FATINELLI, Pietro
Nacque a Lucca il 6 genn. 1512 da Nicolò e Caterina Guidiccioni. La famiglia patema aveva, allora, già perduto la preminenza nella vita politica cittadina che l'aveva resa potente nei due secoli precedenti.
Il F. fu avviato alla mercatura fin dalla prima adolescenza. Della sua educazione non si hanno notizie precise, ma una discreta cultura classica emerge dallo stile e dai contenuti delle sue lettere. Abbandonò presto la vita cittadina per intraprendere la carriera delle armi. Fu arruolato sulle galere di Antonio Doria fin da giovanissimo, e di questi anni si hanno solo incerte notizie: imprese guerresche, donne e forse un figlio riempirono la vita del F., che un cronista descrisse, molti anni dopo la sua morte, come "bellissimo giovane, ...gratioso nell'aspetto e nel parlare piacevole" (Civitali, c. 610v).
La prima testimonianza diretta sulla sua vita è costituita da una lettera del 28 dic. 1537, nella quale egli lamenta amaramente l'aumento dei suoi nemici ed esprime il desiderio di ritirarsi presto a Lucca "a vita più quieta". Nella primavera dell'anno seguente egli fu invece accreditato presso Carlo V da Virginio Orsini, conte dell'Anguillara, e ne divenne l'agente alla corte imperiale. I rapporti con Lucca rimasero tuttavia stretti e, a partire dall'estate del 1539, si trova attestata una costante attività diplomatica svolta dal F. per conto della Repubblica. In particolare il suo intervento fu apprezzato a proposito di una controversia che Lucca sostenne con la marchesa di Massa, Ricciarda Malaspina, per questioni di confine, nel 1540- In seguito alla risoluzione di quest'ultima vicenda, nel 1541 il F. chiese, come ricompensa per i servigi resi e dietro esortazione degli Anziani, l'appalto delle poste, ma vi rinunciò ben presto, non senza una certa amarezza, trovando insostenibili le condizioni propostegli.
Non era la prima volta che egli si trovava in contrasto con le vedute degli Anziani lucchesi, sia a causa della distanza che separava ormai la sua vita di cortigiano dalla mentalità mercantile dei suoi concittadini, sia per delle voci che lo dicevano troppo vicino ad iniportanti esponenti del fuoruscito partito dei poggeschi, la fazione aristocratica che circa vent'anni prima aveva tentato di impadronirsi del potere a Lucca. Queste ultime accuse, per quanto ripetutamente respinte dal F., trovavano un solido fondamento nell'amicizia da lui stretta a Madrid con Vincenzo Bandini, lucchese vicino ai Poggi e ambasciatore del duca di Firenze presso l'imperatore; e anche se non è possibile collegare con certezza i due eventi, è certo che fin dal marzo 1539 il F. andava progettando di rovesciare il governo della Repubblica lucchese.
La congiura scoperta nel 1542 fu Comunque concepita nell'ambito di un'altra, questa profondissima, amicizia col capitano Giambattista Bazzicalupo (Bazzicaluva, Bazzicalovo) da Chiavari, conosciuto dal F. intorno al 1534, durante il servizio prestato sulle galere di Antonio Doria.
In una lettera del 4 maggio 1538, pochi giorni prima di essere egli stesso presentato a corte, il F. scriveva all'Anguillara per raccomandargli il Bazzicalupo come "il maggior amico che io habbia al mondo". E proprio il Bazzicalupo fu prima il confidente e poi il complice dei progetti che tendevano a concretizzare i desideri di grandezza del Fatinelli. Nel 1539, a Piacenza, questi confidò all'amico che, se non gliene fosse mancato il tempo, sarebbe stato tentato di impadronirsi del feudo dei conti Landi, considerata l'esiguità della guarnigione che lo proteggeva. E nei mesi seguenti gli comunicò che si stava presentando per entrambi l'occasione di compiere gesta di ben altro valore, che "o ne faranno morire honoratamente o ne alzeranno dal vulgo". Si trattava del progetto di insignorirsi di Lucca, concepito, dunque, parallelamente all'attività diplomatica che il F. svolgeva presso l'imperatore per conto della Repubblica.
