COSTA, Pier Francesco
Nacque ad Albenga (Savona) nel 1544 da nobile e ricca famiglia di origine mercantile, i cui membri avevano ricoperto importanti cariche cittadine ed ecclesiastiche. Mentre il fratello maggiore Ottavio era destinato ad occuparsi degli affari della famiglia, il C. sotto l'influenza dello zio Francesco, abate del monastero di SS. Mario e Martino nell'isola di Gallinara, venne indirizzato alla carriera ecclesiastica. Conseguito il dottorato in utroque iure venne consacrato sacerdote e nel 1573 fu nominato abate del monastero di SS. Mario e Martino, succedendo allo zio. Venne quindi inviato a Roma, dove entrò a far parte della corte del cardinal Sirleto, dal quale fu aiutato a conseguire la nomina di refenderario utriusque signaturae, ufficio che il C. acquistò per la somma di 1.500 scudi. Durante il suo soggiorno romano continuò a perfezionare la sua preparazione teologica. È sicuramente di questo periodo una delle sue poche operette rimasteci, una trattazione manoscritta in materia De fide, spe et caritate et de iustitia et iure. La sua preparazione gli valse quindi la nomina ad una prima delicata missione: nel novembre 1583 veniva infatti inviato, in qualità di inquisitore e delegato apostolico, nell'isola di Malta. Essendo inoltre vacante la sede vescovile per il richiamo a Roma del vescovo Gargallo, egli arrivò nell'isola con l'incarico di vicario apostolico.
Partito da Napoli l'11 novembre riuscì a sbarcare a Malta solo un mese dopo in seguito a un viaggio piuttosto burrascoso, ma accolto con "grandi cortesie" dal gran maestro Hugone de Laubeux Verdala e dai cavalieri. Anche se molto simile alla nunziatura l'ufficio del C. ebbe carattere particolare rispetto a quello degli altri nunzi, sia per la situazione stessa dell'isola, sia per il carattere straordinario dei delegati, che in quegli anni si succedettero frequentemente in tale ufficio. La stessa corrispondenza del C. era indirizzata ai due diversi uffici cui faceva capo per la doppia natura del suo vicariato: la segreteria di Stato e il S. Uffizio. Durante il suo non lungo soggiorno, dal dicembre 1583 al marzo 1585, il C. ebbe ad occuparsi principalmente dei rapporti con l'Ordine di S. Giovanni e con le prime applicazioni dei canoni tridentini nella diocesi maltese. Partecipò, come osservatore, ai lavori per le costituzioni dell'Ordine gerosolimitano redatte dal gran maestro de Laubeux Verdala e appoggiò le richieste dei frati cappellani dell'Ordine al pontefice affinché proibisse, nell'isola, l'accesso al vescovato e al priorato ai membri dell'Ordine non cappellani, richiesta che il pontefice accolse con breve del 28 apr. 1584.
Ritornato a Roma nell'aprile dell'anno seguente fu maggiordomo del palazzo apostolico sotto Sisto V e lo stesso pontefice lo nominò vescovo di Savona, in sostituzione di monsignor G. B. Centurione, rinunciatario. Il 21 dicembre 1587 il C. fece il suo solenne ingresso in città. Si diede quindi alla riorganizzazione materiale e morale della diocesi.
Il 29luglio seguente iniziò la costruzione della nuova cattedrale che venne portata a termine nel 1602 e consacrata il 24apr. 1605. Restaurò il palazzo vescovile raccogliendo contributi e offerte di privati ed egli stesso vi spese più di 2.000 scudi. Contribuì, inoltre, alla reintegrazione dei beni della mensa vescovile e fondò l'archivio pubblico del vescovado, ordinando che vi si raccogliessero tutti gli atti dei notai roganti in curia. Celebrò due sinodi diocesani, di cui fece pubblicare le costituzioni, insieme con quella del sinodo celebrato dal Centurione, a Torino nel 1623, e di cui redasse personalmente tutti i capitoli in materia di fede. Ma l'attività pastorale del C. si svolse soprattutto negli anni tra il 1590 e il 1605, come testimoniano i numerosi decreti della Congregazione dei Vescovi a lui indirizzati e le lettere di risposta.
Il 12 giugno 1606 Paolo V lo nominò nunzio ordinario in Savoia, ove il C. rimase fino al 1624, in anni particolarmente difficili, in cui gran parte della sua attività fu dedicata più ad iniziative diplomatiche che ecclesiastiche.
