CALVI, Pietro Fortunato
Nacque il 17 febbraio 1817 a Briana, località presso Noale, allora in provincia di Padova, da Federico Pietro e da Angela Meneghetti. Compiuti i primi studi sotto la guida del parroco del paese, li proseguì, dopo aver frequentato per qualche tempo (1829-30) il ginnasio di Padova, presso l'Accademia militare degli ingegneri di Vienna ove il padre, commissario distrettuale, gli aveva fatto ottenere un "posto gratuito". Uscitone poco meno che ventenne col grado di alfiere e assegnato ad un reggimento di fanteria, sembrava destinato ad una brillante carriera di ufficiale nell'esercito imperiale, quando a Venezia, durante un periodo di ferma, maturò segretamente, a contatto con i circoli patriottici (in particolare quello del conte Demetrio Mircovich), la crisi che doveva portarlo ad abbracciare la causa nazionale italiana.
Nell'aprile del 1848, non appena ebbe avuto sentore degli avvenimenti rivoluzionari del marzo, si dimise dall'esercito (nel frattempo era stato promosso primo tenente) e da Graz - ove si trovava di stanza col suo reggimento - raggiunse Venezia ove il popolo era insorto contro gli Austriaci (23 marzo) ed era stata proclamata la repubblica. Messosi a disposizione di quel governo provvisorio, il C. veniva tosto inviato in Cadore col grado di capitano allo scopo di organizzare e dirigere la resistenza armata di cui egli doveva divenire "la mente direttiva e l'anima" (Pieri).
Giunto a Pieve di Cadore il 20 aprile, il C. in capo a pochi giorni riusciva a costituire, con la collaborazione di quel Comitato di difesa, un piccolo esercito di circa 4.600 uomini, organizzati in cinque "corpi franchi" e in un certo numero di guardie civiche e di disarmati, questi ultimi atti a maneggiare forche e falci non meno che ad azionare quelle "batterie di sassi" che si rivelarono di sorprendente efficacia. Dopo aver infatti respinto (2 maggio) l'attacco della colonna Hablitsçhek che discendeva lungo le valli del Boite, i volontari mettevano in fuga a Rivalgo, presso Ospitale (8 maggio), le truppe che il generale Culoz aveva inviato lungo la valle del Piave perché si ricongiungessero con quelle dello Hablitsçhek. Non meno significativo fu il triplice successo colto (28 maggio) presso il Rindemera, la chiusa di Venas e nuovamente a Rivalgo ove i Cadorini, da soli, con 400 fucili e con le "batterie di sassi", avevano sconfitto ben 8.000 uomini. Malgrado ciò, la resistenza del C. e dei suoi, privi di mezzi, munizioni e soprattutto di collegamenti esterni, difficilmente poteva durare a lungo. Pochi giorni dopo (15 giugno), di fronte ad un massiccio attacco sferrato dal nemico sul versante carnico, la difesa cadorina cedeva e il C., giudicata vana ogni resistenza, congedava i volontari, prendeva la via della pianura e, superando il blocco nemico, si poneva in salvo a Venezia.
Qui il C., che era stato nominato comandante della legione Cacciatori delle Alpi di recente costituita con l'apporto di volontari cadorini, friulani e veneti, prendeva parte agli episodi di Brondolo (22 maggio 1849) e Treporti (2 agosto) meritandosi la promozione a tenente colonnello (aprile) - In seguito alla capitolazione della città (26 agosto), il C. prese la via dell'esilio e, dopo una breve parentesi vissuta in Grecia (Patrasso), riparò a Torino (marzo 1850), ove, venuto a contatto con gli ambienti degli emigrati politici quivi confluiti dall'Italia (ed in parte da altri paesi dell'Europa), si legò ai circoli mazziniani e kossuthiani operanti in Italia apportandovi il contributo della sua esperienza e del suo talento in campo militare.
