PICCOLO, Lucio, barone di Calanovella
PICCOLO, Lucio (Lucio Carlo Francesco), barone di Calanovella. – Nacque a Palermo il 27 ottobre 1901 da Giuseppe e Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò.
Piccolo appartenne a una famiglia aristocratica siciliana che annoverava, per parte materna, l’origine normanna e tre viceré di Sicilia. Il padre Giuseppe (1866-1928), figlio di Casimiro e Agata Moncada Notarbartolo, aveva sposato Teresa il 28 aprile 1890 ed era morto a Sanremo, in una sorta d’esilio imposto dalla moglie, che aveva tollerato la cattiva gestione del patrimonio e le avventure sentimentali, ma non l’abbandono della famiglia. Da Lucio Mastrogiovanni Tasca Lanza d’Almerita, che nel 1867 aveva sposato Giovanna, figlia del soprano Teresa Merli Clerici e unica erede di Alessandro Filangeri di Cutò, nacque invece la madre (1871-1953) di Piccolo, in una famiglia numerosa ma non fortunata: il fratello Lucio morì poco dopo la nascita; Nicoletta fu vittima del terremoto di Messina del 1908; Giulia, la bellissima dama di corte della regina Elena e madrina del principe ereditario Umberto, fu assassinata dal proprio amante; Maria morì per una dose eccessiva di Veronal e Pia colpita da meningite, a soli otto anni. Alessandro, fratello minore di Teresa, si distinse per la sua attività giornalistica e l’impegno politico nel Partito socialista riformista, ma l’alto tenore di vita, l’inclinazione munifica e le conseguenze di una condanna per diffamazione contribuirono al suo declino economico, e il ‘Principe Rosso’ morì in povertà nel 1943. Il suo primogenito, Alessandro jr., produsse e collaborò con registi di fama come Orson Welles e John Huston.
In questo illustre e complesso contesto familiare, la parentela più nota è però quella con Giuseppe Tomasi di Lampedusa, figlio di Giulio Maria e di Beatrice Tasca Filangeri di Cutò, sorella maggiore di Teresa. Giuseppe ebbe un legame profondo con i cugini Piccolo, di cui condivise gli interessi culturali, le aspirazioni e una nativa neghittosità mista a timidezza e fierezza. Non privi di analogie furono anche i rapporti con le figure genitoriali e i condizionamenti familiari relativi a matrimoni e discendenze: Tomasi adottò Gioacchino Lanza Mazzarino, e Piccolo, che non si sposò mai, ebbe da Maria Paterniti l’atteso erede, Giuseppe Giovanni Piccolo di Calanovella (Ficarra, 24 giugno 1960 - Palermo, 1° luglio 2012), su cui decise di far confluire il patrimonio materiale e culturale della famiglia. Da Giuseppe e da sua moglie Gaetana Guadalupi nacque a Messina, il 23 marzo 1991, Mariel (all’anagrafe Mariella) Piccolo di Calanovella.
Ultimo di tre fratelli, Piccolo trascorse gran parte della sua esistenza nella villa di contrada Vina, a tre chilometri dal centro di Capo d’Orlando, in cui, in ossequio alla volontà materna, la famiglia si trasferì definitivamente dopo l’allontanamento del padre e le difficoltà economiche che determinarono la perdita della casa palermitana di via Libertà 13. Poliglotti, colti e raffinati conversatori, amanti della musica e dell’arte, della natura e degli animali, specialmente dei cani, cui avevano riservato in villa un degno cimitero con il nome dei defunti sulle lapidi, i Piccolo vennero inevitabilmente considerati una famiglia di eccentrici.
La sorella Agata Giovanna (1891-1974), appassionata di botanica e membro dell’Associazione mondiale di floricoltura, trapiantò, nell’orto di villa Vina, la Puya delle Ande, introducendo per la prima volta in Europa la rara pianta tropicale illustrata in un saggio del 1963. Fin troppo noto per la sua inclinazione verso l’occulto, il fratello Casimiro (1894-1970) condivise con Lucio la fascinazione per l’oscurità, spartita fra indagine scientifica ed esoterismo; più recente fu invece l’attenzione agli acquerelli e alle fotografie, testimoni di originali e pionieristici interessi.
