BONOMO, Pietro
Nacque nel 1458 a Trieste da Giovanni Antonio e da una Salomea. Quando nel 1468 il padre, capo della fazione imperiale della città, fu assassinato nel corso di un tumulto, il B. dovette andare in esilio per breve tempo insieme con la madre e i fratelli Francesco, Giusto e Bartolonnea. Ancora dodicenne, studiava a Bologna umanità e poi diritto, conseguendo il dottorato. A Trieste si fece notare da alcuni ambasciatori di Federico III traducendo a prima vista e commentando Plinio alla loro presenza, e avendo costoro l'incarico di reclutare giovani ben preparati per la cancelleria imperiale, lo fecero assumere alla corte di Vienna. Più tardi il D. stesso dichiarò che l'imperatore, con il quale condivideva l'interesse per l'alchinua e la negromanzia, si intratteneva volentieri con lui e si faceva tradurre spesso passi latini. Nel 1478 Federico III gli concesse la carica di cancelliere del Comune di Trieste. Verso il 1480 sposò la dama di corte Margherita von Rosenberg, che però morì dopo soli quattro anni di matrimonio. Al figlio Ludovico, che era nato da questo matrimonio, il B. cercherà poi di procurare vari ricchi benefici ecclesiastici.
Allora il B. faceva parte, in qualità di segretario, della cancelleria imperiale; dopo la morte della moglie, ma prima del 1490, abbracciò lo stato ecclesiastico. In quell'anno Federico III gli procurò il primo canonicato nel capitolo del duomo di Aquileia, che egli cambierà nel 1493 con la parrocchia di Cerkniz. Nel 1491 l'imperatore confermò al B. e al fratello Francesco il possesso delle saline presso Trieste, e nelranno successivo nominò i suoi fratelli e lo zio Lorenzo conti palatini. Nel 1492 il B. fece parte dell'ambasceria di obbedienza imperiale ad Alessandro VI. Subito dopo il cardinale Raimondo Peraudi, vescovo di Gurk, lo investì della prepositura di San Nicolò di Strasburgo in Carinzia. Anche sotto Massimiliano I il B. mantenne il suo posto nella cancelleria imperiale, ottenendo nuove entrate e numerosi incarichi diplomatici.
In questo periodo entrò in conflitto con i suoi concittadini che gli negavano il possesso della carica di cancelliere, concessagli da Federico III. Dovette intervenire Massimiliano per confermargliela di nuovo. Anche sotto il profilo politico il B. era in contrasto con i suoi concittadini: nel 1496 egli li mise in guardia esplicitamente dalle conseguenze nocive per Trieste di altre agitazioni ostili al dominio imperiale.
Dal 1496 al 1500 si recò spesso a Milano, come inviato speciale del re dei Romani e fu il più zelante sostenitore di un'attiva politica in favore di Ludovico il Moro, sul quale gravava la pesante minaccia dell'espansionismo francese. In questo quadro rientrarono anche due brevi missioni diplomatiche a Torino e a Mantova, eseguite nel 1498 nel tentativo di neutralizzare l'influenza francese su quelle corti. A Ludovico non si stancava intanto di raccomandare l'opportunità di un forte impegno finanziario in favore di Massimiliano, il solo mezzo capace, a suo giudizio, di assicurare un efficace intervento politico e militare contro i Francesi. I suoi rapporti con il Moro erano divenuti col passar del tempo sempre più stretti e assunsero una fisionomia tutt'altro che insolita nella consuetudine diplomatica del tempo, ma certo poco compatibile con quelle regole di correttezza invalse più tardi nella diplomazia di ogni paese. Consigliere e fidato collaboratore dello Sforza, dal quale riceveva lauti compensi insieme a ricchi doni per altri influenti cortigiani del re dei Romani come il Lang e il Fürstenberg, il B. non tralasciava di suggerirgli iniziative politiche che talvolta apparivano in contrasto con gli interessi di Massimiliano. Di intesa con il Moro, nel maggio del 1499 si recò a Ginevra per ricordare al duca di Savoia i suoi doveri di vassallo dell'Impero e tentare di indurlo a non concedere il passo alle truppe francesi che si dirigessero contro Milano. Arrivò troppo tardi: il 19 maggio il re cristianissimo aveva già concluso un trattato di alleanza con la Savoia che garantiva libero passaggio alle sue truppe. Maggior successo il B. non ebbe con il suo stesso signore: nell'agosto del 1499 l'esercito sforzesco, attanagliato nella morsa dei collegati franco-veneti, si dissolveva senza opporre valida resistenza; al