PICHLER
(Pikler, Piccheri). – Famiglia di origine tirolese di incisori e intagliatori di gemme e medaglie, attiva tra il XVIII e il XIX secolo. Tra i suoi membri di maggiore spicco Antonio, il capostipite; i figli Giovanni, artista più noto e dotato, Luigi e i figli di Giovanni: Giacomo e la bella Teresa, la cui fama è legata al matrimonio con Vincenzo Monti.
Antonio (Johann Anton) nacque a Bressanone il 12 aprile 1697 da un medico. Era destinato al commercio, ma preferì dedicarsi al disegno e si trasferì a Napoli presso un amico orefice con il quale collaborò alla realizzazione di incisioni in argento e altri metalli preziosi, di sigilli e medaglie. In un secondo momento prese a incidere anche gemme e pietre dure, lavoro quest’ultimo in cui riscosse grande successo sia presso i nobili sia presso i sovrani partenopei. Tornò poi brevemente in patria, dove sposò la boema Teresa Pinzeriz. Di nuovo a Napoli, il primo gennaio 1734 nacque il figlio Giovanni. Dopo un breve soggiorno in Germania la famiglia si stabilì definitivamente a Roma, nel 1743.
Antonio ebbe anche tre figlie, Vittoria, Caterina e Felice, e un altro figlio maschio, Giuseppe, che intraprese la carriera di architetto al seguito del francese Antoine Derizet, ma morì prematuramente. Nel 1769 il vecchio artista, sopravvissuto a un colpo apoplettico, si risposò con una giovane donna, Gaetana Magozzi, che gli diede altri sei figli; ne sopravvissero tre: Marianna, Luigi e Giuseppe.
Essendo un autodidatta, Antonio difficilmente si dedicava a opere originali; preferì le copie dall’antico, sempre molto bene eseguite. Tra le opere di maggior pregio, un anello con centauro appartenuto a Pietro Metastasio e conservato presso il Gabinetto imperiale e reale di antichità di Vienna. Morì a Roma il 14 settembre 1779.
Antonio volle che il figlio Giovanni, nato a Napoli nel 1734, avesse una formazione culturale adeguata e che studiasse disegno. A questo scopo Giovanni frequentò la bottega del pittore Domenico Corvi, presso il quale imparò a dipingere. Eseguì le sue prime incisioni a sedici anni. In quella prima fase della sua vita Giovanni ebbe anche una breve carriera di pittore: nel 1761 eseguì cinque tele per il convento francescano di S. Antonio da Padova presso Oriolo Romano, e un quadro con S. Tommaso da Villanova per l’ex chiesa agostiniana di Santa Maria Novella a Bracciano. Giovanni tuttavia non abbandonò mai la glittica e Alessandro Cades, suo amico e noto incisore, gli faceva da intermediario sul mercato antiquario romano. Nel 1763 Giovanni tornò a Roma e l’anno successivo sposò la romana Antonia Selli. Dei loro nove figli solo cinque giunsero all’età adulta: Teresa, particolarmente amata, Vittoria, Caterina, Alberica e Giacomo.
Quando Giovanni cominciò a vendere personalmente i suoi manufatti senza intermediari, riscosse subito un enorme successo tra gli stranieri in visita a Roma, soprattutto inglesi e russi. Nel 1769, durante la visita a Roma dell’imperatore Giuseppe II, Giovanni si introdusse nella residenza del sovrano allo scopo di ritrarlo; scopertolo, Giuseppe ebbe parole di grande apprezzamento per l’opera dell’artista, che nominò suo incisore, e che insignì del grado di cavaliere il 3 gennaio 1769 (De Rossi, 1792, p. 19). Lo studio di Giovanni era intensamente frequentato dagli estimatori dell’arte antica, specialmente dagli stranieri in viaggio in Italia; come il pittore Wilhelm Tischbein, che vi si recava per studiare i calchi tratti da gemme antiche conservate da Giovanni, come Johann Wolfgang von Goethe, che di Tischbein era grande amico, e Bertel Thorvaldsen, che acquistarono l’intera serie di impronte in gesso riprodotte da Giovanni dai suoi originali.
