FRANCQUEVILLE (Francavilla), Pierre (Pietro)
Figlio dello scabino Martin, nacque nel 1548 a Cambrai in Francia. Dopo essere stato iniziato allo studio delle lettere, si orientò verso le arti plastiche, trovando stimoli nella scultura coeva di gusto italianizzante diffusa in patria soprattutto da C. Floris e J. Dubroeucq. Nel 1564 si trasferì a Parigi, dove entrò in contatto con J. Goujon e G. Pilon, scultori francesi di primo piano, educati alla lezione della scuola di Fontainebleau. Nel 1566 lasciò la capitale francese per recarsi alla corte dell'arciduca Ferdinando a Innsbruck. Durante il soggiorno in questa città, durato sei anni, il F. strinse rapporti con A. Colin, scultore influenzato dallo stile sansoviniano, con il quale collaborò probabilmente all'esecuzione del Cenotafio dell'imperatore Massimiliano nella chiesa locale dei cappuccini e alla decorazione del castello di Ambras (Mastrorocco, Lo scultore P. F.…, 1975).
Nel 1572, dopo una breve parentesi a Roma, il F. giunse a Firenze, dove ebbe la possibilità di instaurare legami di amicizia e di collaborazione con Jean Boulogne detto il Giambologna, figura chiave della scultura europea del tempo, e dove frequentò la Confraternita di S. Barbara dei Fiamminghi, compagnia laica riservata ai cittadini fiamminghi e nordici presso la chiesa della Ss. Annunziata (Battistini, 1931).
Con l'ausilio del Giambologna il F. ottenne nel 1574 l'incarico di scolpire una serie di statue da giardino raffiguranti Apollo, Diana, Cerere, Bacco, Flora, Zefiro, Pomona, Vertumno, Pan, Siringa, Proteo e Natura, per l'abate Antonio Bracci, nobile fiorentino, da destinarsi alla villa di Rovezzano e al palazzo di famiglia. Ultimate nell'aprile del 1580, le sculture passarono nel Settecento nelle collezioni reali inglesi e sono oggi conservate nel Victoria and Albert Museum di Londra e nel giardino di Windsor Castle. A questa serie si aggiunse anche una Venere, eseguita nel 1600 e di dimensioni maggiori, ospitata attualmente nel Wadsworth Atheneum a Hartford, CT (Scott-Elliot, 1956).
A questo primo periodo probabilmente risalgono anche tre statue prive di documentazione e di riferimenti cronologici: una Figura di giovane (forse Oceano), già nel giardino di Boboli, quindi al Museo del Bargello a Firenze (Aschoff-Pohlandt, 1969), una Temperanza in collezione privata nella villa di Lappeggi (Bellesi, 1992) e un bronzo con Diana nelle Staatliche Kunstsammlungen di Dresda (Raumschüssel, in Von allen Seiten…, 1995).
Con il Giambologna collaborò alla trasposizione in marmo di alcune delle sue composizioni più celebri. Il Baldinucci (1681-1728) ricorda infatti una sua partecipazione di rilievo nell'esecuzione del celebre Ratto di una sabina e del gruppo con Ercole e il centauro Nesso nella loggia dei Lanzi a Firenze. Plausibile appare inoltre un suo intervento nella realizzazione dei marmi con Firenze trionfante su Pisa e con l'Architettura nel Museo del Bargello (Mastrorocco, Lo scultore P. F.…, 1975). Frutto della collaborazione con il Giambologna risultano ancora le figure in bronzo della cappella Grimaldi a Genova (1579-85), oggi presso l'università, e le statue in marmo nella cappella Salviati in S. Marco a Firenze (1585 circa; De Francqueville, 1968).