Ingegno acutissimo, precoce e poliedrico, Piccolo sovrastò tutti per talento lirico e cultura. Conseguita la maturità classica al liceo Garibaldi di Palermo, non intraprese studi universitari; fu in corrispondenza con William Butler Yeats e frequentò il salotto palermitano del barone Bebbuzzo Sgàdari di Lo Monaco. All’insegna di un paradossale cosmopolitismo (rari gli spostamenti in Italia e all’estero, in Francia e in Inghilterra con Lampedusa), Piccolo continuò a vivere a Capo d’Orlando dove fu munifico ospite di letterati, artisti e giornalisti, attratti dalla sua personalità non meno che dall’opera. Eclettico lettore di testi classici moderni e contemporanei, italiani e stranieri in lingua originale, esperto di filosofia, teosofia, metapsichica, matematica e astronomia, fu anche pittore e musicista con la passione per Richard Wagner, i polifonici del Cinquecento e Gian Francesco Malipiero.
A Eugenio Montale inviò, nell’aprile del 1954, un gruppo di sue poesie, 9 liriche, con una lettera di accompagnamento. Un’altra lettera, con poesie accluse, fu contestualmente indirizzata a Giuseppe De Robertis, informato, come Montale, che una copia dattiloscritta delle liriche era in lettura presso Vallecchi. Pochi mesi dopo la morte della madre – per la quale in villa si continuava ad apparecchiare un posto a tavola –, Piccolo si aprì quindi al confronto con almeno tre importanti interlocutori: un editore, un poeta e un critico.
A scrivere la lettera d’accompagnamento, che a Montale era parsa «piuttosto generica e tale da far temere una poesia puramente descrittiva», era stato invece Tomasi. Lo rivelò lo stesso Piccolo a Camilla Cederna: «in una sorta di raptus scrissi i “Canti barocchi”. Li lessi a Lampedusa, che, smesso quell’inesorabile seppure stimolante persiflage nei miei confronti, li approvò incoraggiandomi a mandarli a Montale. Fu lui anzi a scrivere la lettera d’accompagnamento, e in questo modo io restavo come Nereo dietro le ombre, e lui si divertì a mettere Montale in curiosità» (cfr. L’Espresso, 29 aprile 1962, p. 18).
Fu Montale invece a raccontare di una busta gialla, con un bollo da 35 lire il cui ritiro gli costò 180 lire di tassa per l’errore di affrancatura: conteneva un «libriccino» stampato nello Stabilimento Progresso di Sant’Agata di Militello in una veste tipografica che gli ricordava i Canti Orfici di Dino Campana. Nel mese di luglio del 1954, al convegno di San Pellegrino Terme organizzato da Giuseppe Ravegnani sul confronto letterario fra due generazioni, Montale, invitato a fare il nome di un nuovo scrittore, scelse di presentare Piccolo, scoprendo che il poeta «nuovo» era in realtà poco più giovane di lui. L’arrivo del barone e del principe suo cugino, l’ancora sconosciuto autore del Gattopardo, in questo contesto mondano e sottilmente ostile, suscitò molta curiosità, acuita e riorientata dal discorso tenuto da Montale vòlto poi a introdurre Canti barocchi e altre liriche (Milano 1956), edito nella collana mondadoriana Lo Specchio.
Montale vi descriveva le singolarità di «un uomo che la crisi del nostro tempo ha buttato fuori del tempo», un poeta senza maestri, in cui la virtù oratoria presente nella linea materna (specialmente in suo zio, l’on. Tasca di Cutò) era riuscita a sublimarsi in poesia: «Mi trovavo, insomma, di fronte a un clerc così dotto e consapevole che veramente l’idea di dovergli essere padrino mi metteva in un insormontabile imbarazzo. Lucio Piccolo ha letto tous les livres nella solitudine delle sue terre di Capo d’Orlando; ma non segue nessuna scuola» (cfr. E. Montale, Prefazione, ibid., pp. 16-17). Nello stesso anno, al premio letterario Chianciano, Piccolo ottenne per i Canti barocchi un ex aequo con Le passeggiate di Saverio Vollaro (Roma 1956).