La trama si andò sviluppando tra il 1540 e il 1541, attraverso uno scambio epistolare ed alcuni colloqui, svoltisi tra i due amici sia a Maiorca sia a Lucca. A Lucca essi ebbero anche modo di discuterne con Virginio Orsini, nel settembre del 1541, in occasione dell'incontro ivi svoltosi tra il papa e l'imperatore e poco prima della spedizione di Algeri (ottobre 1541), alla quale sia il F. sia il Bazzicalupo parteciparono. Il Bazzicalupo raccolse soldati e armi tra Genova e la zona di Massa, Sarzana e Pietrasanta. Il conte Orsini promise alcune galere e la sua protezione: ciò avrebbe spianato la strada, una volta in possesso di Lucca, all'approvazione imperiale, mentre se questa fosse venuta a mancare sarebbe stata facilmente compensata con quella del re di Francia. Quanto al popolo lucchese, il F. era certo che, una volta eliminato il nerbo dell'aristocrazia mercantile al potere, esso lo avrebbe di buon grado proclamato suo signore. All'inizio del 1542 mancava alla realizzazione del piano solo un contingente di truppe che, arrivando da Est, desse manforte ai congiurati, una volta che questi si fossero impadroniti della città. Verso la fine di marzo il Bazzicalupo si recò a Venezia per proporre, di lì a pochi giorni, al conte Agostino Landi da Piacenza di unirsi all'impresa e di fornire il numero di uomini necessario. Questi accettò, ma solo per vendere, poco più di un mese dopo, i congiurati alla Repubblica lucchese.
Il 10 maggio giunse infatti a Lucca il segretario del conte, inizialmente in incognito, con un messaggio'per Filippo Calandrini. uno dei cittadini più in vista. L'anonimo delatore chiedeva che si inviassero a Venezia tre rappresentanti della Repubblica, i quali avrebbero appreso cose di grande importanza in cambio di 13.000 scudi d'oro e di un salvacondotto per le terre lucchesi. Chiamato segretamente a consiglio un ristretto gruppo di anziani, si incaricarono tre di essi, Niccolò Orsucci, Niccolò Arnolfini e Biagio Mei, in partenza per Venezia, di condurre a termine l'affare a qualsiasi prezzo: la precaria situazione internazionale della piccola Repubblica e le tensioni al suo interno fornivano validi motivi al governo lucchese per agire tempestivamente di fronte a questa improvvisa circostanza.
I tre messi tornarono in patria verso la fine del maggio 1542 con una dichiarazione scritta del conte Landi che denunciava il Bazzicalupo e descriveva i particolari della congiura, senza tuttavia saper dire il nome del gentiluomo lucchese che l'aveva ideata. Dal racconto del Landi emergeva, tra l'altro, che il Bazzicalupo era riuscito a guadagnarsi la complicità dell'alfiere della guarnigione lucchese, Scipione Borgognone, e di una buona parte dei soldati: grazie a ciò si sarebbe potuto operare con buone probabilità di successo il colpo di mano, che prevedeva l'uccisione del capitano della guarnigione e quella di alcuni anziani.
I pochi cittadini messi al corrente della denuncia del Landi la mantennero segreta in attesa di poter catturare il Bazzicalupo, cosa che avvenne a Lucca, in un'osteria, poco prima del 18 ag. 1542. Sottoposto immediatamente a interrogatorio e alla tortura (18 agosto), egli, dopo un primo tentativo di proteggere l'amico, fece il nome del Fatinelli. Condannato a morte il 23 agosto, il Bazzicalupo fu decapitato il 25 di quel mese. Il Consiglio generale, informato della congiura il 19 agosto, durante la seduta del 23 seguente nominò una commissione di sei cittadini (Iacopo Burlamacchi, Giovanni Arnolfini, Giovanni Buonvisi, Bernardino Cenami, Bernardino de' Meffici e Niccolò Orsucci) incaricata di occuparsi dell'arresto del Fatinelli.