L'incarico dei bronzi genovesi, che implicò un soggiorno dell'artista nel capoluogo ligure, favorì l'allogazione al F. di due maestose statue in marmo: Giano e Giove (Genova, Palazzo Bianco; ibid.) eseguite anch'esse per la famiglia Grimaldi, firmate e datate 1585. Esse evidenziano nella solida struttura plastica dei corpi e nel vigore espressivo dei volti riferimenti diretti, oltre che alle tipologie di B. Ammannati e di B. Bandinelli, al gusto monumentale di Michelangelo, che segnò nell'attività dell'artista una ricerca di superamento dall'imperante egemonia stilistica del Giambologna.
Tra il 1585 e il 1592 il F. eseguì una serie di statue commissionate da Giovanni Niccolini per la cappella di famiglia nella basilica di S. Croce a Firenze. Precedute da modelli ideati dal Giambologna (Spinelli, 1990 e 1993), le sculture, raffiguranti Mosè, Aronne, la Verginità, la Prudenza e l'Umiltà, alludono metaforicamente, come risulta dai documenti, a due eminenti personalità ecclesiastiche della nobile famiglia fiorentina.
Per l'alta qualità delle singole figure, per la cura doviziosa dei particolari e delle vesti e per l'eccellente tecnica esecutiva, il ciclo marmoreo è da ritenersi uno degli apici indiscussi della plastica fiorentina di fine secolo con requisiti stilistici che consentono di evidenziare, oltre ai retaggi michelangioleschi, punti di contatto palmari con la corrente classicista coeva, memore del linguaggio purista protocinquecentesco.
Una lunga genesi dovette caratterizzare l'esecuzione delle statue di Mosè e Aronne, come attesta la presenza di un gruppo cospicuo di modellini in terracotta conformi alle versioni definitive e differenziati solo per leggere varianti. Conservati in coppia o singoli nelle collezioni del Museo del Bargello a Firenze, nella Galleria nazionale d'arte antica in Palazzo Barberini a Roma e già nella raccolta Schweitzer a Berlino, tali modelli sono stati ritenuti dalla critica autografi del F. (De Francqueville, 1968; Mastrorocco, Lo scultore P. F.…, 1975; Bellesi, 1992). Spinelli (1993), al contrario, li ritiene in parte come probabili opere del Giambologna in virtù di una citazione archivistica che registrava un pagamento di 10 scudi all'artista nel 1584. La mancanza di notizie riguardanti ulteriori retribuzioni al Giambologna e l'analisi stilistica delle terrecotte mettono in dubbio tuttavia tale ipotesi.
Prive di datazioni, ma affini stilisticamente a questo gruppo, risultano un Nudo virile semidisteso (Londra, Victoria and Albert Museum) proveniente dalla raccolta Gherardini e forse originariamente in coppia con un'immagine disposta in controparte (Pope-Hennessy, The Gherardini collection…, 1970), una Carità nella facciata della villa Michelozzi a Bellosguardo (De Francqueville, 1968) e una Verginità in collezione privata (Bellesi, 1992).
Nel 1580 il F. si iscrisse all'Accademia del disegno a Firenze, ottenendo nel 1586 la qualifica di accademico (De Francqueville, 1968). Negli anni seguenti probabilmente effettuò un nuovo viaggio a Roma (Mastrorocco, Lo scultore P. F.…, 1975), prima di unirsi in matrimonio con la vedova Lucia Boni il 1° ag. 1589.
Allo sposalizio celebrato nella chiesa di S. Iacopo tra i Fossi a Firenze, prese parte tra i testimoni il pittore fiammingo G. Stradano (De Francqueville, 1968). Dall'unione nacquero i figli Smeralda, Olimpia e Scipione.
Quando nel 1589 a Firenze furono allestiti gli apparati scenografici, sotto la direzione di B. Buontalenti e dell'erudito N. Gaddi, per le nozze del granduca Ferdinando I de' Medici con Cristina di Lorena, il F. fu incaricato di modellare due statue colossali in cartapesta raffiguranti S. Podio e S. Zanobi. Collocate entro apposite nicchie erette nella nuova facciata provvisoria della cattedrale di S. Maria del Fiore, le due figure, oggi conservate all'interno dello stesso edificio sacro, facevano parte di una serie dedicata ai santi fiorentini più importanti, alla quale collaborarono anche gli scultori B. Lorenzi, G. Caccini e A. Marchissi (Schmidt, 1968).
