CANDIDO, Pietro
Monaco camaldolese, è stato, e continua a esserlo tuttora, confuso con il più famoso Pier Candido Decembrio; tant'è vero che molte delle opere dell'uno sono state attribuite all'altro e viceversa.
Il C., buon umanista ed erudito di una certa fama ai suoi tempi, nacque a Portico in Romagna nella prime decadi della seconda metà del sec. XV. Fu ordinato monaco nell'eremo di Camaldoli in Casentino (Arezzo) nel 1481; l'anno seguente fu nominato cancelliere del generale dell'Ordine di Firenze Pietro Delfino (studioso delle opere di s. Gerolamo, scrittore di molte epistole preziose per la ricostruzione biografica del C., compositore di numerose orazioni e autore di un dialogo contro il Savonarola). Rimasto nel 1483 vacante il posto di abate di S. Michele di Arezzo, il Delfino mandò a ricoprire l'ambito seggio il Candido. La presa di possesso fu pacifica, ma, poco dopo il suo insediamento, questi fu espulso dalla città con la forza da quaranta armati per ordine dei Priori aretini, che a loro volta avevano ricevuto istruzioni direttamente da Firenze. La ragione della sua espulsione sembra sia dovuta alle brighe di Lorenzo de' Medici che voleva, come poi riuscirà ad ottenere, l'abbazia per il figlio Giovanni. Per un certo tempo il C. cambiò Ordine e preferì vestire la veste nera della Congregazione di S. Giustina, finché non decise, nel 1495, di tornare alla bianca veste dei camaldolesi. Gran parte della sua vita e dei suoi studi furono dedicati alla lingua greca e all'amorosa lettura e correzione dei testi greci. Per poter perfezionare la conoscenza della lingua greca riuscì a ottenere dal Delfino il permesso per un viaggio a Creta, dove rimase per cinque anni (1491-1496 circa) divenendo non solo abile grecista, ma esperto di eloquenza e di filosofia.
Si conosce un elegante codice appartenente alla biblioteca dell'eremo di Camaldoli di mano del C., scritto in nitidi caratteri greci e composto nelI'isola di Creta nel 1491; contiene numerose sentenze morali estratte da scrittori greci e soprattutto da Stobeo. Tornò in Italia con un prezioso bagaglio di libri e codici greci che vennero così a formare uno dei primi nuclei della sua biblioteca personale che diverrà, col passare degli anni, di notevole importanza sia per la quantità sia per la qualità del materiale raccolto.
Nel 1498 passò al monastero degli Angeli di Firenze, cui lasciò, alla sua morte, la preziosa biblioteca. Tra il 1500 e il 1506 fu priore di Castrocaro, nel 1507 soggiornò per un breve periodo a Bologna e, sempre nello stesso anno, a Roma, come risulta da una lettera dell'aprile di quell'anno. Infatti il Carteromaco (Scipione Forteguerri, uno dei maggiori collaboratori del Manuzio) così scriveva ad Aldo Manuzio: "Don Piero nostro ancora lui è fatto cortigiano et vivit Romae, et ha portato seco il Nonno [il C. infatti si stava interessando, per ordine del Manuzio, dell'edizione delle Dionisiache] et scrive continuamente et di già à scritto venti libri. Parmi harebbe bisogno di qualche ducato..." (De Nolhac, 1888, VIII, p. 290). Da un'altra lettera sempre del Carteromaco veniamo a sapere che il C. doveva recarsi a Fano e che era stato nominato precettore di un nipote del cardinale di Urbino (probabilmente Gabriele Gabrieli). Nella stessa lettera si definisce il C. "huomo assai avaro, tenace, cupido et nihil pensi habet etiam in amicitia, purché faccia el fatto suo" (ibid., p. 291). Senza dubbio si doveva far pagare ben care le sue attente revisioni dei testi antichi. Nella seconda metà del 1508 gli fu affidata la direzione dell'abbazia di S. Stefano Cintorio in Pisa. Morì nel 1513 nel monastero degli Angeli a Firenze.