Sempre per Mondadori, Piccolo pubblicò Gioco a nascondere. Canti barocchi e altre liriche (Milano 1960), dedicato a Montale, e nel 1967, anno della sua ristampa, presso Scheiwiller uscì un’«edizioncina» di nove componimenti, Plumelia (poi 1979), con dedica ad Antonio Pizzuto, da lui ricambiato in Ultime. Nel 1959 erano già apparse in Botteghe Oscure (XXIV, 2, pp. 291-295) le poesie Ombre, Topazio affumicato e Candele, mentre datata 2 giugno 1965 è la lettera-omaggio per i settant’anni di Montale (Per la conoscenza di noi stessi, in Letteratura, n.s., XXX (1966), 79-81, p. 249).
In Nuovi Argomenti furono edite L’esequie della luna – un balletto sulla Palermo barocca cui, almeno nei voti, avrebbe dovuto far seguito, con la musica di Malipiero e i costumi di Fabrizio Clerici, un’esecuzione alla Piccola Scala di Milano diretta da Gianandrea Gavazzeni – e La torre (rispett. n.s., 1967, n. 7-8, pp. 152-169; 1968, n. 9, pp. 112-114). Su Carte segrete uscì invece La seta (1968, 2, 7, p. 191). Con Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia, direttori di Nuovi argomenti, e insieme ad altri amici, fu nella giuria del premio letterario Vitaliano Brancati di Zafferana Etnea (1968). Nei due anni precedenti aveva presieduto il premio internazionale di poesia Riviera dei Marmi (Custonaci, Trapani; 1967) e il premio Città di Naso (1966), vinto da Maria Luisa Spaziani.
Il 1° novembre del 1968, fra il serio e il faceto, e con un vaticinio d’addio non solo poetico, Piccolo mandò a Pizzuto una cartolina illustrata: «Io sto non troppo bene con disturbi di circolazione che fanno un tantino di male al cuore. Ma questo sarebbe nulla se non soffrissi di una quasi completa aridità poetica. Non scriverò più nulla ahimè! Per la quale ragione ben tosto mi getterò da questa storica torre – di cui ti mando la foto. Così potrai vedere il luogo nel quale chiuse tragicamente i suoi giorni il tuo sventuratissimo amico».
Per un’embolia cerebrale morì a Capo d’Orlando il 26 maggio 1969.
La prima raccolta postuma fu edita da Vanni Scheiwiller con il titolo La seta e altre poesie inedite e sparse (a cura di G. Musolino - G. Gaglio, Milano 1984). La stima e amicizia con il poeta aprivano la Nota dell’editore in cui Scheiwiller faceva cenno ai progetti editoriali condivisi e poi sospesi per l’inattesa morte di Piccolo, alla «scoperta» degli inediti, alla vertenza giudiziaria che aveva reso temporaneamente inaccessibili le carte e la biblioteca (cfr. La sorte delle carte del poeta L. P., in Corriere della sera, 21 gennaio 1973, p. 5), e alla personale consegna delle bozze a Giuseppe Piccolo e ai curatori. La silloge, articolata in «Poesie sparse mai raccolte in volume» e una serie di venticinque «Poesie inedite», comprendeva fra queste ultime Resurrescit, già apparsa in L’esperienza poetica (1955, n. 7-8, pp. 6-9), insieme con Anna Perenna, che in altra redazione sarebbe entrata in Gioco a nascondere. Fra gli Autografi di poeti italiani contemporanei “all’insegna del Pesce d’Oro” (Milano 1986) fu inclusa la traduzione da Yeats Ma mentre andava brancicando; sempre per Scheiwiller uscirono Il raggio verde e altre poesie inedite e L’esequie della luna e alcune prose inedite (Milano 1993 e 1996, a cura di G. Musolino); l’Antologia poetica (Milano 1999, con introd. e note a cura di G. Celona); Canti barocchi e Gioco a nascondere (Milano 2001, con uno scritto di V. Consolo, Il barone magico); Plumelia, La seta, Il raggio verde e altre poesie (Milano 2001, con prefaz. di P. Gibellini); e A. Pizzuto - L. Piccolo, L’oboe e il clarino. Carteggio 1965-1969 (Milano 2002, a cura di A. Fo - A. Pane). Nel 2005, con le litografie di Mimmo Paladino, sono stati editi da Zanella e