Il 1589 fu senza dubbio uno degli anni più prolifici dell'attività del Francqueville. Oltre alle due statue destinate al duomo fiorentino, egli partecipò, sotto la direzione del Giambologna, alla realizzazione dell'Urna di s. Antonino Pierozzi per la cappella Salviati in S. Marco (De Francqueville, 1968). Scolpì inoltre il marmo raffigurante Giasone con il vello d'oro per palazzo Zanchini. L'opera, oggi conservata in palazzo Ricasoli (ibid.), presenta uno schema compositivo elegante e armonioso che evoca il celebre Perseo celliniano nella loggia dei Lanzi.
Nel 1591 il F. eseguì per Averardo Salviati una statua di Apollo, collocata originariamente nel cortile del palazzo di famiglia in via del Palagio e oggi conservata nella Walters Art Gallery a Baltimora. Debitrice della maniera fiorentina contemporanea e della lezione michelangiolesca, la scultura raggiunge virtuosismi esecutivi nella cura del volto e del corpo del giovane dio in cui l'artista esprime il suo ideale di bellezza.
A questa delicata scultura, che lasciò echi profondi in altre opere del F., come il Meleagro delle Staatliche Kunstsammlungen a Dresda (Pope-Hennessy, The Gherardini collection…, 1970), seguì nel 1593 l'esecuzione della statua della Primavera, già collocata nel giardino di Alessandro Acciaiuoli e poi trasferita nel 1608 sul ponte di S. Trinita (Baldinucci). Contornata da altre tre statue dedicate alle stagioni, scolpite da G. Caccini e da T. Landini, l'opera, rimasta gravemente deturpata durante la seconda guerra mondiale, è da annoverare tra le prove più interessanti del F. per l'alta qualità stilistica e per l'originale formulazione iconografica dell'immagine e dei motivi ornamentali, intrisi di significati allegorici allusivi prevalentemente alla rigenerazione ciclica della natura (Mastrorocco, Lo scultore P. F.…, 1975).
Oltre alle opere di destinazione profana, il F. attese, in questo periodo, anche alla realizzazione delle statue di S. Bartolomeo, S. Giovanni Evangelista (distrutta), S. Matteo e l'angelo e S. Stefano eseguite tra il 1591 e il 1594 per la cappella Senarega in S. Lorenzo a Genova (Bury, 1987).
Nel 1594 il F. si recò a Pisa, dove si trattenne alcuni anni per eseguire opere destinate prevalentemente alla corte medicea. Durante questa sosta scolpì, nel 1594, il gruppo marmoreo con il Granduca Ferdinando I che soccorre la città di Pisa per piazza Carrara (Pope-Hennessy, Giovanni Bologna…, 1970) e l'anno successivo, una statua del Granduca Cosimo I per la fontana in piazza dei Cavalieri.
Traduzioni "in grande" di modelli del Giambologna (oggi al Victoria and Albert Museum e al Louvre), al quale era stato affidato il primo incarico, le statue gettano le basi per una serie di sculture del F. dedicate alla ritrattistica medicea. Su questo filone si collocano infatti l'austero Ferdinando I in piazza del Duomo ad Arezzo e i busti dello stesso granduca collocati nella loggia dell'ospedale di S. Paolo dei Convalescenti a Firenze e nei palazzi Stellino e Altini Buonamici a Pisa. Di ambito francavilliano, seppure di autografia ignota, appaiono inoltre i busti del granduca mediceo in palazzo Bocca in Borgo Stretto e nella Pia Casa della Misericordia a Pisa (Ciardi, in Scultura a Pisa…, 1987).