Fu in stretta relazione con numerosi e famosi umanisti dell'epoca: col Carteromaco, col quale dovette forse collaborare all'allestimento dell'edizione aldina di Demostene; fu grande amico e sostenitore del Marullo, del quale pubblicò numerose emendazioni lucreziane; amico e ammiratore del Poliziano, anche dopo la sua caduta in disgrazia, del quale possedeva un Quintiliano postillato e, soprattutto, fu in continuo contatto e collaboratore di Aldo Manuzio: quasi tutte le stampe del Manuzio erano state diligentemente raccolte nella sua biblioteca.
Molta della produzione del C. è andata perduta, anche se non è da escludersi la possibilità di qualche ritrovamento. Avrebbe scritto, come ricorda il Delfino in una delle sue lettere, una orazione nel 1483 sull'eucarestia, recitata all'atto della sua prima messa. Nel 1499dedicò allo stesso Delfino il De vita Christi Homerocentra di Eudocia Augusta (nella Collectio Christianorum poetarum di Aldo Manuzio, 1501), che era stata tradotta dal greco in latino. Pure al Delfino è dedicata la traduzione in latino della Tavola di Cebete Tebano. Avrebbe poi curato una versione latina del Tetraevangelio, di alcune orazioni di s. Giovanni Crisostomo e di alcune opere di Basilio. Descrisse inoltre le gesta di Alessandro Magno, e postillò poi l'Etymologicum magnum, che anche lui attribuì, seguendo nell'errore il Poliziano, a Nica. Stampò a Milano il Lessico di Suida (1499) e postillò un lessico greco-latino della biblioteca di Fulvio Orsini e altri due lessici, uno del monastero degli Angeli di Firenze e uno dell'eremo di Camaldoli. Tuttavia la sua opera più famosa fu l'edizione giuntina di Lucrezio (Lucretii Cari De rerum natura libri VI, Florentiae 1512). Per l'edizione che veniva a dare un testo migliore rispetto ai precedenti tentativi di trascrizione di Lucrezio si valse, come espressamente afferma nella prefazione, della collaborazione di due grandi umanisti: Pontano e Marullo. Le emendazioni lucreziane del Marullo furono pubblicate nella stessa edizione. Un attento studioso, A. M. Bandini, ci informa infine che nell'eremo di Camaldoli e nel monastero di Fonte Boni, almeno al tempo della sua visita, si troverebbero moltissimi manoscritti e libri a stampa sia greci sia latini che recavano il nome e le postille del Candido.
Fonti e Bibl.: Una lettera del C. al Carteromaco è nella Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 4105, p. 307. Nel ms. II, I. 154 della Bibl. naz. di Firenze sono contenute lettere di P. Orlandini al C.; una sua lettera è pubblicata in P. De Nolliac, Les correspondants d'Alde Manuce, in Studi e documenti di storia del diritto, IX, Roma 1888, pp. 238-239; molte sono le lettere al C. tra le Epistole di P. Delfino, Venezia 1480, passim. Sul C. siveda anche M. Ziegelbauer, Centifolium Camaldulense, Venezia 1750, p. 53; Ambrosii Traversarii Epistolae, a cura di L. Melius, II, Florentiae 1759, pp. 88-89; J. B. Mittarelli-B. A. Costadoni, Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti, VII, Venezia 1762, pp. 136, 167, 318, 357-59, 395; A. M. Bandini, De Florentina Iuntarum typographia eiusque censoribus, I, Lucae 1791, pp. 72-79; U. Chevalier, Repertoire des sources historiques du Moyen Age, I, Paris 1877-86, p. 384; P. De Nolhac, La Bibliothèque de F. Orsini, Paris 1887, p. 171; B. Croce, M. Marullo Tarcaniota, in Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento II, Bari 1945, pp. 278 s., 286, 297 5.; V. Zaccaria, Sulle opere di P. C. Decembrio, in Rinascimento, I (1956), p. 34; E. Pastorello, Inedita Manutiana, Venezia 1961, p. 6; V. Branca, La incompiuta Seconda Centuria dei "Miscellanea" di A. Poliziano, in Lettere italiane, II (1961), pp. 140-141; M. E. Cosenza, Dict. of the Italian Humanists, I, Boston 1962, p. 818.