DURANTI, Pietro
Le prime notizie su quest'arazziere romano, attivo nel sec. XVIII, rimontano al 1743, quando risulta direttore, in Roma, di una manifattura di arazzi fiorente con il patrocinio degli Albani.
Del suo operato in questo periodo si conservano due arazzi (a palazzo Torlonia, già in villa Albani), firmati e datati 1743, raffiguranti l'uno La partenza del soldato, l'altro Soldati alla taverna.
Nel 1757, trasferitosi a Napoli per impiantare un'arazzeria ad alto liccio, gli fu affidato, per cura dell'architetto L. Vanvitelli, l'incarico di ampliare la serie dei dodici arazzi con Storie di don Chisciotte, tessuta nella manifattura dei Gobelins, su disegno di C. Audran, tra il 1730 e il 1733 ed entrata più tardi in possesso di re Carlo di Borbone. Il relativo contratto, stipulato il 23 apr. 1757 (Spinosa, 1971, pp. 64 s.), stabiliva condizioni estremamente favorevoli per il D., che peraltro assumeva la carica di direttore del nuovo laboratorio allora appositamente istituito, nella Real Fabbrica, per la tessitura ad alto liccio (quello già esistente, con telaio a basso liccio, continuava ad essere diretto dall'arazziere fiorentino Domenico Del Rosso).
Il D. seppe imprimere nuovo impulso alla fabbrica napoletana, grazie ad una più efficiente e moderna organizzazione e ad una più alta qualità del prodotto, che raggiunse con la collaborazione di un nuovo gruppo di lavoranti, romani e torinesi, da lui chiamati, in sostituzione del gruppo precedente che si trasferi nel laboratorio di pietre dure.
Lo "strapotere" esercitato dal D. non mancò di suscitare malumori nell'ambiente locale e gli procurò anzi l'accusa di aver talora ritoccato col colore i panni tessuti. Malgrado ciò, la sua attività a Napoli si svolse ininterrotta e sono legate al suo nome le più cospicue serie di arazzi ivi realizzate.
La prima a essere lavorata sotto la sua direzione fu quella, appunto, delle ulteriori tredici scene con Storie di don Chisciotte (bozzetti di Giuseppe Bonito; i motivi ornamentali delle otto sovrapporte sono su disegno di Giuseppe Bracci). A questa serie, che, iniziata nel 1758, fu condotta a termine nel 1766, fece seguito una seconda serie con nuovi episodi donchisciotteschi: gli arazzi (non se ne conosce il numero esatto) furono tessuti dal 1767 al 1779; i modelli delle scene figurate furono dipinti dal Bonito e da diversi altri pittori che in questa occasione gli si affiancarono (B. Torre, A. Dominici, G. B. Rossi, A. Guastaferro); i disegni per le quinte, le sovrapporte e gli alentours furono eseguiti da G. Magri e da O. Filippini. Sebbene non raggiungano il livello qualitativo degli arazzi tessuti in Francia, le due serie napoletane si fanno apprezzare tuttavia per la vena gustosa, realistica e popolaresca della narrazione, affatto peculiare di contro all'intonazione aulica e raffinata dell'interpretazione francese. Gli arazzi di entrambe le serie napoletane, spesso firmati e datati dallo stesso D., erano destinati all'arredo della reggia di Caserta allora in costruzione; pervenuti solo in parte, sono attualmente conservati alcuni a Napoli, nel Museo di Capodimonte, altri a Roma, nel palazzo del Quirinale.
Il 12 genn. 1763 il D. stipulò un nuovo contratto per la creazione di un gruppo di arazzi che avrebbero decorato la stanza del Belvedere (la camera da letto di re Ferdinando IV) nel palazzo reale di Napoli, con la rappresentazione di Allegorie delle virtù coniugali; egli si impegnava a rispettare le misure stabilite dall'architetto Ferdinando Fuga. Il lavoro fu compiuto verosimilmente entro il 1768, anno delle nozze di re Ferdinando con'Maria Carolina d'Austria, in previsione delle quali gli arazzi erano stati commissionati. Diedero i modelli, per gli episodi figurati, il Bonito (che ultimò il primo già nel 1762), F. De Mura, c. Giaquinto, p. Batoni, S. Pozzi, e, per i fregi decorativi e le sovrapporte, G. Bracci e G. Cappella; i putti alati riprendevano modelli del Bonito. Si contano oggi quattro elementi di questa serie, cioè due grandi arazzi con le allegorie della Pudicizia e dell'Innocenza (Napoli, palazzo reale), e due quinte con le personificazioni della Notte e dell'Aurora (Napoli, Museo di Capodimonte), oltre a quattro sovrapporte con motivi fitomorfi e al centro un'erma (Napoli, Museo Duca di Martina e palazzo reale).
