PURICELLI, Piero
PURICELLI, Piero. – Nacque a Milano il 4 aprile 1883, da Angelo, imprenditore del settore stradale, e da Carlotta Combi.
Laureatosi nel 1906 in ingegneria meccanica presso la Eidgenössische Technische Hochschule (Politecnico federale) di Zurigo, rientrò a Milano e si inserì nell’azienda di famiglia. Nel 1910 sposò Antonietta Tosi, erede del fondatore della Franco Tosi, dal matrimonio con la quale nacque il figlio Franco.
Nel 1914 Piero fondò la nuova Società Puricelli strade e cave che, durante la prima guerra mondiale, collaborò con il Genio militare, fornendo all’esercito compressori e altri strumenti per le lavorazioni stradali, costruiti nella sua officina di Sesto San Giovanni. Negli stessi anni fu socio influente del Touring Club Italiano, nel cui ambito creò l’Istituto sperimentale stradale (1918), e partecipò alla commissione sportiva del Reale automobile club d’Italia (1922).
Nato nel 1894, il Touring contava cinquecentomila iscritti negli anni Venti e, sotto la guida di Luigi Vittorio Bertarelli, costituì un simbolo della modernizzazione del Paese promuovendo, fra l’altro, il turismo automobilistico attraverso la pubblicazione di guide geografiche e stradali delle regioni italiane e delle colonie.
Nel 1922 Puricelli costruì l’autodromo di Monza, progettato dall’architetto Alfredo Rosselli e, nello stesso anno, entrò nella giunta esecutiva dell’Ente fiera di Milano. Agli inizi degli anni Venti ideò il programma di costruzione delle autostrade: moderne arterie a scorrimento veloce con pagamento del pedaggio e, nel marzo del 1922, presentò il progetto della Milano-Laghi al Touring Club, divenuto operativo in novembre dopo un suo incontro risolutivo con il nuovo presidente del Consiglio, Benito Mussolini. Nel febbraio del 1923 entrò a far parte del Consiglio superiore dei Lavori pubblici. Per eseguire il programma fu creata la Società Autostrade. I lavori iniziarono nel marzo del 1923 e finirono nel settembre del 1925. Alla prima opera seguirono la Milano-Bergamo-Brescia, la Napoli-Pompei, la Roma-Ostia, la Firenze-Mare e la Padova-Mestre. Le società private ottennero la concessione per cinquant’anni, ma la crisi economica accelerò il riscatto allo Stato fin dal 1933. La gestione fu affidata all’Azienda autonoma delle strade statali (AASS), istituita nel 1928, cui fu appaltata anche la camionale Genova-Serravalle, l’ultima autostrada dell’era fascista inaugurata il 28 ottobre 1935.
Puricelli è indissolubilmente legato al mito della modernità e della velocità, concepito dal duce (e dal futurismo) per rappresentare idealmente la rapidità del tempo nuovo plasmato dalla rivoluzione fascista, ed evidenziare la lontananza siderale della rinnovata Italia, forgiata dalla Grande Guerra e dalla lotta per la conquista del potere, da quella vecchia dell’età liberale. Come scrisse il Popolo d’Italia, egli incarnava l’autentico italiano dei tempi moderni. Rappresentò idealmente quel nuovo modello di ingegnere descritto da Alberto Mondini come «uomo tipo del XX secolo» (Calcagno, 1996, p. 320), entrando a pieno diritto in quella schiera di tecnocrati (Alberto Beneduce, Oscar Sinigaglia, Agostino Rocca, Marcello Piacentini) che abbracciarono il fascismo come lo strumento più efficace per modernizzare le strutture economiche del Paese. Fu il rapido esecutore di quel ‘piano di rinascita stradale’ che avrebbe dovuto operare una trasformazione integrale delle principali vie di comunicazione del Paese, traducendo tecnicamente e materialmente la volontà del duce di portare l’Italia nel XX secolo. L’autostrada fu il suo capolavoro. Ne parlò anche Antonio Gramsci, nei Quaderni del carcere, coniando il neologismo puricellismo per definire la moda (lui scrisse «mania») delle «dispendiosissime» nuove vie di comunicazione (Gramsci, 1977, pp. 249 s.).