Moro non restò che abbandonare Milano, sollevatasi contro il suo dominio, per rifugiarsi alla corte di Massimiliano, dal quale non aveva ricevuto l'aiuto militare da così lungo tempo finanziato. Ancora nell'ottobre del 1499 il B. sollecitò un intervento immediato a sostegno del duca che aveva soccorso finanziariamente a più riprese il re dei Romani. Nel caso contrario Milano sarebbe rimasta per sempre nelle mani dei Francesi a eterna vergogna dell'Impero. Ma neanche ora trovò ascolto: Ludovico riuscì a riprendersi lo Stato, rientrando a Milano ai primi di febbraio del 1500, ma solo con il favore dei suoi sudditi troppo presto delusi dell'occupazione francese. Il 20 febbraio lo raggiunse il B. alla testa di una missione inviata da Massimiliano per felicitare il Moro del riacquistato dominio e chiedere ancora denaro per finanziare i soccorsi del re dei Romani. Nel marzo ritornò a corte, ma alla fine dello stesso mese era di nuovo a Milano.
Al seguito del Moro, cadde prigioniero dei Francesi dopo la battaglia di Novara (8 apr. 1500), che pose fine all'effimera, restaurazione sforzesca. Ottenne subito la libertà e nello stesso aprile poté recarsi a Mantova per offrire a quel marchese la garanzia del re dei Romani contro eventuali minacce della Francia. Nel luglio partì per Trieste, e vi arrivò il 6 agosto, passando per Muggia dove fu acclamato podestà dalla popolazione.
Sin dall'ultimo decennio del quindicesimo secolo il B. era entrato in rapporti con i più famosi umanisti che più tardi si raccoglieranno intorno alla corte di Massimiliano. Protetto dal vescovo di Worms, Johann von Dalberg, e da Georg Slatkonia (poi vescovo di Vienna), trovò successivamente il suo più zelante protettore nel segretario reale Johannes Krachenberger, che nel 1488 aveva inaugurato a Linz l'amicizia con Johannes Reuchlin e Conrad Celtis. Il Reuchlin includerà più tardi lettere del B. e del fratello Francesco nella sua raccolta delle Clarorum virorum epistolae. Soprattutto con il Celtis, che egli difese in un Hexasticon adversus obtrectatores Celtis, strinse un'amicizia duratura, sebbene questi avesse preferito il fratello Francesco, anch'egli aspirante a una cattedra della università di Vienna. Nel 1497 i due fratelli parteciparono alla raccolta encomiastica in onore della Sodalitas Danubiana recentemente costituita per il Celtis. Nella primavera del 1501 il B. collaborò insieme con altri umanisti di corte alla messa in scena del Ludus Dianae del Celtis avvenuta a Linz alla presenza di Massimiliano. Konrad Peutinger nel suo De mirandis Germaniae antiquitatibus sermones conviviales, apparso nel 1504, utilizzò certi suoi suggerimenti imposti nel corso di discussioni su questioni storiche. Più tardi il B. entrò in contatto con Jacob Spiegel, e verosimilmente anche con Erasmo da Rotterdam. Il B. stesso scrisse un cospicuo numero di poesie (raccolte in gran parte nel codice 664 della Biblioteca Universitaria di Innsbruck e nel codice 3506 della Biblioteca Nazionale di Vienna) che indirizzò per la maggior parte a protettori e amici (Celtis, Krachenberger, Johann Fuchsmagen, Ulsenius, Janus Tolophus). Più volte trattò nelle sue poesie del carattere e delle imprese degli Asburgo. Federico III venne descritto nelle sue piccole passioni, nella sua avarizia, nella sua inaccessibilità e durante la sua ultima malattia. Molto più positivo è il giudizio su Massimiliano, la cui causa egli difese in invettive poetiche contro il re Ladislao di Boemia e il vescovo di Nagyvárad Johann von Pruisz. Nel 1492 espresse in una poesia l'augurio di vittoria nella guerra contro i Turchi progettata da Massimiliano, nel 1494 compose un Epithalamion in occasione delle sue nozze con Bianca Maria Sforza. In una Querela urbis Romae ad divum Maximilianum Caesarem del 1494 invocò l'intervento del re dei Romani contro Carlo VIII di Francia e in una invettiva contro il poeta modenese Panfilo Sassi profetizzò il dominio universale dell'Asburgo. Compose inoltre poesie d'amore ed elegie sulla vanità del mondo. Buon conoscitore e imitatore della poesia antica (Virgilio, Tibullo, Properzio, Ovidio, Giovenale), il B. scriveva in uno stile spiritoso e duttile, spesso anche venato di cinismo, senza però lasciar trapelare l'autentico sentimento, neanche nelle confessioni personali.