L'"officio" per il F., i cui poteri furono rinnovati nel febbraio, nel luglio e nell'ottobre del 1543, per prima cosa chiese all'imperatore che il ricercato, latitante nei suoi territori, fosse fermato al più presto. A questo proposito è interessante rilevare che Vincenti di Poggio in persona, capo dei poggeschi esule a Firenze, cercò forse di avvertire H F. del pericolo iniminente scrivendo, il 24 ag. 1542, a Vincenzo Bandini, che si trovava a Madrid, di consegnargli un messaggio urgente, del quale si ignora il contenuto (Berengo, p. 187).
Arrestato a Barcellona nell'ottobre del 1542, il F. non fu, tuttavia, consegnato subito ai Lucchesi, i quali impiegarono un anno e un'intensa attività diplomatica per riuscire ad averlo in proprio potere. In sua difesa si era mosso l'Orsini e l'imperatore stesso dichiarava di averne a cuore la sorte: il prigioniero dunque, come fu comunicato dalla corte imperiale dopo l'arresto, sarebbe stato prima inviato a Genova per venire giudicato dal consigliere imperiale mons. M. de Granvelle e poi, eventualmente, consegnato ai Lucchesi. Finalmente, dopo otto mesi dalla lettera con cui Carlo V comunicava alla Repubblica l'arresto del F., giunse a Lucca, l'11 giugno 1543, l'ultimo messaggio imperiale, che ne annunciava l'avvenuta consegna al comandante della fortezza di Pavia, dove gli Anziani avrebbero potuto mandare a prelevarlo. Le forze che per un periodo considerevolmente lungo avevano giocato a favore del giovane gentiluomo erano venute meno, soprattutto a causa del tradimento di Virginio Orsini, passato dalle file imperiali a quelle del re di Francia in quel periodo.
A Lucca il F. subì, dal 10 al 18 luglio 1543, sei interrogatori e la tortura, alla quale aveva sperato, peraltro, di resistere con un espediente magico confidatogli da un amico (Civitali, cc. 606v-607r). Ne emerse una completa confessione, che fu inviata all'imperatore affffiché, secondo un accordo stabilito, egli desse il permesso agli Anziani di procedere alla sentenza. Il nullaosta imperiale, datato 24 sett. 1543, fu letto dal Consiglio generale il 26 ottobre seguente ed in seguito ad esso fu decretata la condanna capitale, eseguita il 29 ottobre, e la confisca dei beni.
Durante i tre mesi e mezzo trascorsi dal F. nella torre del palazzo pretorio in attesa della sentenza imperiale egli subì, secondo il racconto di alcuni, un'esemplare conversione dalla vita mondana alla religione cristiana. L'unica fonte che fornisca dettagliatamente questa notizia è una cronaca compilata nel 1572 dal lucchese Giovanni Civitali. Dalla sua narrazione emerge che H F., toccato dalla grazia divina, trascorse il periodo della prigionia pregando e meditando sulle Scritture, assistito da un piccolo circolo di devoti, tra i quali il cronista ricorda un canonico di S. Frediano, un frate agostiniano e un "F. C. cittadino lucchese" (Civitali, c. 601r). Sempre secondo il Civitali, il F. scrisse, in carcere, un dialogo che fu diffuso in più copie, e del quale non si conoscono esemplari, ed un'epistola sulla preghiera indirizzata a due sorelle monache nel convento di S. Giorgio e riportata testualmente nella cronaca. Sia la narrazione del Civitali sia il brano da lui attribuito al F. sono fortemente influenzati dalle dottrine riformate e potrebbero essere entrambi copia di un libello che, secondo una cronaca conservata nella Biblioteca del Trinity College di Dublino (ms. 1152), il lucchese Filippo Calandrini (che in questo caso si identificherebbe con l'"F. C." della cronaca del Civitali) scrisse per ricordare la morte del concittadino (Luzzati Laganà, pp. 446 s.). In ogni caso, l'intero racconto della conversione del F. può essere considerato un testo di propaganda religiosa proveniente dagli ambienti riformati lucchesi, che forse lo diffusero come esempio illustre della potenza della grazia divina, in grado di salvare, indipendentemente dalle opere, anche l'uomo più lontano da essa.