L’idea di una strada a pedaggio per sole auto non era originale, ed è discutibile che Puricelli ne fosse davvero l’inventore, progetti analoghi erano stati già concepiti all’estero, così come furono discutibili i vantaggi economici, anzi i rapporti costi-profitti furono negativi, ma è certo che sia stato il genio dell’ingegnere lombardo a coniugare il progetto della nuova arteria all’aspirazione alla modernità. Le carreggiate, non più ostruite da carri e animali, né costrette a intersecare i borghi dell’Italia rurale, sarebbero state percorse da autocarri e automobili, offrendo rapidità dei tempi di viaggio, velocità ed elasticità del trasporto delle merci, regalando quella flessibilità che la ferrovia non poteva garantire e avviando quella rivoluzione del tempo libero che si sarebbe pienamente dispiegata solo negli anni del boom economico. Simboleggiò la meccanizzazione del paesaggio italiano, rinnovato plasticamente da cemento e acciaio, come raffigurato in alcuni dipinti da Mario Sironi, spazzando via quell’immagine romantica, tradizionale e antica del Paese, idealizzata all’estero e spregiata dal Mussolini motociclista e aviatore. Il matrimonio con il regime sarebbe rimasto saldo fino all’apoteosi della conquista dell’Etiopia, ove anche la leggenda dell’ingegnere lombardo, seppur ormai esautorato da ogni incarico operativo, sarebbe stata usata sapientemente per forgiare il mito del duce costruttore dell’impero.
Nel 1927 divenne presidente della Fiera campionaria e nello stesso anno fu insignito della laurea ad honorem dal Politecnico di Milano seguita, nel 1938, da quella conferitagli dalla Technische Universität Berlin (Università Politecnica di Berlino).
Il 28 febbraio 1929 fu designato come senatore, presentato da Roberto Farinacci e Carlo Del Croix: l’assemblea convalidò la sua nomina con ventidue voti contrari. Aderì al gruppo dell’Unione fascista del Senato, riservato ai tesserati del Partito nazionale fascista (PNF), al quale si era iscritto nell’ottobre del 1925. La sua attività parlamentare fu marginale: nei verbali non vi sono tracce di suoi interventi in aula e, eletto membro della commissione per l’Africa Italiana nella legislatura 23 marzo 1939-5 agosto 1943, partecipò a sole sette riunioni sulle ventidue indette.
Nel luglio del 1929 le società del gruppo si fusero e, con la compartecipazione della Banca commerciale italiana (di cui Puricelli divenne vicepresidente), nacque la nuova Società anonima Puricelli strade e cave. Nonostante nel 1933 Puricelli avesse ottenuto dal duce un appalto speciale per la costruzione di 1600 km di strade, l’anno seguente la società scivolò verso il fallimento a causa della crisi economica internazionale e della gestione dissennata del suo fondatore.
La crisi di liquidità fu aggravata, come sempre nel settore delle costruzioni stradali, dalla dilazione dei pagamenti della pubblica amministrazione. La società non solo risultava esposta per circa 380 milioni verso la Banca commerciale, ma questa deteneva anche un terzo delle azioni; e, benché le rimanenti appartenessero in gran parte a Puricelli, queste furono date in pegno all’istituto a garanzia di un forte debito personale.
Per evitare il tracollo della società, Mussolini si rivolse all’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) che nel febbraio del 1936 ne assunse il controllo.
Alla crisi societaria avevano concorso anche i comportamenti di Puricelli, rivelatosi troppo accentratore e incapace di creare – contestualmente all’aumento delle dimensioni dell’impresa – un’adeguata organizzazione amministrativa e contabile. Stando alle fonti IRI, inoltre, era afflitto da certa megalomania e conduceva un elevato tenore di vita, tanto da arrivare ad attingere cifre ingenti dal capitale della società per riversarlo nel proprio; né mancarono rilievi di altro tipo, come quello di avere inserito il figlio neolaureato nell’azienda attribuendogli uno stipendio esageratamente alto.
Il problema del salvataggio della società non era solamente economico, ma diveniva squisitamente politico: una delle imprese simbolo del regime fascista nel settore delle opere pubbliche non poteva fallire, né tantomeno trascinare nella rovina il proprio fondatore. Altrettanto inconcepibile sarebbe stato ipotizzare che la Puricelli fosse esclusa dal nuovo grande teatro ove il regime si avviava a rappresentare, edificando città e strade, la propria grandezza. Mussolini concesse la massima libertà d’azione al presidente dell’IRI, Beneduce, a tre condizioni: che fosse salvata la società; che essa partecipasse in primo piano alla costruzione delle opere pubbliche in Africa orientale italiana; che venisse salvaguardata la posizione personale di Puricelli.