Dopo la morte di Achaz von Sobriach, vescovo di Trieste, Luca de Renaldis, che aveva l'aspettativa del vescovato, rinunciò il 30 genn. 1502 in suo favore, riservandosi però una parte delle entrate. Non tutti i suoi concittadini sostenevano il B., che il 13 ott. 1501 aveva già ottenuto il consenso di Massimiliano. Il 5 apr. 1502 Alessandro VI lo confermò nella nuova dignità. A quanto pare Massimiliano gli avrebbe offerto il vescovato vacante di Vienna, ma il B. si decise per la sua città natale, una scelta che ripeté ancora nel 1511. Dato che la mensa vescovile di Trieste era estremamente impoverita, il B. dovette ricorrere al cumulo dei benefici. Oltre ai benefici ricordati, possedette ancora quelli di Lasko, Vipacco, Ribnica in Carnia e Illerberg in Baviera. La sua sollecitudine per il commercio triestino lo spinse a concludere nel 1505 un accordo con i parlamenti della Carnia, in base al quale i Carnielli erano obbligati a fare capo a Trieste per il loro commercio con l'Istria. L'esecuzione di questo accordo non ebbe però luogo, sebbene Massimiliano l'avesse approvato nel 1507.
Nell'autunno del 1505 il B. si recò in qualità di ambasciatore del re dei Romani a Venezia; nel 1507 prese parte alla dieta di Costanza. Durante la guerra tra Massimiliano e Venezia, esplosa nel 1508, il B. fu l'anima della resistenza della sua città contro i Veneziani. In un discorso tenuto nel marzo di quell'anno chiamò i Triestini alle armi. Dopo la capitolazione del 6 maggio, Trieste fu occupata dai Veneziani: il B. dovette andare in esilio e ritornò in patria dopo la battaglia di Agnadello nel giugno del 1509. Passò l'autunno del 1509 al seguito di Massimiliano all'assedio di Padova. Nel corso di un contrattacco conquistò e distrusse il castello di Moccò (ottobre 1511), ma dovette interrompere senza risultato l'assedio di Muggia. Questo insuccesso provocò nuovi contrasti con i Triestini desiderosi di pace, che egli tacciò di codardia e disonestà. Massimiliano lo nominò nel 1511 commissario ai confini e governatore del Friuli. Alla testa di una delegazione di Triestini nel giugno del 1513 il B. chiese all'imperatore soccorso per la città desolata dalla fame, dalla peste e dai saccheggi. Nel settembre dello stesso anno partecipò ai colloqui con il duca di Milano a Casalmaggiore. Subito dopo fece parte dell'ambasceria di obbedienza che l'11 dic. 1513 raggiunse Roma, dove assistette a varie sessioni del concilio lateranense. Nel 1515 funse da consigliere di Massimiliano in occasione del grande raduno di principi convocato a Vienna. Nel 1517 si recò a Vienna, dove fu accolto calorosamente da una delegazione dell'università e ottenne dall'imperatore il rinnovo degli statuti triestini del 1382. Nel marzo del 1517 il cardinale Matthäus Lang lo investì a vita del castello di Pilstan. In un memoriale dell'aprile del 1518 il B. richiamò l'attenzione dell'imperatore sull'importanza strategica ed economica di Trieste, definita un caposaldo di importanza europea, allo scopo di trasformarla in una fortezza imperiale.