Non sembra inficiare questa ipotesi la notizia, riportata da altre fonti, che il F., prima di essere consegnato ai Lucchesi, avrebbe cercato di giustificare davanti all'imperatore la propria congiura sostenendo che, lungi dal volersi impadronire del potere, egli aveva voluto "riformare il malgoverno della Repubblica tiranneggiata da alcuni cittadini" e "purgare la città di alcuni perfidi cittadini che partiti si erano dalla debita osservanza della santa fede cattolica havendo abbracciata l'heresia luterana" dal momento che "essendo la maggior parte di questi cittadini principali potenti di facultà e di parentado era loro comportato che facessero predicare pubblicamente nella città predicatori heretici" (Samminiati). Se infatti il F. avesse effettivamente formulato una simile denuncia, tanto più esemplare sarebbe stata, dal punto di vista della propaganda riformata, la conversione di un uomo che si era fatto complice della re-pressione religiosa iniziata a Lucca in quegli anni.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Cause delegate, 10; Ibid., Consiglio generale, Riformagioni pubbliche, 41, pp. 161 s., 171 ss., 325, 467 ss., 471, 478 s., 526, 533 ss.; Ibid., Anziani al tempo della libertà, Ambascerie, carte originali, 580, fasc. 21/286; ibid., Ambascerie, copiari, 620, 50, cc. 82r-86v; ibid., Lettere, copiari, 546, 19, cc. 74v-75v, 80rv, 84v-91r, 92v-93v, 94rv, 95r-96v, 97v-98r, 99r, 100v, 102r-104r, 105v-106v, 108v-109v, 111r-112v, 120r-121v, 124r, 125r, 126r, 137r-140r, 141rv, 143r, 151v-154r, 157rv, 159r-162r, 163r, 164r, 167r-169v; Ibid., Biblioteca manoscritti, 38: G. Civitali, Historia della città di Lucca compilata per tutto l'anno 1572... rivista da Daniello de Nobili, cc. 594v-597r, 598v-611v; ibid., 17: G. Samminiati, Cronica di Lucca, III, l. VIII, cc. n. n., ibid., 19: A. Spada, Storia di Lucca dall'origine al 1600, pp. 368 ss.; Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 4300; A. Mazzarosa, Storia di Lucca dalla sua origine fino al 1814, Lucca 1833, pp. 78 ss.; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dall'anno MIV all'anno MDCC, a cura di C. Minutoli, in Arch. stor. ital., s. 1, X (1847), p. 426; G. Sforza, La congiura di P. F. contro la Signoria lucchese raccontata sui documenti, Lucca 1865; C. Cantù, Gli eretici d'Italia. Discorsi storici, Torino 1866, II, pp. 466, 475; S. Bongi, Inventario del Reale Archivio di Stato in Lucca, Lucca 1888, pp. 195, 354; M. Rosi, La Riforma religiosa e l'Italia nel secolo XVI, Catania 1892, pp. 15 s., 17 ss., 22; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra (studi sull'emigrazione religiosa lucchese a Ginevra nel secolo XVI), I, in Riv. stor. ital., XLIX 0932), p. 154; M. Montinari, La questione della Riforma protestante in Lucca, tesi di laurea, facoltà di lettere, Università di Pisa, a. a. 1948-1949, pp. 24-32; A. Mancini, Storia di Lucca, Firenze 1950, p. 218; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, pp. 31, 169, 184-190, 251, 266, 273, 277, 438 ss.; S. Adorni Braccesi, Eterodossia e politica nella "notabil conversione" di P. F. (1542-1543), in Critica storica, XXVII (1990), 2, pp. 209-234; Ead., "Una città infetta". La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze 1994, pp. 142 s., 145-58, 161, 186, 222, 233, 245 ss., 249 ss., 253 ss., 257 s., 301, 375; F. Luzzati Laganà, Calandrini, famiglia, in Diz. biogr. degli Italiani, XVI, Roma 1973, pp. 446 s.