PICCINELLI, Andrea e Raffaello, detti Andrea e Raffaello del Brescianino
PICCINELLI, Andrea e Raffaello, detti Andrea e Raffaello del Brescianino. – Figli del ballerino Giovanni Antonio Piccinelli da Brescia, non si conosce con certezza il luogo e la data della loro nascita. La prima notizia certa risale al 26 febbraio 1505, quando a Siena il padre aprì una scuola di ballo e nel rogito agì anche a nome di Andrea e Raffaello, che all’epoca dovevano quindi avere meno dei vent’anni richiesti per impegnarsi in proprio (Milanesi, 1856). Tra l’aprile e il dicembre del 1507 Andrea ricevette personalmente i pagamenti per gli affreschi di un soffitto nella Compagnia di S. Bernardino sotto le Volte nell’ospedale di S. Maria della Scala, eseguiti con il decoratore Battista di Fruosino e in seguito scialbati; a tale data quindi almeno lui doveva aver raggiunto la maggiore età, e se ne può ipotizzare la nascita verso il 1486 (Maccherini, 1990, p. 290).
Curiosa è la situazione storiografica e critica dei due fratelli Piccinelli, poiché Giorgio Vasari nelle Vite (1568) menziona solo Raffaello, chiamandolo «del Brescia», mentre altri citano principalmente Andrea (Chigi, 1625-26; Ugurgieri Azzolini, 1649; Baldinucci, 1681-1728, Romagnoli, ante 1835). Nessuno di questi ultimi autori pare però notare l’assonanza tra i soprannomi «del Brescia» e «Brescianino», cosicché l’identità di Raffaello rimase sconosciuta e fu Andrea a godere di maggiore fortuna. Non a caso Ettore Romagnoli (ante 1835, VI, p. 847), cercando di ricostruire la personalità di Andrea con documenti rivelatisi in seguito solo in parte pertinenti, ne menziona appena il «fratello pittore, del quale ignorasi il nome», e tuttora è ad Andrea Piccinelli che viene attribuita la maggior parte dei dipinti spettanti in realtà a entrambi. Su queste basi alcuni studiosi, come Federico Zeri (1963, 1978), sottolineando le differenze di stile di un corpus vasto, ma con pochi punti fermi cronologici, hanno tentato di enuclearne la produzione di Raffaello, ma con difficoltà, poiché i soli dipinti documentati giunti risultano eseguiti da tutti e due. Una ripartizione credibile delle mani non è ancora stata fatta, e quindi ciò che viene considerato opera di Andrea potrebbe spettare a Raffaello, e viceversa.
Nel 1517 Raffaello Piccinelli era a Firenze dove si iscrisse all’Arte dei medici e speziali, tre anni dopo l’immatricolazione di un «Francesco del Brescianino» non altrimenti documentato e che è stato considerato «un altro problematico fratello» dei due artisti (Maccherini, 1990, p. 290). Non è però da escludere che si trattasse semplicemente di Andrea, protagonista di un refuso non raro in questo tipo di documenti. Nel capoluogo i due dovevano essere giunti da tempo, poiché la loro cultura figurativa appare più fiorentina che senese, ed è stato ipotizzato che Andrea vi si trovasse già nel 1507, visto che gli ultimi pagamenti per S. Bernardino sotto le Volte, nel dicembre di quell’anno, furono riscossi dal padre (Maccherini, 1990). Alcune delle opere più antiche dei Brescianini mostrano infatti una conoscenza approfondita dei lavori realizzati nella Firenze d’inizio Cinquecento da Leonardo, Raffaello Sanzio e Fra Bartolomeo.
