CARAFA, Pier Luigi
Nacque a Napoli il 18 luglio del 1581, quarto di otto fratelli, da Ottavio, marchese d'Anzi e Trivigno, e da Costanza Carafa dei conti di Policastro. Dopo avere frequentato per un periodo di due anni i corsi di umanità, retorica, greco ed ebraico nel collegio dei gesuiti, studiò filosofia presso il Collegio Romano, quindi rientrò a Napoli per conseguire la laurea in teologia presso i gesuiti e per completare infine gli studi di giurisprudenza civile e canonica. Nel 1607 si trasferì a Roma per ricevere da Paolo V la nomina a referendario delle due Segnature e, in seguito, di vicelegato a Ferrara e di governatore a Fermo (1614). Il 29 maggio 1624 Urbano VIII lo nominò vescovo di Tricarico, destinandolo contemporaneamente alla nunziatura, di Colonia.
Le istruzioni pontificie impegnavano il C. alla conservazione delle posizioni di preminenza cattolica, ma soprattutto alla riconquista di quelle perdute. Ciò avrebbe dovuto ottenere attraverso il ristabilimento della disciplina interna della Chiesa e assicurando nei vescovati vacanti la nomina di elementi di sicura fedeltà. Questi avrebbero dovuto aiutarlo nell'opera di proselitismo esterno, da attuarsi attraverso missioni, istituzioni di scuole affidate preferibilmente ai gesuiti, appoggio alle confraternite per la conversione dei protestanti, fra le quali era particolarmente attiva quella dei cappuccini di Colonia. Un attacco più diretto ai riformati avrebbe dovuto promuovere in particolare in Nassau-Siegen, donde avrebbe dovuto cacciare i predicatori calvinisti, appoggiando le iniziative di restaurazione del conte palatino Volfingo Gugliemo von Neuburg e cercando di ottenere la restituzione dei beni ecclesiastici confiscati. Era inoltre necessario epurare le università di Colonia e di Würzburg, all'interno delle quali le infiltrazioni di elementi eretici avevano assunto proporzioni preoccupanti. Infine il C. avrebbe dovuto proseguire l'opera di riforma interna degli Ordini mendicanti, assai scaduti sul piano disciplinare.
Il 15 giugno 1624 il C. giunse a Colonia e presentò le credenziali ai vescovi e al Senato, che lo accolsero con grande favore. In breve riuscì ad espellere i predicatori calvinisti dal Palatinato renano e dal ducato di Berg, in ciò aiutato dal conte di Neuburg e dal conte Giovanni di Nassau. Per la Bassa Sassonia, dispose l'invio, come missionario, di Martino Stricker, già impiegato a tale scopo dal predecessore del C., A. Albergati. Intanto, lentamente ma con fermezza, cominciò a riprendere possesso dei conventi confiscati.
In una relazione del giugno 1625 il C. aveva previsto le conseguenze della guerra sassone-danese appena iniziata e, mettendo in rilievo le mire dei Danesi sui vescovati di Brema, Verden, Halberstadt e Magdeburgo, esponeva la necessità di contromisure: l'imperatore avrebbe dovuto opporsi anche con le armi ai progetti danesi imponendo la nomina di cattolici in quei vescovati che erano allora occupati da "pseudovescovi" in deroga alle clausole del trattato di Passavia del 1552.
La ripresa dei processi per la restituzione dei beni cattolici confiscati, seguita alle vittorie militari del Tilly, poneva peraltro l'alternativa tra la restituzione generale rivendicata dai principi elettori cattolici e la più cauta politica di compromessi individuali con i protestanti perseguita dalla corte imperiale. Il C. si pose tra i più accesi fautori della prima soluzione, e anzi, nel gennaio 1628, scrivendo alla Curia da Liegi, dove nel frattempo aveva fissato la propria residenza, insisteva sulla necessità 0 allontanare i vescovi e i canonici protestanti, con la massima urgenza e senza attendere la convocazione della Dieta per la conclusione della pace. Anche da Roma tuttavia giunsero istruzioni per iniziative singole di restaurazione. In queste condizioni non restava al C. che favorire per quanto possibile il recupero dei singoli vescovati, come quello, particolarmente arduo, di Magdeburgo, per il quale sollecitò l'intervento del nunzio presso la corte imperiale Carlo Carafa, del cardinale segretario di Stato e dell'ambasciatore imperiale a Roma, perché influissero su Ferdinando II.
Più incisiva ed efficace poté essere la azione del C. a proposito della riforma degli Ordini monastici. Dal novembre del 1626 diede inizio ad un programma di visite a chiese e conventi, partendo da quelli della diocesi di Liegi. La visita pastorale fu sovente accompagnata da vivaci contrasti con i religiosi che si rifiutavano di sottostare alle disposizioni del nunzio.