Nonostante il successo e l’amore per Roma, Giovanni decise di partire alla ricerca di un luogo in cui ci fosse minore concorrenza. La meta doveva essere Londra, tuttavia si fermò, solo per qualche mese, a Milano e poi a Pesaro, tra il 1774 e il 1775. Nella città lombarda strinse un intenso rapporto professionale e umano con il conte (poi principe) Alberico XII Barbiano di Belgioioso d’Este, testimoniato da un fitto carteggio che si estende per un decennio, dal 1772 al 1782 (Tassinari, 2000). Nell’ottobre del 1775, mentre nasceva la sua ultima figlia, chiamata Alberica in onore del principe di Belgioioso, eseguì il ritratto del nuovo papa, Pio VI, come aveva già fatto per il suo predecessore Clemente XIV, e per moltissimi altri: prelati, sovrani, nobili e ricchi viaggiatori che apprezzavano molto la sua maniera di rendere ben riconoscibili i tratti somatici mettendo in evidenza i pregi e sfumando i difetti.
Giovanni registrò anche una forte richiesta di riproduzioni dei più noti esemplari di scultura classica presenti nelle grandi collezioni italiane, come il Fauno Barberini o l’Ercole Farnese, ma spesso eseguiva anche incisioni di soggetti classici di sua creazione, talvolta riutilizzando gemme antiche la cui decorazione era parzialmente illeggibile. Il più delle volte tali lavori venivano scambiati per originali antichi e venduti a caro prezzo. Uno dei casi più noti è quello del Giocatore di troco, che Johann J. Winckelmann ritenne fosse un’opera antica. Giovanni preferì lo scavo al rilievo, convinto che rendesse meglio la raffinatezza del disegno ed educasse maggiormente alla sua esattezza.
Al culmine della fama, decise di pubblicare una serie di grandi incisioni dalle opere di Raffaello allo scopo di comporre un manuale per principianti nell’arte del disegno. Sul piano tecnico aveva creato un’innovativa tipologia di incisioni che riproduceva le morbidezze del tratto della matita evitando la secchezza e la durezza tipica delle incisioni che i giovani artisti non poterono fare a meno di acquisire e di cui spesso non riuscivano a liberarsi.
Aveva previsto due volumi corredati da quaranta immagini ciascuno, ma era riuscito a terminare appena le prime quindici tavole e molti dei disegni di quelle del secondo volume, quando morì, il 25 gennaio 1791 a Roma, al ritorno dalla sua villeggiatura a Frascati, in seguito a una forte febbre che aveva colpito prima i suoi figli, a lui sopravvissuti.
La morte prematura gli impedì di concludere un repertorio delle gemme più belle presenti nei più noti gabinetti pubblici e privati d’Europa, in serie ordinate dall’antichità al suo tempo, opera per la quale aveva accumulato materiale fin dal 1772. Nel 1790 aveva infatti messo insieme una collezione di circa duecento calchi e paste di vetro che andavano ad aggiungersi a quelli paterni, e che aveva in animo di far incidere corredati da suoi brevi commenti di tipo tecnico e stilistico e dalle sue personali interpretazioni dei temi rappresentati.
Giovanni era competente in campo antiquario, ma le sue considerazioni dovevano comunque essere sottoposte, per sua volontà, all’autorevole vaglio di Ennio Quirino Visconti. La sistemazione della vasta raccolta di calchi di Giovanni venne completata da Camillo Selli, suo allievo prediletto nonché fratello della moglie; gli altri incisori formatisi nella sua bottega furono Bratolomeo Garavini e Angelo Massajoli.
Giovanni fu sepolto presso la chiesa romana di S. Teodoro; il suo busto, scolpito dall’amico britannico Christopher Hewetson, fu collocato al Pantheon il 13 aprile 1797 e oggi è nella Protomoteca dei Musei capitolini.