Due dipinti con la S. Anna metterza attribuiti ad Andrea (uno al Prado di Madrid, l’altro distrutto a Berlino durante la seconda guerra mondiale) derivano da una prima versione del medesimo tema elaborata da Leonardo nel 1501 e nota solo da copie, mentre al gruppo centrale della Madonna del Baldacchino dell’Urbinate (1507-08, Firenze, Galleria Palatina) si rifanno due Madonne col Bambino conservate nella Alte Pinakothek di Monaco e già in collezione privata fiorentina. Il S. Agostino presente nella stessa pala del Sanzio appare invece ripreso in controparte nello sportello sinistro di un trittichetto, anch’esso attribuito ad Andrea, oggi in collezione del Monte dei Paschi di Siena (Maccherini, 1990, pp. 300-302) ed eseguito per Francesco Sozzini, coinvolto anche nella committenza di S. Bernardino sotto le Volte. Derivazioni dal Sanzio fiorentino si osservano anche in altre Madonne attribuite a entrambi i fratelli. Una già in collezione Ugurgieri a Siena (Maccherini, 1988, p. 65) ne riprende la Madonna Mackintosh (Londra, National Gallery) mentre altre nel Museo nazionale di Breslavia, nel Victoria and Albert Museum di Londra, e già in collezione Rabinowitz a Long Island (Zeri, 1978, p. 320) sono ispirate alla Madonna Colonna e alla Madonna Solly della Gemäldegalerie di Berlino. Suggestioni raffaellesche, rilette però in modo più personale, si avvertono anche nella Madonna col Bambino e santi del Museo d’arte sacra della Val d’Arbia di Buonconvento (Siena), in passato una delle opere più apprezzate, tra quelle riferite ad Andrea, di cui sono state segnalate varie repliche e copie antiche (Maccherini, 1988, p. 64). Oltre alla produzione fiorentina dell’Urbinate, i fratelli Piccinelli mostrano di conoscere bene pure alcune sue opere romane: una Madonna col Bambino e s. Giovannino passata come opera di Andrea sul mercato londinese nel dicembre 2008 (oggi nella collezione Chigi-Saracini a Siena) deriva dalla Madonna del diadema del Louvre (1510-11), mentre un Ritratto di giovane uomo già nella Fearon Gallery a New York (cfr. Fototeca della Fondazione Federico Zeri, Università degli studi di Bologna, scheda n. 37612) riprende la posa del Bindo Altoviti della National Gallery of art di Washington (1512-15). Sulla scorta di questi elementi la critica ha ipotizzato un viaggio di «Andrea» a Roma (Dacos, 1987), e la sua mano è stata individuata in una parte del fregio a fresco della sala delle Prospettive alla Farnesina.
Nonostante le frequentazioni fiorentine, i legami dei fratelli Piccinelli con Siena rimasero saldi; per le chiese della città eseguirono infatti i loro dipinti d’altare di maggior impegno. Il più antico è la Madonna col Bambino e santi per l’altare di patronato Lenzi nel monastero di Monteoliveto fuori Porta Tufi, oggi nella Pinacoteca nazionale. Citata dalle fonti (Chigi, Ugurgieri, Baldinucci, Romagnoli) come opera di entrambi, l’opera è stata datata al 1515-16 per i riferimenti a Fra Bartolomeo e a Mariotto Albertinelli, evidenti sia nella composizione nel complesso sia in dettagli come il piccolo dipinto con il Cristo in pietà poggiato sui gradini del trono e il giglio in scorcio sul libro della S. Caterina, ispirati a elementi analoghi presenti in dipinti del frate come il Padreterno e sante del Museo nazionale di Villa Guinigi a Lucca, eseguito nel 1509. Ad attestare un altro temporaneo rientro di uno dei Brescianini a Siena è l’affresco con il Crocifisso, santi e dolenti, con nello sfondo l’Orazione nell’orto e la Deposizione, ivi custodito nella sede dell’Azienda pubblica di servizi alla persona, un tempo monastero delle domenicane della Vita eterna. Recentemente restaurato, è databile anch’esso nel corso del secondo decennio del Cinquecento per la prossimità stilistica con il quadro olivetano e con la seconda tavola d’altare eseguita da entrambi per Siena, ovvero l’Incoronazione della Vergine e santi nell’oratorio della contrada della Chiocciola, all’epoca chiesa del convento delle agostiniane di S. Paolo. La pala, ritenuta opera di collaborazione dalle antiche fonti senesi, fu eseguita tra il 1517 e 1520 per lascito testamentario del prete Galgano di Lorenzo (Maccherini, 2006, pp. 9 s.) e collocata sull’altar maggiore della chiesa tra il 15 e il 16 ottobre 1520, proveniente probabilmente da Firenze (Bisogni, 1988). Entro il dipinto ricorrono nuove citazioni dalla Madonna del Baldacchino del Sanzio, ma sono rilette secondo un cromatismo che risente ormai di Andrea del Sarto e del primo manierismo fiorentino; nonostante le influenze fiorentine sopravanzino ormai quelle senesi, nella parte alta dell’Incoronazione si scorge tuttavia una significativa derivazione dalla pala dello stesso soggetto dipinta verso il 1515 da Girolamo del Pacchia per S. Spirito a Siena (Maccherini, 1990, p. 298). Nelle opere dei fratelli databili alla fine del secondo decennio gli influssi sarteschi si fanno stringenti e soppiantano quelli della Scuola di S. Marco. Nelle tavole con la Carità e la Speranza della Pinacoteca nazionale di Siena (provenienti dalla collezione Palmieri Nuti), attribuite ad Andrea e datate verso il 1516-17, sono state difatti osservate citazioni dalla Carità (1513) e dagli ignudi nel Battesimo delle turbe (compiuto nel marzo 1517) affrescati dal Sarto nel chiostro della Scalzo a Firenze.