All'inizio del 1518 il B. riprese in mano gli scritti composti da lui e dai suoi amici umanisti molti anni prima e lasciati a Innsbruck, per raccogliere le poesie indirizzate al consigliere imperiale Blasius Hölzel, già suo collega nella cancelleria di Massimiliano, e pubblicarle ad Augusta con il titolo di Complurium eruditorum vatum carmina. La prefazione porta la data del 1º maggio 1518. Nello stesso anno prese parte alla dieta di Augusta, dove accolse all'inizio di luglio in nome dell'imperatore il legato pontificio. Il 10 dic. 1518 Massimiliano, sul letto di morte a Wels, convocò i futuri membri del consiglio di corte, fra i quali il B. per la Carnia. Questi partì da Trieste, insieme col suo segretario G. Muzio che scrisse una relazione del viaggio, ma arrivò troppo tardi. Il 12 genn. 1519 Massimiliano morì. In un elenco ufficiale steso nello stesso mese il nome del B. compare al primo posto nella lista dei consiglieri di corte.Il 23 luglio 1519 l'arciduca Ferdinando a nome suo e del fratello Carlo, nominò il cardinale Matthäus Lang, il vescovo di Trento Bernardo Cles e il B., insieme con nove nobili, reggenti dei domini, ereditari austriaci con il compito di ricevere il giuramento di fedeltà dei parlamenti e di esercitare tutte le funzioni di governo. Dopo che il B. aveva assistito all'incoronazione di Carlo V a re dei Romani, avvenuta in Aquisgrana nell'ottobre del 1520, e dopo avere condotto energicamente le trattative con gli "Stati" austriaci alla dieta di Ybbs nel giugno dell'anno successivo, Ferdinando lo nominò il 7 luglio 1521 gran cancelliere e capo del Consiglio di corte che doveva assistere sua moglie, la reggente Anna. In questi anni il B. entrò in stretti rapporti con il nunzio Aleandro, che lo definì il più fidato difensore del cattolicesimo in Germania insieme col Cles e ottenne che nell'ottobre del 1521 suo figlio Ludovico fosse dispensato con bolla papale dal defectus natalium ed egli stesso avesse riconosciuta la piena capacità di testare. Il B. accanto a Giacomo Bannisio e a Matthäus Schiner fu uno dei principali artefici dell'editto di Worms contro Lutero: egli trattò ripetutamente con il principe elettore di Sassonia, perché inducesse Lutero a ritrattare con la minaccia di togliergli la sua protezione, e fu tra i membri fissi del comitato che redasse l'editto, del quale compilò da solo il testo latino.
Già sotto Massimiliano il B. si era adoperato per l'unificazione di Trieste con gli altri domini asburgici in Italia, in modo che i Triestini, come ebbe a dichiarare, non divenissero schiavi dei Carnielli. I suoi sforzi di ammettere Trieste, con l'occasione della divisione dei domini asburgici del 1522, ai possedimenti di Carlo però fallirono. Ottenne tuttavia dichiarazioni di Carlo e di Ferdinando, nelle quali veniva riconosciuta l'indipendenza della città di Trieste dalla Carnia. Dopo il suo arrivo a Wiener Neustadt il 12 giugno 1522, Ferdinando insediò un tribunale che doveva giudicare i capi della congiura ordita a Vienna e nella Bassa Austria ed emanò delle condanne molto severe. Al primo posto in questo consesso di giudici era, dopo l'arciduca, il B. in qualità di gran cancelliere. Il 18 ag. 1522 Ferdinando gli affidò la presidenza del Consiglio di corte, tenuta fino ad allora dall'arciduchessa Anna, e con ciò i pieni poteri di governo dei domini ereditari austriaci.