Antonio aveva lasciato i figli di secondo letto ancora in tenera età, e dunque i fratellastri più piccoli e la loro madre erano stati affidati alle cure di Giovanni, in particolare Luigi.
Luigi nacque a Roma il 31 gennaio 1773; fu allievo del fratello, Giovanni, nell’arte dell’incisione dopo avere studiato disegno presso il pittore Domenico de Angelis dal 1782 al 1786. Due anni dopo, nel 1788, già si applicava all’intaglio, e alla morte di Giovanni fu in grado di ereditarne la bottega e i lavori. Luigi si dedicò alla riproduzione e allo studio dell’arte classica frequentando assiduamente le più famose collezioni romane, e dal 1792 al 1795 eseguì molte opere di grande pregio. Qualche anno dopo si recò a Vienna per diletto, ma le vicende politiche lo costrinsero a prolungare da pochi mesi a quasi due anni il suo soggiorno nella città austriaca, dove rimase fino al trattato di Campoformio (17 ottobre 1797).
Durante la sua permanenza viennese, Luigi riscosse un discreto successo tra la nobiltà cittadina, per cui eseguì numerose opere. A dicembre di quell’anno fece ritorno a Roma, dove pure non gli mancarono le commissioni nonostante l’instabilità politica. Come era già accaduto per Giovanni, la grande perizia tecnica condusse a scambiare molte sue opere non firmate per originali antichi, come la Vittoria alata alla guida di quattro cavalli, acquistata come oggetto antico per le collezioni imperiali viennesi. La grande richiesta dei suoi lavori gli consentì di prendere in moglie, nel 1800, la romana Teresa Belli. Dei molti figli della coppia solo tre sopravvissero all’età adulta: Antonio, scultore a Roma, Francesco, tenente nell’esercito austriaco, Teresa che sposò Giulio Barluzzi, impiegato nella segreteria pontificia.
La fama della bellezza delle incisioni di Luigi si estese rapidamente in tutta Europa, tanto che il noto gioielliere francese Etienne Nitot, giunto da Parigi per conto di Napoleone per presentare una ricca corona del Triregno a papa Pio VII, innamorato della sua arte, lo invitò a trasferirsi nella capitale francese, ma Luigi rifiutò poiché troppo attaccato alla sua città e perché disapprovava la razzia di opere d’arte di cui la Francia si era resa colpevole. Per lo stesso motivo accolse con particolare entusiasmo l’azione di Antonio Canova, suo amico, che successivamente si incaricò con successo di riportare in Italia la maggior parte degli oggetti sottratti dai francesi. Luigi accettò tuttavia di eseguire per Giuseppina Beauharnais, allora imperatrice, un’incisione con il Sacrificio del dio Termine. Amante della compagnia e della musica, Luigi accoglieva nella sua grande casa romana a Piazza di Spagna uomini illustri italiani e stranieri; tra questi soprattutto politici, famosi cantanti che si producevano in brevi esibizioni, e noti artisti, tra cui lo stesso Canova.
Fu proprio Canova a intercedere con il principe Karl von Zizendorf perché presentasse Luigi all’imperatore Francesco I in occasione del soggiorno dell’artista a Vienna nel 1808. Vi restò solo due mesi, ma acquisì fama tale che il 12 febbraio 1808 fu nominato membro dell’Accademia di belle arti di Vienna, mentre il 26 agosto 1812 gli fu concesso lo stesso onore dall’Accademia di San Luca e successivamente dalle accademie di Firenze, Milano e Venezia. Nonostante il suo grande amore per Roma, alla fine le insistenze dell’imperatore lo indussero a cedere, e nel 1818 Luigi si trasferì a Vienna. Lì eseguì in due anni la riproduzione in smalto di tutte le gemme della collezione imperiale per farne dono al papa. Lavorò con tale maestria che le riproduzioni erano quasi del tutto identiche agli originali. Nell’autunno del 1821 fu lui stesso a portare il dono imperiale al pontefice. Tornò in seguito in Italia a più riprese per brevi periodi, ma trascorse il resto della sua vita in Austria.