Particolare risonanza ebbe l'opera del C. nei confronti della antica abbazia di Fulda. Il cenobio benedettino di S. Salvatore, il principale di un vasto gruppo di chiese, monasteri e conventi, accoglieva circa quattrocento religiosi, un tempo celebri per santità e dottrina, ora invece per licenziosità e corruzione. Fin dal 1624 essi avevano tenacemente resistito all'azione moralizzatrice del principe abate Schenk di Schweinsberg. Il 15 febbr. 1627 Urbano VIII ne diede incarico al C. che iniziò la sua visita apostolica il 4 luglio, accompagnato dal suo consigliere padre Jacques Marchant, noto predicatore e teologo. Si dedicò per quattro settimane alle udienze con i singoli monaci, che sottopose a un interrogatorio sulla base di un questionario costituito da cinquantuno domande. Infine dall'esame della situazione, degli statuti del capitolo e della regola di s. Benedetto, emanò i suoi decreti. I benedettini, nel tentativo di opporsi, chiesero tre mesi per esaminare i decreti, ma il C. concesse loro soltanto due giorni, trascorsi i quali accordò irrilevanti modifiche salvando interamente le riforme sostanziali. I decreti per la riforma dei conventi di Fulda si articolavano su ottanta punti, parte dei quali dedicati alla cura del tempio, parte ai monaci, altri ai prevosti e alcuni all'abate; costringendo i monaci all'accettazione dei decreti, il C. riuscì insperatamente a ripristinare lo spirito e a volte la lettera delle regole benedettine, tornando ai principi di ascetismo e spiritualità che erano stati completamente abbandonati.
Sulla sua missione il C. riferì nell'opera Viaggio di Fulda (Venezia 1629).
La nunziatura del C., di estrema importanza, dunque, per la riforma ecclesiastica e per l'introduzione dei decreti del concilio di Trento, riveste un particolare interesse anche per i conflitti di giurisdizione e per i problemi squisitamente politici che egli si trovò ad affrontare e che gettano una certa luce su quella che è stata chiamata la "democrazia" di Liegi. A questo riguardo fu particolarmente incisiva la sua opera in tema di immunità ecclesiastica, che mantenne nel più grande rigore soprattutto nelle appellazioni che si facevano dai tribunali vescovili alla Camera di Spira.
Un motivo di conflitto era rappresentato dalla presenza a Liegi di commissari imperiali che, eccedendo le loro istruzioni in merito alla riforma dei tribunali ecclesiastici, cercavano di attribuirsi le competenze della giurisdizione apostolica e del tribunale del nunzio. L'obiettivo era quello di modificare la procedura vigente - che prevedeva per il tribunale del nunzio il diritto di conoscere le cause secolari di seconda e terza istanza - sopprimendo l'appello al nunzio o a Roma. Nell'intento di bloccare queste innovazioni, il C. intervenne presso il principe di Liegi giungendo ad interessare alla cosa direttamente l'imperatore. Si crearono così per i commissari imperiali tante difficoltà da costringerli in breve alla partenza.
Rimase tuttavia un difficile conflitto di competenze fra i tribunali ecclesiastici e la Camera di Spira, di cui rimane notizia in un abbondante carteggio fra le due parti. Da un lato la Camera di Spira accusava l'autorità ecclesiastica di ingerirsi indebitamente in cause secolari, dichiarando di conseguenza illegali e nulli - attraverso ripetuti "mandements de cassation" - molti atti promulgati dal nunzio. Il C., da parte sua, mantenne sempre tenacemente un atteggiamento di gelosa difesa dei diritti ecclesiastici, richiamandosi ai passati decreti dei concili e dei papi, primo fra tutti Bonifacio VIII.
Il conflitto giunse nel 1626 alla sua punta più accesa, allorché il C. chiese a Roma l'autorizzazione a pronunciare contro la Camera la scomunica e la censura prevista dalla bolla In coena Domini, nel caso assai probabile di una condanna nei suoi confronti da parte della Camera stessa. L'intervento congiunto del principe di Liegi e dell'imperatore scongiurò queste estreme conseguenze, lasciando tuttavia irrisolta la questione, dibattuta ancora per anni nonostante la compattezza del clero di Liegi e la mediazione imperiale. L'attività del C., improntata sempre alla massima decisione, lasciò un patrimonio di "sentenze" che furono particolarmente apprezzate dai suoi successori.
