dove "plusieurs libéraux belges très en vue reçurent leur première formation" (R. Aubert, in Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di A.M. Ghisalberti, III, Firenze 1974, p. 439).
Fonti e Bibl.: P. Guerrini, Memorie biografiche e docc. ined., in I cospiratori bresciani del 1821…, Brescia 1924, pp. 627-634, 701 s.; V. Gioberti, Epistolario, a cura di G. Gentile - G. Balsamo Crivelli, II-VII, Firenze 1927-34, ad indices; M. Battistini, Esuli ital. nel Belgio. Un educatore: P.G. e il suo collegio convitto a Bruxelles, Brescia 1935; Carteggi di V. Gioberti. Lettere di P.D. Pinelli…, a cura di V. Cian, Roma 1935, ad ind.; Carteggi di V. Gioberti. Lettere di G. Baracco…, a cura di L. Madaro, Roma 1936, ad ind.; Carteggi di V. Gioberti, a cura di A. Colombo, Roma 1937, ad ind.; G. Berchet, Lettere alla marchesa Costanza Arconati, a cura di R. Van Nuffel, I-II, Roma 1956, ad ind.; Storia di Brescia, IV, Dalla Repubblica bresciana ai giorni nostri, Brescia 1964, pp. 135, 146, 154, 174 s., 178, 185, 597, 668; G. Calò, Pedagogia del Risorgimento, Firenze 1965, pp. 647-651; M. Battistini, Esuli ital. nel Belgio (1815-1861), Firenze 1968, ad ind.; M. Petroboni Cancarini, Camillo Ugoni letterato e patriota bresciano, II, Epistolario (1805-1817), Milano 1975, pp. 278 s.; Processi polit. del Senato lombardo-veneto, a cura di A. Grandi, Roma 1976, ad ind.; Dizionario del Risorgimento nazionale, III, s.v.; National Biografisch Woordenboek, Brussel 1964, s.v.