Luigi fu raffinato e ispirato ritrattista di molti collezionisti e nobili italiani e stranieri oltre che dei più importanti sovrani d’Europa, tra i quali l’imperatore Francesco I, il suo ministro principe di Metternich, un suo particolare estimatore, e i pontefici Pio VII Gregorio XVI. Nonostante i lunghi anni di docenza a Vienna Luigi non riuscì a crearvi una scuola di glittica; dal suo insegnamento scaturirono tuttavia incisori di medaglie e monete per la Zecca dei Coni austriaca, della quale fu direttore.
Morì a Roma il 13 marzo 1854 (Tassinari, 2005, p. 226).
Giovanni era morto prematuramente, e dunque suo figlio Giacomo, nato a Roma nel 1778 e morto a Milano nel 1815, apprese i rudimenti dell’arte incisoria dallo zio Luigi ma, benché dotato nella tecnica e nel disegno, dopo tre anni e l’esecuzione di alcuni primi lavori, lasciò Roma per Milano, dove raggiunse la sorella Teresa, nata a Roma il 3 giugno 1769 e morta a Milano il 19 maggio 1834. Teresa fu la moglie del poeta Vincenzo Monti, che sposò il 3 luglio 1791; visse a Milano dal 1797. Era nota per la sua particolare avvenenza, che affascinò anche Ugo Foscolo, rimasto amante deluso, ma da alcuni fu giudicata di indole venale: prima delle nozze aveva preteso che Monti le intestasse l’intero suo patrimonio riservando a se stesso la sola possibilità di testare per un ventesimo di quanto possedeva. L’azione della giovane donna fu tuttavia legata alla necessità, data la repentina morte del padre, di badare al resto della famiglia di origine e a suo fratello Giacomo in particolare, che una volta a Milano, grazie anche alle conoscenze della sorella e del cognato, eseguì numerosi lavori, tra cui quelli per il conte Giovan Battista Sommariva.
La breve parabola di Giacomo molto probabilmente sta all’origine dello stile piuttosto involuto dei suoi lavori rispetto a quelli del padre e dello zio. Giacomo si era legato con un matrimonio ‘riparatore’ ad Angela Scagliotti, milanese, la quale gli diede cinque figli, dei quali dovette farsi carico lo stesso Monti, alla morte del genitore. Monti riuscì a far ammettere tre figli di Giacomo al Collegio militare austriaco, grazie alla loro origine tirolese e alla fama del nonno, ma senza grande successo, poiché due morirono lì, l’altro non fu ammesso per un difetto fisico. Monti riuscì a sistemarne un altro presso la scuola militare in sostituzione dei tre. Il restante fu istruito da Teresa alla riproduzione di calchi delle gemme provenienti dalla ricca collezione di matrici di famiglia, attività fiorente poiché molto richiesta dai collezionisti. Dalla testimonianza di Monti, sembra che la stessa Teresa fosse in grado di incidere la pietra (Tassinari, 2005, pp. 209 e 220). Delle altre tre figlie di Giovanni, Vittoria, maritata Pizzamiglio, tenne certamente una bottega di riproduzione di calchi a Roma, ma non è chiaro se vi operasse lei stessa o si limitasse a dirigerla e a fornire le matrici.
Fonti e Bibl.: G.G. De Rossi, Vita del Cavalier Giovanni Pikler intagliatore in gemme ed in pietre dure, Roma 1792; P. Mugna, I tre Pichler maestri di glittica, Vienna 1844; G. Tassinari, ll carteggio tra l’incisore di pietre dure Giovanni Pichler, padre Giuseppe Du Fey ed il principe Alberico Barbiano di Belgiojoso d’Este, Milano 2000; Ead. Lettere di una celebre famiglia di incisori di pietre dure: i P., in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Milano, 2005, pp. 188-240; Ead., Giovanni Pichler. Raccolta di impronte di intagli e di cammei del Gabinetto numismatico e medagliere delle raccolte artistiche del Castello sforzesco di Milano, Milano 2012; G. Izzi, Monti, Vincenzo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVI, Roma 2012, pp. 300-311.