A questo gruppo, codificato strettamente sull'esempio giambolognesco, si contrappone per maggiore libertà espressiva e per qualità stilistica più elevata, il raffinatissimo busto idealizzato forse raffigurante Ferdinando I nella Niedersächsische Landesgalerie di Hannover (Trudzinski, 1985), eseguito dal F. in età precedente e privo dei rigidi canoni legati alla ritrattistica ufficiale.
Il 13 ag. 1597 il F. ottenne la cittadinanza di Pisa (De Francqueville, 1968), dove ebbe modo di frequentare l'università. In particolare si dedicò agli studi di anatomia, nella quale "fecesi pratichissimo, e due notomie modellò di sua mano, di terra, in varie attitudini" (Baldinucci, 1681-1728, p. 65). Studiò, inoltre, geometria e cosmografia. Inventò una macchina per verificare le maree, ideò "un compasso, col quale partivasi una linea o circonferenza in quelle dimensioni che altri voleva, al quale fu dato nome di compasso di riprova… Un altro compasso fece di sua mano, ch'egli nominò squadro astronomico… Compose un libro intitolato il Microcosmo, in cui volle mostrare la fabbrica dell'uomo, le varie nature del medesimo" (ibid., pp. 69, 71).
A questo tempo è probabile far risalire anche due statuette in bronzo patinato raffiguranti studi per uno Scorticato, prive di documentazione, oggi conservate nel Museo dell'Università Jagellonica a Cracovia (Krahn, in Von allen Seiten…, 1995). Nel 1595 il F. eseguì sedici statuette in terracotta, oggi perdute, per il ciborio della cattedrale di Pisa (De Francqueville, 1968) e nel 1598 collaborò nuovamente con il Giambologna alla realizzazione di quattro dei sei bassorilievi in bronzo destinati al S. Sepolcro di Gerusalemme raffiguranti la Crocifissione, la Morte, la Deposizione e la Resurrezione di Cristo (Kriegbaum, 1927; Ronen, 1969-70).
Fusi da fra Domenico Portigiani, i bassorilievi furono allogati originariamente dal granduca Ferdinando I de' Medici per ornare la pietra della Sacra Unzione in Gerusalemme e, in seguito a vari spostamenti, giunsero infine nella limitrofa cappella della Crocifissione nello stesso luogo di culto.
La lunga permanenza a Pisa, durata sei anni, non impedì comunque periodici rientri del F. a Firenze, dove lo attendevano ambite commissioni. Nel 1598 eseguì la statua di Orfeo (Parigi, Musée du Louvre; Wiles, 1931 e 1933) per il giardino del palazzo di Girolamo Gondi a Parigi. Al suo arrivo in Francia l'opera suscitò notevoli interessi, soprattutto da parte del re Enrico IV, che promosse richieste formali alla corte toscana per avere l'artista al suo servizio.
In linea con questa scultura ma più legata agli ideali di bellezza classica, appare la statua di Mercurio, del 1604, eseguita dal F. per Duccio Mancini a Firenze (Baldinucci).
Passata successivamente nel giardino di Boboli e poi nelle raccolte di palazzo Pitti, l'opera presenta un'iconografia desueta intrisa di significati simbolici profondi, che consentono di comparare idealmente la figura del dio pagano a quella del giovane David, eroe biblico assai amato all'interno delle mura fiorentine (Mastrorocco, Lo scultore P. F.…, 1975).
Legate strettamente alla committenza del Giambologna risultano ancora molte opere eseguite dal F. tra la fine del Cinquecento e l'inizio del secolo successivo. Paradigmatica degli ottimi rapporti instaurati con il maestro appare l'esecuzione nel 1599 del marmo con S. Matteo e l'angelo per il duomo di Orvieto, firmato dai due artisti (Keutner, 1955). Sebbene esemplato sul bronzo con S. Luca eseguito dal Giambologna per Orsanmichele a Firenze, il marmo del F. si diversifica tuttavia per una ricerca anatomica meno rigorosa e plastica e per un'espressività più tesa e inquietante.