Upiglio i Canti barocchi (note di B. Manzitti, Una busta per Montale e S. Verdino, Poesia di sangue blu) e nel 2010, a Ficarra, per il Museo Lucio Piccolo, 9 liriche (nota al testo di D. Perrone). Alta, difficile, resistente alle necessità tassonomiche di antologie e storie letterarie, la scrittura di Piccolo, anche nella sua inappartenenza, è quella di un poeta metafisico che si colloca all’interno della più grande tradizione italiana e straniera. Il suo lirismo strumenta l’invenzione di un’epoca e traduce un’autentica febbrile visionarietà, stemperata solo dall’intensità apollinea dei referenti fisici e stilistici, chiusi in quel cerchio della memoria che è per Piccolo vita e poesia. Una lirica pura, che sintetizza sostanza e forma poetica nei termini di una perfezione stilistica non minacciata dal descrittivismo e non contaminata da intellettualismi, e per la quale Pizzuto dichiara la sua stima al massimo poeta italiano del suo tempo. L’opera di Piccolo attende e merita una nuova acquisizione al panorama storiografico nazionale e internazionale, che dovrà passare attraverso il vaglio della biblioteca, il censimento, l’indagine sistematica delle carte, e un’adeguata valorizzazione in sede di edizione critica.
Font e Bibl.: Il Fondo «Lucio Piccolo di Calanovella» è conservato presso le eredi Gaetana Guadalupi e Mariel Piccolo, e comprende carte e libri, alcune collezioni, mobili e una motocicletta di P.; a oggi, tre sono gli inventari, redatti da G. Guadalupi e M. Piccolo, con l’ausilio di G. Celona, relativi a testi letterari (fra cui materiali preparatori, appunti e scritti vari), corrispondenza (che annovera almeno Yeats, Tomasi, Montale e Pizzuto, Guido Piovene, Leonardo Sciascia, Maria Luisa Spaziani, Vincenzo Consolo e, fra gli editori, Mondadori e Scheiwiller) e materiale fotografico. Sono invece in corso di allestimento l’inventario dei manoscritti musicali, in cui si registra il pluricitato Magnificat, e quello dei disegni e acquerelli. È infine conservato nel Fondo un nucleo di documentazione privata, costituito da atti, donazioni e testamenti personali e familiari. Duemila volumi circa compongono la biblioteca; la lingua maggioritaria è l’italiano, ma sono presenti testi in francese, inglese, tedesco, spagnolo, greco, latino e alcuni in arabo.
Per la Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella (Capo d’Orlando, villa Vina, oggi Casa-museo), si vedano l’Archivio storico famiglia Piccolo di Calanovella, a cura di A.M. Corradini, Capo d’Orlando 2002, e il sito ufficiale www.fondazio
nepiccolo.it.
Per un profilo complessivo della bibliografia di e su Piccolo si rinvia a S. Palumbo, Notizia e Bibliografia critica, in L. Piccolo, Plumelia, La seta, Il raggio verde e altre poesie, cit., pp. 111-113 e 114-128; Opere di L. P. e Opere su L. P. (www.fondazionepiccolo.it) in cui sono inclusi documentari, programmi radiofonici e tesi di laurea. Ulteriori rimandi in A. Tasca di Cutò, Un principe in America e altrove, Palermo 2004; G. Tomasi di Lampedusa, Viaggio in Europa. Epistolario 1925-1930, a cura di G. Lanza Tomasi - S.S. Nigro, Milano 2006; C. Aliberti, L. P., in Letteratura siciliana contemporanea. Da Capuana a Verga, a Pirandello, a Quasimodo, a Camilleri, Cosenza 2008, pp. 536-550; S. Chessa, Dalla Torre di L. P., in Studi di filologia italiana, LXVI (2008), pp. 293-325; A.M. Corradini, Il principe rosso. Alessandro Tasca Filangeri di Cutò un socialista dimenticato, Acireale-Roma 2010; F. Cevasco, Montale e Lucio il poeta barone nella villa incantata dei Gattopardi, in Corriere della sera, 14 agosto 2013, p. 30; C. Segre, Le fughe e i ritorni di Consolo. Sicilia non è solo Gattopardo, ibid., 19 gennaio 2015, pp. 30 s.