Nel maggio del 1763 il D. consegnò l'arazzo con il Rattodi Proserpina, ovverol'Allegoriadel fuoco, completandocosì la serie (pure destinata alla reggia di Caserta) con le Allegorie deglielementi, che, iniziata nel 1739 sotto la direzione di Domenico Del Rosso, era stata interrotta nel '50 dopo la tessitura di tre Elementi; questo arazzo, eseguito su modello dipinto da G. Starace Franchis, è il capolavoro della manifattura napoletana e uno degli esemplari più prestigiosi della produzione italiana del '700: elevata è la qualità della tessitura, come la qualità del prototipo pittorico, che già il Vanvitelli ebbe a lodare per il "componimento spiritoso e ricco di figure, la forza di colorito, il disegno delle parti" (Spinosa, 1971, p. 47); firmato e datato, il panno si conserva ora nel palazzo reale di Napoli.
Da una lettera del 6 ag. 1763 si apprende che al D. fu affidato il restauro di dieci arazzi con Storie di Noé posti nella reggia di Caserta (Le arti figurative…, 1979, p. 285). Alcuni documenti del 1767 riferiscono di un nuovo arazzo da lui tessuto, raffigurante la Flora, tratta da un dipinto di Carlo Maratta (ibid., p. 286). Nel 1768 il D. consegnò l'arazzo con il ritratto della regina Maria Carolina "per mandargli al Re Cattolico" (ibid., p. 288); in precedenza egli aveva tessuto il pendant col ritratto di re Ferdinando IV. Di entrambi gli arazzi si ignora l'attuale collocazione.
Sul finire del 1773 il D. portò a compimento alcune opere avviate dall'arazziere della Real Fabbrica M. Cavanna, ma interrotte alla morte di quest'ultimo nel 1772; si ricorda in particolare un arazzo recante il Ritrattodi Ferdinando IV di Borbone in abiti dagranatiere (Napoli, Museo di Capodimonte), derivato da un dipinto di Francesco Liani del 1770. Nel 1777 il D. siglò e datò due paramenti di uguale formato e inquadrati da una stessa finta cornice, raffiguranti l'uno la Munificenza di Davide, l'altro la Natività di Maria, tessuti su modelli pittorici attribuibili a Giacinto Diano o ad altro artista di formazione demuriana. Questi paramenti furono probabilmente realizzati per completare una serie di antichi arazzi di soggetto testamentario, che, come attestano alcune carte d'archivio, veniva restaurata in quegli anni. Nel Museo napoletano di Capodimonte, dove sono oggi esposti i due esemplari del D., altri panni esibiscono l'identico motivo a finta cornice: Rebecca al pozzo, Giacobbe con un mercante etiope, Abramo che scaccia Agar e Ismaele, Agar nel deserto e Agar che disseta Ismaele; è probabile che tali arazzi siano parte del gruppo allora in restauro.
Nel novembre del 1778 i locali dell'arazzeria, sorta in S. Carlo alle Mortelle, furono trasferiti nel palazzo reale. Qui, nello stesso anno, secondo quanto riporta il Minieri Riccio (1879, p. 37), il D. portò a termine un arazzo con Cleopatra, andato purtroppo distrutto. Ugualmente perduta è la S. Cecilia, da lui realizzata sempre nel 1778. Fra il 1783 e il 1787 attese a una nuova serie, raffigurante, in dieci arazzi di grande formato, la Favola di Amoree Psiche per l'addobbo di alcuni ambienti della reggia di Caserta (la serie si trova oggi nel palazzo reale di Napoli).
Non si conosce l'autore dei disegni per le candelabre, le quinte, le sovrapporte, mentre è noto che fu F. Fischetti a dipingere i modelli degli arazzi figurati, alla cui realizzazione si pose fin dal 1781. La serie, "per scelta degli elementi compositivi delle singole scene figurate e per originalità dei motivi decorativi, in cui si fondono sapientemente elementi di gusto "rocaille" con ornamentazioni già di gusto neoclassico" (M. Siniscalco, in Civiltà del '700, 1980, II, p. 102), costituisce uno dei prodotti più notevoli della manifattura napoletana.In una lettera datata il 20 apr. 1784 sono menzionati, insieme con alcuni pezzi di questa serie, altri "quattro pezzi di arazzo rappresentanti l'Istoria di Abramo, fatti da P. Duranti per il Real Casino di S. Leucio" (Strazzullo, 1977, p. 634). Nello stesso anno è documentato un pagamento effettuato Per conto del D. in favore del marchese Berio, "per l'affitto della bottega e quartino sita nella strada di Toledo sotto al di lui palazzo grande" (Le arti fig. ..., 1979, p. 297): qui il D. teneva un suo laboratorio privato, ove venivano fabbricati tappeti "alla maniera d'Inghilterra" (Civiltà del '700, 1980, II, p. 434).
