Brosse, Pierre de la (Pier da la Broccia)
Nella turba spessa degli spiriti negligenti periti di morte violenta che gli si stringono attorno invocando ch'altri preghi per loro, D., dopo Iacopo del Cassero, Buonconte, Pia e immediatamente prima di Sordello, dà rilievo particolare (Pg VI 19-24) a questo personaggio che ebbe l'anima divisa / dal corpo suo per astio e per inveggia /... non per colpa commisa: è il francese Pierre de la B., che fu chirurgo e ciambellano di Luigi IX e di Filippo III l'Ardito (il nasetto di Pg VII 103; non perciò di Filippo il Bello suo figlio, come erroneamente dicono molti commentatori antichi e più recenti). Caduto in disgrazia del re, il de la B. fu giustiziato il 30 giugno 1278, " secondo che alcuni dicono, dicapitato, e secondo alquanti, appiccato " (Buti; cfr. infatti Pietro: " suspensus "; pseudo Boccaccio: " fatto tagliare ").
Non è ben accertato se discendesse da nobile famiglia; la tradizione (di cui si trova eco nel Serravalle, che parla di un ‛ quidam miles ' " qui stabat in curia Regis ") preferì in genere crederlo di umile estrazione e salito per abilità e meriti a mansioni di responsabilità alla corte di Francia, dove divenne il favorito di Filippo III, che gli affidò, a quanto sembra, anche incarichi di alta fiducia: ciò che valse evidentemente a suscitargli intorno astio e inveggia. Mansioni di fiducia dovè esercitare anche presso Carlo d'Angiò, se questi gli concedette in dono per ‛ molti servigi ' resi il feudo, la villa e il castello di Laugers, con decreto del 17 giugno 1273 (Zingarelli, Dante 525 n. 33).
Tutti gli antichi commentatori concordano - fors'anche troppo - con D. nel ritenere principale artefice della rovina del ciambellano la donna di Brabante, Maria, seconda moglie (1274) di Filippo III; varie però sono le ragioni addotte a spiegare l'astio della regina: se alcuni commentatori restano nel vago (Pietro, pseudo Boccaccio, Vellutello) e altri parlano di generica gelosia (per es. Benvenuto: " concepit grave odium contra eum, quem vir suus tantum diligebat "), l'Anonimo accetta invece un'altra tradizione - documentata anche nelle Grandes croniques de France (Philippe III, cap. XXII; v. Toynbee, Dictionary 112) - secondo la quale, morto misteriosamente nel 1276 Luigi, erede designato alla successione in quanto figlio di primo letto del re, il de la B. avrebbe insinuato al re che quella morte non era naturale, aggiungendo: " Monsignore, guardate meglio gli altri ". La regina " pensò che ciò fosse stato detto per lei, ch'ella l'avesse fatto morire perché i figlioli [nati da lei e da Filippo] fussono reda: non pensò mai se non di fare morire Piero ". Qualche tempo dopo il ciambellano fu trascinato in giudizio, o accusato, secondo altri commentatori, di alto tradimento: avrebbe infatti scambiato alcune lettere con Alfonso X di Castiglia durante la fase acuta della crisi tra Francia e Spagna per la successione al regno di Navarra, lotta conclusasi nel 1285 con la disastrosa ritirata in cui Filippo III morì fuggendo e disfiorando il giglio (Pg VII 105); tali lettere, intercettate e prodotte in giudizio, costituirono la grave prova della colpevolezza del ciambellano. (Segnaliamo qui a puro titolo d'inventario la romanzesca ricostruzione della vicenda riportata dal padre Daniel nel IV vol. dell'Histoire de France e accettata senza alcuna modifica dal Filalete).
La grandissima maggioranza dei commentatori afferma invece che l'accusa fu di avere attentato all'onore della regina. Benvenuto, che dei fatti fornisce più ampie informazioni, sembra aver raccolto e fuso le due imputazioni in una: afferma infatti che la regina accusò il ciambellano di averle diretto " literas venereas "; e D. stesso, aggiunge, avrebbe potuto appurare l'innocenza del de la B. " explorata diligenter veritate huius rei ", quando fu a Parigi " post exilium suum "; affermazione che appare invero poco attendibile, non solo per la scarsa probabilità di tale viaggio, ma più perché non si vede come il poeta potesse accertare la verità di fatti tanto oscuri quarant'anni dopo il processo. Non è possibile determinare se D. conoscesse ambedue le imputazioni: la regina, che il poeta indica come diretta responsabile della rovina di Pierre de la B., e che anzi è da lui invitata a pentirsi finché è in tempo (Maria morì nel gennaio 1321; avrebbe quindi potuto leggere i versi di D.), avrebbe potuto ordire la trama per perderlo tanto falsificando le lettere indirizzate al re di Castiglia quanto accusando falsamente il ciambellano di aver tentato di sedurla. Quale che sia la verità storica dell'episodio, e qualunque sia la versione dei fatti accolta dal poeta, è certo che D. ritiene il de la B. assolutamente innocente, presentandolo come un'altra vittima della meretrice che mai da l'ospizio / di Cesare non torse li occhi putti (If XIII 64-65; il parallelo con Pier delle Vigne è già sottolineato da Benvenuto), coinvolgendo nell'accusa, oltre alla regina (della quale è l'astio, il rancore), l'ambiente di corte (inveggia).
In questo episodio più che in altri D. sembra aver seguito esclusivamente la ‛ vox populi ', entrata probabilmente anche in qualche cronaca, senza sottoporla a vaglio critico; ci è dato qui di sorprendere, forse più chiaramente che in altre circostanze del poema, un D. giudice parziale: sia la scelta del personaggio sia l'acritica adesione alla ‛ voce ' che accusava la regina appaiono infatti intenzionali (e non ci sembra senza significato il fatto che di tutti i personaggi qui nominati da Sordello il de la B. sia quello cui D. ha concesso maggiore spazio: cinque versi e mezzo, di contro ai due di Benincasa, l'uno di Guccio de' Tarlati, i tre complessivi per Federigo Novello e Farinata degli Scornigiani, l'emistichio del conte Orso). Pierre de la B., oltre ad essere, come Pier delle Vigne, la vittima schiacciata dalle mene della corruzione cortigiana, è in più il portavoce del misogallismo di D., che qui coglie altra occasione per dipingere a fosche tinte la corte francese e per infamare ancor più il mal di Francia, Filippo il Bello, che sarebbe dunque salito al trono grazie al delitto della madre, che soppresse sia il legittimo erede Luigi, sia chi sospettava di lei.
I gallicismi inveggia, commisa, proveggia, posti in maggior rilievo dalla posizione in rima, hanno fatto pensare a un'intenzionale caratterizzazione linguistica del personaggio, procedimento non insolito in D. (si veda ad es. il discorso di Pier della Vigna, ricco di ‛ flores ' retorici); ma sembra senz'altro eccessivo interpretare l'inciso com'e' dicea " per dirla nella sua lingua ".