Tre anni dopo, minacciato di espulsione dagli Stati sardi per la sua presunta collaborazione allo sfortunato tentativo insurrezionale di Milano del 6 febbr. 1851, il C. dovette rifugiarsi in Svizzera.
A Ginevra (marzo-giugno 1853) e quindi a Zurigo (luglio), il C. riprese le fila di un antico disegno mai abbandonato, quello di promuovere l'insurrezione armata del Cadore e del Friuli, ricevendone il caldo consenso ed incoraggiamento da parte del Mazzini che aveva elaborato un piano d'insurrezione generale che aveva i suoi punti di forza in Lunigiana, nel Bresciano e in Cadore.
Impaziente di passare all'azione il C., munito dei pieni poteri di commissario conferitigli dal Mazzini per il Cadore e il Friuli e di un passaporto falso, varcava il confine svizzero con quattro compagni (gli stessi che avrebbero dovuto accompagnarlo in una impresa sul lago Maggiore, poi abortita: Roberto Marin, Luigi Morati, Oreste Fontana e Francesco Chinelli) e penetrava nel Tirolo, ove il 13 settembre a Cogolo in Val di Pejo veniva arrestato insieme con tre compagni (il quarto, il Chinelli, era stato trattenuto altrove per malattia). Trovato in possesso di carteggi assai compromettenti, veniva tradotto a Trento e ad Innsbruck (17-23 settembre), e di qui a Verona ed infine a Mantova, ove veniva sottoposto ad una Commissione inquirente militare (26 sett. 1853-31 maggio 1854).
In seguito all'istituzione di una Corte speciale di giustizia penale (1º giugno 1854), la competenza del tribunale militare veniva a cessare e il processo veniva riaperto sotto la giurisdizione di giudici civili i quali, giudicato colpevole il C. di alto tradimento, lo condannarono alla pena capitale senza proporne la commutazione o la grazia (17 genn. 1855). Il C., che durante la lunga detenzione aveva mantenuto un atteggiamento di coraggiosa dignità e fermezza, accettò serenamente la sentenza, rifiutandosi di chiedere a sua volta la grazia. La condanna venne eseguita il 5 luglio 1855 nei pressi del castello di S. Giorgio in Mantova.
Fonti e Bibl.: I. Boccazzi, Lettere inedite di Mazzini e Kossuth a P.F.C., in Nuova antologia, 1º luglio 1906, pp. 91-109;I. Boccazzi-C. Fabbro, P.F.C. negli atti processuali di Mantova (con docc. inediti), Feltre 1948; R. Marin, P.F.C. Cenni storici sulla sua vita, in Boll.dell'Ass. Trento Trieste, I (1905), 4, pp. 17-20;L. Benedetti, P.F.C. e il Risorgimento italiano, a cura di G. Fabbiani, Verona 1955;E. Costanzi, P.F.C. esule, cospiratore, martire del Risorgimento ital., Feltre 1955; P.F.C. nel centenario della morte. Catalogo della mostra, Venezia 1955; E. Liburdi, Belfiore nella lirica patriottica... P.F.C., in Rass. stor. d. Risorg., XLII (1955), pp. 320-27;B. Rizzi, In margine all'arresto di P.F.C. (docc. inediti trentini), ibid., pp. 428-440; A. Zieger, La cattura di P.F.C., Pieve di Cadore 1955; M. Menghini, P.F.C., in Realtà politica, VII (1955), p. 3 n. 44;G. Biasuz, P.F.C. studente ginnasiale, in Arch. stor. di Belluno, XXVIII (1957), pp. 49-53; A. Tamborra, Cavour e i Balcani, Torino, 1958, pp. 115, 134;P. Pieri, Storia militare del Risorg., Torino 1962, pp. 390-97; Diz. d. Risorg. naz., II, pp. 488-489; Enc. Ital., VIII, pp. 469s. Per una bibl. più ampia cfr. la Bibl. dell'età del Risorg., I, Firenze 1971, pp. 682 s., 696.