Le vicende della guerra dei Trent'anni, che sconvolse il territorio di Liegi particolarmente nell'ottobre-novembre 1629, crearono una serie di nuovi impegni per il C., coinvolto in un periodo di tensione che ostacolò lo svolgimento della sua attività pastorale. I fermenti popolari causati dalla presenza di truppe nel territorio di Liegi si acuirono in occasione della elezione del borgomastro nel giugno 1630, scelto dalla volontà popolare in contrasto con l'imperatore e con il principe. Più tardi, nel 1632, col permanere di esigenze di difesa della neutralità del territorio di Liegi, minacciata, ora dagli eserciti svedesi, il C. si trovò nuovamente impegnato in una difficile opera di mediazione diplomatica. Tali avvenimenti, se da un lato ostacolarono la sua funzione di visitatore apostolico, dall'altro non fecero che aggiungere motivi di plauso all'attenzione che l'ambiente religioso e politico da tempo gli dedicava: godeva, fra l'altro, della più alta stima da parte del principe d'Orange e di Gustavo Adolfo di Svezia e pare che il cardinale Francesco Barberini sollecitasse caldamente per lui il cardinalato. Conclusa la sua nunziatura (10 novembre 1634), il C. pubblicò a Liegi la relazione della Legatio apostolica Petri Aloysii Carafa... 1624-1634.
Rientrato a Roma, declinò l'offerta dei ricchi arcivescovati di Capua ed Urbino per ritirarsi nella sua sede di Tricarico. Si dedicò allora alla cura delle anime e all'ingrandimento della chiesa, riedificò quasi interamente la cattedrale e fondò il seminario, appartandosi dalla scena politica per circa dieci anni, sui quali non rimangono molte testimonianze.
Il 6 marzo 1645 Innocenzo X lo nominò cardinale dei SS. Silvestro e Martino ai Monti. Rientrato così nella vita politica attiva, partecipò alle più importanti Congregazioni in Roma fino alla nomina di legato a Bologna come successore del cardinale Fabrizio Savelli. Vi giunse il 18 ott. 1651 e trovò la legazione in uno stato di grande disordine.
Il problema più spinoso era costituito da folti gruppi di facinorosi che perturbavano l'ordine pubblico. Il più pericoloso era capeggiato da Carlo Costa, contro il quale si diresse immediatamente l'azione del C. che ne ordinò la cattura. L'azione tuttavia fallì per il tradimento del Bargello e il Costa con la sua banda si arroccò nel vicino monastero di S. Salvatore. Svanita anche la speranza di un regolare processo, per il terrore che regnava fra la popolazione, il C. adottò, come suo costume, la linea della forza e della decisione: si assunse così la responsabilità di ordinare l'assalto al monastero, in deroga ad ogni regola di immunità dei luoghi ecclesiastici.
Della stessa durezza usò ugualmente per colpire diversi nobili, sia per crimini penalmente perseguibili sia per cause civili, come quella che lo vide ordinare il sequestro dei beni dei conti Malvasia, responsabili di insolvenza. Risolse contemporaneamente, e in maniera pacifica, il problema della penuria di sale che faceva temere l'esplosione di tumulti popolari. La sua opera ottenne in breve risultati insperati e dopo soli nove mesi di permanenza in città egli poteva scrivere al papa di aver ridotto città e contado in stato di quiete. Nello stesso tempo chiedeva però di essere richiamato per ragioni di salute. Nell'ottobre 1652 era infatti in partenza per Roma.
Al conclave seguito alla morte di Innocenzo X si appuntarono sul C. gli interessi della Spagna, memore della tradizionale fedeltà del C. e dei suoi nipoti alla causa spagnola. Ma proprio mentre la Francia comunicava di non aver motivi per opporsi alla candidatura, il C. morì in conclave, il 15 febbr. 1655.
Fonti e Bibl.: Arch. Segreto Vat., Arch. Nunz. di Colonia, bb. 63-70, 76 s., 81 s., 84, 113, 144, 146; Segret. Stato,Colonia, bb. 7-10, 12-14; Ibid., Legazioni di Bologna, bb. 23 s.; Analecta Vaticano-Belgica, s. 2, Nonciatures de Flandres, VII, Nonceset internonces, a cura di J. e P. Lefèvre, Bruxelles-Roma 1939, pp. 63, 83; Id., Nonc. de Cologne, 3, G. Hansotte-R. Forgeur, Invent. anal. de docum. relatifs à l'histoire du diocèse de Liège sousle régime des nonces de Cologne, Bruxelles-Roma 1958, pp. 179-277; F. Buonvisi, Nunziatura aColonia, a cura di F. Diaz, Roma 1959, I, pp. 110, 160, 246; II, p. 364; B. Aldimari, Historiageneal. della famiglia Carafa, Napoli 1691, II, pp. 278-292; J. Daris, Histoire du diocèse et dela principauté de Liège pendant le XVIIe siècle, I, Liège 1877, pp. 60, 64, 105, 312, 319, 338; H. Biaudet, Les nonciatures apostol. permanentes, Helsinki 1910, pp. 213, 259; B. Duhr, Geschichteder Jesuiten in den Ländern deutscher Zunge im 16. Jahrh., Freiburg 1913, II, 2, p. 80; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, adIndicem; XIV, 1, ibid. 1932, pp. 142, 314, 317; U. Limentani, In Germania e nel Belgio con un viaggiatore del Seicento, in Studi secenteschi, II (1961), pp. 119-144; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. 28, 343.