Nello stesso 1599 il F. scolpì per il chiostro occidentale dell'ex convento di S. Maria degli Angeli a Firenze i busti di Ambrogio Traversari e S. Romualdo, firmati e datati (De Francqueville, 1968; Paolucci, 1980), e contemporaneamente dovette realizzare anche quelli di S. Pier Damiani, S. Benedetto e Dio Padre, riferibili all'artista per considerazioni stilistiche (Schmidt, 1971). Commissionati da don Silvano Razzi, priore del convento dal 1592 al 1611, i busti facevano parte di una serie, costituita da altri cinque busti di G. Caccini. Per lo stesso committente il F. eseguì nel 1600 un secondo busto di S. Romualdo, oggi conservato nell'ospedale di S. Maria Nuova (De Francqueville, 1968).
All'inizio del Seicento il F. realizzò quattro pannelli con la Visitazione, il Battesimo di Cristo, il Bacio di Giuda e la Salita al Calvario per le nuove porte della cattedrale di Pisa. Ultimati nel 1601, questi facevano parte di una commissione che vide impegnati artisti di formazione e tendenze stilistiche diverse, come P. Tacca e H. Reichle, G. Mola e G. Caccini e ancora G. Pagani e A. Serani (Tanfani Centofanti, 1897; Supino, 1899).
La lunga permanenza del F. a Firenze si concluse con un'ultima commissione legata al Giambologna: le due statue della Vita attiva e della Vita contemplativa, scolpite nel 1604 per la cappella del Soccorso nel santuario servita della Ss. Annunziata (De Francqueville, 1968). Interpretate variamente anche come la Temperanza e la Speranza (Casalini, 1964), le due sculture si caratterizzano per l'originalità interpretativa delle figure, scevre dai languori e dalle sinuose movenze di matrice manierista e inclini a un ascetismo di stampo controriformato.
Preceduto dal successo ottenuto con l'Orfeo Gondi, il F. si trasferì in Francia, dove, dopo un breve soggiorno effettuato tra il 1602 e il 1604, è documentato stabilmente dal 1606 fino alla morte. Giunto dapprima a Parigi con l'allievo F. Bordoni, autore in patria di un busto del Granduca Cosimo I de' Medici in S. Agostino a Colle Val d'Elsa (Bagnoli, 1992), il F. fu raggiunto in seguito dalla moglie e dalle figlie, con le quali condivise una "molto onorevole abitazione" (Baldinucci, 1681-1728, p. 67), messa a loro disposizione dalla famiglia reale.
In Francia ottenne incarichi artistici e diplomatici importanti e la protezione della regina Maria de' Medici, figlia del defunto granduca Francesco I di Toscana. Tra le prime commissioni legate alla corte parigina compare l'imponente ritratto a figura intera del Re Enrico IV nel castello di Pau (De Francqueville, 1968). Attribuiti tradizionalmente all'artista risultano inoltre il busto di Henry d'Oultreman a Valenciennes e quelli di Martin Fréminet e del Giambologna al Louvre (ibid., 1968; Mastrorocco, P. F. alla corte di Francia, 1975).
Risale al 1609 l'esecuzione del gruppo con il Tempo che rivela la Verità e calpesta la Calunnia (talvolta interpretato erroneamente come il Tempo che rapisce la Verità; ibid.), per i giardini delle Tuileries e poi trasferito nel 1667 nel parco del castello di Pontchartrain, dove è tuttora (De Francqueville, 1968).