Due giorni prima arciduca aveva raccomandato al cardinale de' Medici un ambasciatore, Leonardo Bonomo, che doveva chiedere al papa il vescovato di Vienna per il B., e quello di Trieste per il figlio Ludovico. Il progetto però fallì: dopo la morte del vescovo di Vienna Georg Slatkonia, il suo coadiutore Konrad Renner (che dal 1519 aveva l'aaspettativa sul vescovato) fu escluso e il 7 febbr. 1523 il B. fu nominato, amministratore anche se solo in temporalibus. Alla fine del 1523, verosimilmente dopo una controversia con il clero viennese, lasciò l'amministrazione del vescovato e portò con sé parecchi oggetti dell'eredità di Slatkonia in base a diversi titoli giuridici. Per questa ragione ancora nel 1525 si trascinava un processo tra il B. e il nuovo vescovo di Vienna Johann von Revellis. Il 29 ott. 1523 fu dimesso da Ferdinando, su sua richiesta, anche dalla carica di gran cancelliere. Alla base di questo ritiro dalla politica furono con tutta probabilità vari motivi: la rivalità con il Cles, che diventò sempre più influente, l'appoggio dato a Carlo nella divisione del 1522 e forse anche l'opposizione ai duri provvedimenti di Ferdinando contro i luterani. Inoltre il delittò commesso da un nipote, che nel settembre era stato giustiziato a Venezia come un volgare assassino, sicuramente non giovò al suo buon nome.
Dopo aver ottenuto ancora a Vienna il 28 sett. 1523 una conferma degli statuti triestini, all'inizio di novembre si diresse nella sua città con un salvocondotto di Ferdinando. In questa circostanza l'arciduca gli concesse alcune saline fuori le mura di Trieste. Nel 1529 gli donò anche dei beni a Fiume. Sull'attività amministrativa del B. a Trieste non si hanno molte notizie. Nel 1530 emanò in Aquileia un proclama che sollecitava il pagamento della tassa per la guerra contro i Turchi.
Durante il suo lungo episcopato il luteranesimo si diffuse a Trieste e nei dintorni, senza che il B. prendesse provvedimenti decisivi per contrastarne la diffusione. Già prima del 1526 egli aveva accolto come cantore nel coro vescovile Primus Truber e lo aveva nominato suo cappellano. Gli procurò anche parecchi benefici, cosicché il Truber più tardi lo lodò come il suo più grande benefattore. Lo lasciò predicare a Trieste, anche quando non si poteva più dubitare delle sue convinzioni protestanti. Non si deve certo a motivi di ordine religioso la circostanza che egli abbia rifiutato al medico personale di Ferdinando, Paolo Ricci, sospettato di eresia, gli uffici che sollecitava. Nel 1540 furono deportati a Trieste centotrenta anabattisti condannati alle galere. Dopo che il B. si era interessato personalmente delle loro vicende, riuscì loro, a quel che pare non a sua insaputa, di fuggire. Nel settembre di quello stesso anno su invito del B. predicò a Trieste sui dieci comandamenti l'eremitano di S. Agostino Giulio, figlio di Stefano Della Rovere, perseguitato dall'Inquisizione. Costui non mancò di biasimarlo per i numerosi parenti che intratteneva presso di sé. Nel 1543 un certo frate Serafino predicò a Trieste, e quando fu invitato dal B. e dal capitolo a una pubblica disputa nel duomo scoppiò un tumulto. Nell'anno successivo fu processato a Trieste un cittadino che aveva insultato il B., perché aveva permesso a un monaco di predicare polemicamente sul culto di Maria. Da tutto ciò si può desumere che egli aveva abbandonato gli atteggiamenti di intransigente cattolicesimo adottati al tempo dell'editto di Worms, non manifestando alcuna ostilità verso i novatori religiosi, luterani, anabattisti e antitrinitari (era anche in rapporti con il medico e filosofo bolognese Melchiorre Cerroni). Senza rompere con la Chiesa cattolica, procurò alla sua diocesi un periodo di tolleranza al quale fu posto fine solo con l'inizio della Controriforma, dopo la sua morte. Nel 1545 consacrò prete, insieme col vescovo di Pedena e Pola, Pier Paolo Vergerio.
Il B. morì a Trieste il 15 giugno 1546 dopo aver preso, come affermò quindici anni dopo il Truber, la comunione sub utraque specie sul letto di morte. Fu sepolto nella chiesa triestina di San Giusto.
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