Ancora su modelli pittorici del Fischetti fu eseguita, intorno al 1791., la serie di arazzi che racconta la Storia di Enrico IV di Borbone, per la decorazione dei salone centrale del casino reale di Carditello. È, questa, l'ultima serie a noi nota diretta dal D.: lo scadimento della fattura che vi si rileva è probabilmente da addebitare almeno in parte all'età ormai avanzata dell'arazziere e all'intervento conseguentemente più ampio dei suoi modesti aiutanti. Non si conosce il numero originario di panni tessuti; se ne conservano attualmente sei, nel Museo di Capodimonte a Napoli. Dopo il 1791, anno in cui il D. firmò e datò un panno di quest'ultima serie raffigurante Ilre riceve il Sully alla prese nza dei cortigiani, non si hanno più notizie di lui.
Direttore della Real Fabbrica nel 1799 era uno dei figli del D., Giovanni, secondo quanto il Minieri Riccio ha dedotto da alcune frammentarie carte dell'Archivio di Stato di Napoli (ora distrutte): queste ricordavano che Giovanni, ricevuta quell'anno dal re Ferdinando IV, in procinto di fuggire in Sicilia, una cospicua somma da distribuire agli arazzieri rimasti senza lavoro per la chiusura della fabbrica seguita alle note vicende storiche, fece propria la somma e parti egli pure per Palermo; al suo ritorno fu tuttavia costretto dal re a consegnare ai legittimi destinatari il dovuto. Fu attivo nella Real Fabbrica anche il primogenito del D. Alessandro: questi operò in qualità di restauratore di arazzi, come risulta da alcuni pagamenti effettuati in suo favore tra il 14 settembre e il io dic. 1778, per il restauro di arazzi con la Storia di Abramo. Dal Minieri Riccio (1879, p. 36) si apprende che nel 1770 venne approvato dal re il parere espresso dal maggiordomo maggiore, il principe di Belmonte, il 14 nov. 1769, di non accogliere la supplica presentata dal D. per ottenere "il posto di Ripetitore della reale Tappezzeria pel suo figliuolo primogenito Alessandro della età di 20 anni". La "piazza di ripetitore degli Arazzi" venne chiesta dallo stesso Alessandro nel 1778, ma l'ambito "soldo perpetuo" non gli venne concesso neppure questa volta. Probabilmente membro della famiglia di Pietro è anche quel Girolamo Duranti citato dal Minieri Riccio fra gli arazzieri rimasti senza lavoro nel '99.
Fonti e Bibl.: C. Minieri Riccio, La Real Fabbrica degli arazzi nella città di Napoli dal 1738 al 1799, Napoli 1879, pp. 19-42; E. Possenti, L'arazzeria napol., in Bollett. d'arte, XXIX (1936), pp. 551 ss., 555-576; Documenti sull'attività napol. di F. Fuga, App., a cura di R. Mormone, in R. Pane, F. Fuga, Napoli 1956, pp. 200, 211 s.; F. De Filippis, I modelli pittorici degli arazzi per la reggia di Caserta, in Commentari, XVIII (1967), pp. 68 s.; N. Spinosa, L'arazzeria napol., Napoli 1971, pp. 41-67, 69, 71-82 e passim; F. Strazzullo, Le lettere di L. Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, I, Galatina 1976, pp. 606 s.; II, ibid. 1976, pp. 13, 21; III, ibid. 1977, pp. 633 ss.; Id., Le manifatture d'arte di Carlo di Borbone, Napoli 1979, pp. 95, 266 s., 271 s.; Le arti figurative a Napoli nel Settecento, Napoli 1979, ad Indicem; Civiltà del '700 a Napoli (catal.), I-II, Firenze 1979-1980, ad Indices; S. Pinto, in Storia dell'arte italiana. Dal Cinquecento all'Ottocento, II, Torino 1982, p. 797; M. Viale Ferrero, in Storia dell'arte italiana (Einaudi), Forme e modelli, Torino 1982, p. 154; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, X, pp. 209 s.
C. Garzya Romano