Beneduce e Donato Menichella concordarono un gentlemen’s agreement con Puricelli, al quale fu attribuita la presidenza onoraria con un generoso assegno annuo; inoltre l’IRI gli concesse 42 milioni per saldare i propri debiti personali, e gli offrì l’opzione di potere riscattare la società entro cinque anni allo stesso prezzo. In questo caso però egli avrebbe dovuto rimborsare anche tutti i crediti diretti e indiretti dell’istituto (circa 500 milioni); amministratore della società fu nominato Giuseppe Imbriani Longo.
Il risanamento della società seguì due indirizzi: da un lato, una politica di rigido contenimento dei costi e di cessione di tutte quelle attività, come le miniere e le cave, che appesantivano il bilancio; dall’altro, una spregiudicata acquisizione di commesse pubbliche in Africa orientale italiana, in Italia e nel resto dell’impero (Egeo, Libia e Albania), favorita dalla natura pubblicistica dell’impresa e dalla contiguità dei vertici dell’IRI con il regime. Già il 19 maggio 1936 Mussolini tracciò personalmente il primo piano delle nuove arterie che si irradiavano da Asmara e da Addis Abeba verso la periferia dell’impero per complessivi 2850 km. Alla Puricelli fu affidata la costruzione della camionale da Assab a Dessiè (861 km). Fra il 1936 e il 1940 essa si aggiudicò commesse per circa 1,8 miliardi di lire, di cui 1,3 nella sola Africa orientale italiana, pari al 20% del totale della spesa per le opere pubbliche. Nel 1939 la società registrò il primo bilancio in utile dopo una lunga serie di esercizi negativi. Essa fu completamente risanata: l’esposizione verso l’IRI scese a soli 100 milioni di lire, fu colmato un vuoto di 130 milioni scoperto all’inizio della gestione pubblica e ricostituito il capitale sociale di 30 milioni.
Fin dal 1925 Puricelli aveva ideato una rete autostradale europea. Nella primavera del 1933 fu ricevuto da Adolf Hitler alla presenza anche di Fritz Todt e si offrì come consulente per il programma stradale concepito dal regime nazionalsocialista. Nel 1937, dopo un nuovo colloquio con il führer, Puricelli lanciò l’idea di un asse autostradale Roma-Berlino. Nel marzo del 1938 Beneduce, che pure all’epoca del passaggio della società all’IRI lo aveva criticato duramente, chiese al duce di affidargli la progettazione del tratto italiano fino al Brennero. Ma il piano si arenò e a nulla valse il tentativo di Puricelli di rilanciarlo nell’autunno del 1940. Nel gennaio 1940 Vittorio Emanuele III lo nobilitò come conte di Lomnago.
Nell’aprile del 1940 Puricelli rinunciò definitivamente all’opzione di riscatto, ottenendo la corresponsione di 25 milioni di lire dall’IRI, e si dimise dalla presidenza. La Puricelli cambiò denominazione e divenne la Società Italstrade. Nel maggio del 1942 suggerì a Mussolini di creare un ente parastatale per lo studio e la creazione di una rete autostradale, il cui primo obiettivo avrebbe dovuto essere la costruzione di una grande arteria da Bologna al Mezzogiorno, per procedere alla «fusione dell’Italia meridionale con l’Italia settentrionale» (ACS, SPD, CR, b. 60, f. 293/R, Puricelli a Mussolini, 26 maggio 1942) e incentivare l’industrializzazione del Sud, anticipando in questa maniera il programma che sarebbe stato realizzato dall’IRI negli anni Cinquanta.
Nel dicembre del 1944 Puricelli fuggì in Svizzera poco prima di essere arrestato perché sospettato di avere aiutato i partigiani; qualche mese prima, nell’agosto, era stato deferito all’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo e giudicato colpevole di avere pienamente aderito al regime e di avere operato anche come senatore per il suo rafforzamento. Il provvedimento di decadenza dalla carica fu emanato l’8 aprile 1946; in luglio fu invece prosciolto dall’accusa di collaborazionismo.
Negli ultimi anni di vita operò ancora nel settore immobiliare.
Morì a Milano l’8 maggio 1951.
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