Preceduta da disegni preparatori, l'opera rivela schemi compositivi di palese derivazione giambolognesca, attestando analogie stringenti soprattutto con il celebre Ratto di una sabina della loggia dei Lanzi a Firenze. Rispetto a questo, tuttavia, l'opera del F. mostra un andamento cadenzato e una disposizione rigorosa che privilegia la visione frontale dell'insieme. Stilisticamente, oltre ai retaggi fiorentini si notano un recupero delle armonie e dei sinuosi languori della scuola di Fontainebleau, ammiratissimi ancora dalla corte parigina.
Il Mercurio del castello di Fontainebleau, del 1610 circa (Fournier-Sarvoléze, 1902), e il David con la testa di Golia del Louvre, firmato e databile al 1612 (Courajod, 1894), rivelano, rispetto al gruppo di Pontchartrain, un legame meno stretto con la tradizione figurativa francese e un felice connubio tra gli archetipi classici e i modelli derivati dalla scultura fiorentina contemporanea, mediati soprattutto sugli esempi toscani del Cellini e del Giambologna.
L'ultimo periodo di attività del F. fu dedicato all'esecuzione dei bassorilievi in bronzo dello zoccolo e delle statue angolari allusive alle quattro parti del mondo (Parigi, Musèe du Louvre) per il maestoso monumento equestre di Enrico IV, oggi quasi interamente perduto (Mastrorocco, P. F. alla corte di Francia, 1975).
Allogata nel 1604 al Giambologna la statua fu imbarcata nel 1613 a Livorno alla volta della Francia. Giunta a Parigi fu collocata nel 1614 sul Pont-Neuf, dove rimase fino al momento della sua distruzione durante la Rivoluzione francese. Nello scempio andarono distrutti anche i cinque bassorilievi bronzei dello zoccolo, eseguiti soprattutto dal F. e dal Bordoni, mentre si salvarono le statue angolari. Prove estreme dell'attività dello scultore queste si legano tipologicamente al motivo del prigione, tema tra i più apprezzati nella scultura fiorentina del Cinquecento, ed esemplificano magistralmente l'ultimo periodo dell'artista, oscillante tra la grazia manierata della scuola di Fontainebleau e le ricerche plastiche ereditate dall'esperienza fiorentina.
Il F. morì a Parigi il 25 ag. 1615 (Gaye, 1840). Il suo incarico presso la corte francese fu ereditato dal Bordoni, che nel 1611 ne aveva sposato la figlia Smeralda (De Francqueville, 1968).
Molte risultano le opere attribuite al F., oggi prive di riferimenti documentari certi. Tra queste una Figura femminile seduta nel Victoria and Albert Museum (Avery, in Giambologna…, 1978), una Venere nel Museo di S. Matteo a Pisa (Roani Villani, 1991), un Ratto di una sabina nel giardino della villa Borromeo a Lainate (Morandotti, 1985), un busto di Giordano Bruno nella collezione Johnson a Filadelfia, un Dio fluviale nella raccolta Cooper a Londra e il "cosiddetto" Pastore Parigi nel castello di Valençay, databile al 1604 e proveniente da palazzo Vecchietti a Firenze (De Francqueville, 1968). Tra le opere citate prevalentemente nelle fonti e nella critica letteraria, perdute o al momento non identificate, si segnalano una statua di Gabrielle d'Estrées in territorio francese (Mastrocco, P. F. alla corte di Francia, 1975), un Ritratto di Bernardo Martellini nell'omonimo palazzo fiorentino e un busto della Granduchessa Cristina di Lorena nelle raccolte medicee (De Francqueville, 1968).
Oltre che nella produzione scultorea i testi letterari antichi ricordano un'attività del F. connessa a progetti architettonici e l'esecuzione di alcune opere pittoriche, al momento non individuate, tra le quali i ritratti del Re Enrico IV di Francia e del Granduca Ferdinando I de' Medici (Baldinucci). L'unica pittura riferita al F., seppure in via dubitativa, risulta il ritratto del Giambologna nel suo studio in collezione privata (Avery, 1987).
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