Dopo il trattato di Lione del 1601 con Enrico IV, Carlo Emanuele I si dedicò al rafforzamento della propria autorità all'interno dello Stato, anche contro l'autorità ecclesiastica. Circoscrisse, con vari editti, le esenzioni dei beni ecclesiastici; assoggettò il clero alle imposte indirette sul sale, sulla macina e sulle carni; fece arrestare i vescovi di Vercelli e di Fossano, accusati di alto tradimento e di omicidio; ordinò che gli inquisitori dovessero essere tutti sudditi del duca; dispose infine che i vescovi, che tenevano feudi della Corona, dovessero ottenere il placet della Camera dei conti e fare atto di fedeltà al principe stesso. Colpì inoltre con tali aggravi i feudi della Chiesa di Asti da costringere il vescovo Gianstefano Aiazza a fargliene cessione (non riconosciuta tuttavia da Roma fino al 1741). Si possono quindi ben comprendere le preoccupate reazioni di Roma, evidenti nel carteggio con il C., in cui agli elogi per la sua azione diplomatica si alternano incoraggiamenti e talora critiche per il suo comportamento ritenuto troppo debole. I suoi interventi diplomatici, senza dubbio importanti, culminarono con l'azione svolta nelle trattative di pace nel corso della prima guerra del Monferrato e negli anni immediatamente seguenti. Fu infatti considerato uno degli elaboratori dei capitoli del primo trattato di Asti del dicembre 1614 e fu tra i revisori del secondo trattato, insieme con l'inviato di Francia, il nunzio straordinario Giulio Savelli e il principe di Castiglione, ministro dell'imperatore. Si occupò inoltre del problema dei riformati valdesi nelle valli alpine, che era aggravato dalla presenza delle truppe francesi del maresciallo Lesdiguières, di tendenze calviniste; questi infatti favoriva i riformati e incoraggiò Carlo Emanuele I a concedere l'editto di Asti del 28 sett. 1617 che ne permetteva la presenza in Piemonte. Il C. si adoperò a lungo per l'abolizione di tale editto e di altre misure di tolleranza, ottenendone infine l'annullamento e la ripresa della repressione. Tuttavia nello svolgimento del suo ufficio egli risentì grandemente dell'età ormai avanzata, sicché la sua rimozione fu motivata dalla "troppa indulgenza" mostrata verso la politica ecclesiastica di Carlo Emanuele I (Pastor, XIII, p. 723), indulgenza dovuta tuttavia "al fatto che, per essere egli quasi nella decrepità, le cose della iurisdittione habbiano trascorso più oltre del dovere a favore della temporale" (Arch. Segr. Vaticano, Politicorum 109, C. 176 A).
Nel maggio del 1624 venne pertanto inviato a Torino Lorenzo Campeggi, vescovo di Cesena, e il C. si ritirò ad Albenga, rinunciando anche al vescovado a favore di monsignor Francesco Maria Spinola, ritenendone però il titolo. Nel maggio 1625 ospitò nel suo palazzo ad Albenga Vittorio Amedeo, principe di Piemonte, che con il suo esercito mirava alla conquista della Riviera di Ponente, e al quale Albenga, su consiglio del C., aveva aperto le porte. Morì, forse a causa di una pestilenza diffusa dall'armata piemontese, il 26 dic. 1625 ad Albenga, dove il suo corpo venne sepolto nella cattedrale.
Ebbe un nipote omonimo (9 febbr. 1594-14 marzo 1654) vescovo di Albenga dal 29 apr: 1624, con il quale è spesso confuso in vari autori e in alcuni documenti.
Fonti e Bibl.: Del C. cisono rimaste, oltre al carteggio della nunziatura, conservato in gran parte nella Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 7148-7153, più di 2000 lettere scritte fra il 1603 e il 1622, in gran parte al cardinal Scipione Borghese, al fratello conte Ottavio, alla corte di Savoia e alla Signoria di Genova (Arch. del Carretto di Balestrino). Si veda inoltre sulla missione a Malta Arch. Segr. Vat., Nunziatura di Malta, vol. I; Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 6182, ff. 681, 708; Vat. lat. 6185, f. 567. Sull'azione pastorale, Ibid., Ferraioli 61, ff. 89, 122-143, 153; 612, ff. 62, 63, 75, 86, 91; Vat. lat. 10.425, f. 108 (Decreti e lettere della S. Congregazione deiVescovi). Sulla nunziatura di Savoia, Arch. Segr. Vat., Nunziatura di Savoia, voll.39-42 (solo per gli anni dal 1606 al 1608 e dal 1623 al 1624) e soprattutto Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 7148-7153 con lettere dal 22 giugno 1607 al 19 maggio 1624. Si v. anche i numerosissimi riferim. e varie lettere sub voce in Arch. di Stato di Torino, Lettereministri, Roma 1606-1624; Lettere di corte 1614-1622; Minute lettere di corte, 1610-1622; Materieeccles., cat. 42, 1610-1615; Lettere vescovi, Savona, 1590-1624. Infine, Arch. Segr. Vat., Arm. XLV, t. 2, f. 13; t. 5, f. 24; t. 9, ff. 32-33; Cons. 117, f. 198; Vescovi, Savona, II, ff. 305, 391, 419, 737. Trattatodi pace e accomodamento di questi ultimi moti diguerra..., Torino 1615; A. Possevino, Belli Monferratensis historia, s. l. 1637, pp. 222 s., 288 s., 309 s., 458; S. Solelles, De materiis tribunaliumS. Inquisitionis, Romae 1651, 1, pp. 42-43; B. Del Pozzo, Historia della Sacra Religione di Malta..., Verona 1703, I, pp. 243-261; L. Muratori, Annalid'Italia, XI, Milano 1744-49, p. 42; A. Moroni, Diz. di erudiz., XXIX, Venezia 1844, p. 248; A. Astengo, Mons. P. F. C., in Atti e mem. dellaSoc. stor. savonese, 1888, pp. 207-232; G. V. Verzellino, Mem. particolari... della città di Savona, Savona 1891, II, pp. 122-124; N. Gabiani, CarloEmanuele I di Savoia e i due trattati di Asti, Asti 1915, pp. 12 ss.; A. Falcone, La nunziatura diMalta dell'Archivio Segreto della S. Sede. L'etàdi Gregorio XII, in Arch. storico di Malta, V (1934), pp. 172-180; L. Costa, P. F. C., vescovodi Savona e nunzio apostol., in Riv. ingauna e intemelia, I (1946), 4, pp. 54-56; L. Pastor, Storiadei papi, XIII, Roma 1950, p. 723; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 292; P. Gauchat, Idem, IV, ibid. 1935, p. 76; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae..., Città del Vaticano 1931, p. 144; A. Erba, La chiesa sabauda tra Cinque e Seicento... (1580-1630, in Italia sacra, 29 (1979), pp. 51 s., 84 s., 130 s., 181, 219 passim.