Gli influssi della maniera fiorentina, estesi anche a Rosso e Pontormo, sono ben presenti in alcune tra le più riuscite opere attribuite ad Andrea, quali la Maddalena e il S. Sebastiano delle collezioni del Monte dei Paschi di Siena, e la Venere con due amorini della Galleria Borghese di Roma, mentre nuovamente in direzione dei modelli improntati alla regolarità accademica e devozionale della Scuola di S. Marco, guarda la pala con la Madonna della Cintola e santi del Museo di S. Croce a Firenze, quasi certamente eseguita per il capoluogo (forse per la stessa basilica francescana), e che è stata datata in prossimità della tavola dell’oratorio della contrada della Chiocciola (Maccherini, 1988, pp. 69 s.). Di qualche anno più tarda è l’ultima grande tavola d’altare per Siena, il Battesimo di Cristo già nel battistero e oggi nel Museo dell’Opera del duomo. I primi pagamenti per il dipinto risalgono al 20 ottobre 1522 e furono effettuati a Raffaello anche per conto di Andrea. Il 26 maggio 1524 venne versato l’ultimo pagamento, stavolta a entrambi, e la pala terminata fu stimata da Domenico Beccafumi e da un altro pittore senese, Giovanni di Bartolomeo, il primo per conto dei Brescianini, l’altro invece per gli operai del Battistero.
Anche il Battesimo fu dunque lavoro di collaborazione, ma come le altre pale d’altare non serve a dirimere la questione delle due personalità artistiche, poiché non è noto come ne fu ripartita la stesura pittorica. Viene però considerato l’opera «meno riuscita della produzione [di Andrea] per la durezza del modellato e per l’ispessimento delle ombre, forse a causa del maggior apporto di Raffaello» (Maccherini, 1988, p. 71), confermando l’idea di una superiorità del primo che però, come si è visto, deriva soltanto dalla tradizione storiografica.
Nel 1525 Andrea si trovava con certezza a Firenze, dove si immatricolò alla Compagnia di S. Luca. Il registro che include l’annotazione (Archivio di Stato di Firenze, Accademia del disegno, 1, c. 14r), suddiviso in lettere alfabetiche, manca delle matricole relative alla «R», e dunque non si può sapere se anche Raffaello si fosse iscritto quell’anno. Egli ne risulta comunque sicuramente membro tra il 1538 e il 1539 (Archivio di Stato di Firenze, Accademia del disegno, 3, c. 74v). Di Andrea non è noto più nulla dopo il 1525, il che ha portato a ipotizzare che fosse morto quell’anno o nel 1527, durante una delle epidemie di peste che colpirono Firenze (Colnaghi, 1928; Maccherini, 1990, p. 294). Un documento inedito può forse confermare questo dettaglio; si tratta dell’annotazione del battesimo di «Andrea […] di Raffaello di Giovanni Antonio da Brescia, pictore, popolo di Santo Ambrogio», il 26 aprile 1529 (Firenze, Archivio dell’Opera del duomo, Battezzati maschi in S. Giovanni, 9, c. 226r) da cui si desume che Raffaello diede al figlio il nome del fratello probabilmente per omaggiarne la memoria; un documento importante anche perché conferma la presenza di Raffaello a Firenze sul finire del terzo decennio del Cinquecento suggerita già dal Vasari, che ammetteva di esserne stato allievo dal 1527 al 1529 insieme a Francesco Salviati e a Giovanni Capassini, prima che questi passassero nella bottega di Andrea del Sarto (Vasari, VII, 1568, pp. 9 s.). Quasi certamente Raffaello continuò in seguito ad abitare e a lavorare a Firenze, ma dovette mantenere rapporti con la committenza senese, poiché molte delle opere che oggi vanno sotto il nome di suo fratello hanno una provenienza accertata da antiche collezioni di quella città.
«Raffaello di Giovanni dipintore, vocato Bressa» morì a Firenze il 15 febbraio 1545 e fu seppellito nella chiesa di S. Ambrogio (Milanesi, in Vasari, Le vite, 1568, VII, p. 209), nel cui quartiere, come si è visto, aveva vissuto almeno dal 1529.
La maggior parte della produzione pittorica dei Brescianini è composta da Madonne col Bambino e Sacre Famiglie per devozione privata, ripetute in più versioni con poche varianti. In questo catalogo – vasto e di non facile ricostruzione per i frequenti passaggi di molte delle opere tra collezioni private e costantemente ampliato da nuove apparizioni di dipinti sul mercato – non è difficile riconoscere due mani diverse, che corrispondono ai due fratelli. La differenza si nota soprattutto nel modo di concepire i volti dei personaggi, che in un caso appaiono molto tondeggianti e bombati, con tratti somatici piccoli e sottili, mentre nell’altro tendono a essere più squadrati, con grandi occhi malinconici dalle palpebre pesanti. Ad Andrea sono stati attribuiti anche numerosi ritratti conservati in musei e collezioni, ma anch’essi si rivelano pertinenti a mani differenti, una parte dei quali spetta senz’altro a Raffaello. Come per la gran parte delle opere dei Brescianini si tratta di dipinti difficilmente collocabili cronologicamente, e alternano volti presi dal vero (ad esempio in due notevoli Ritratti di giovane uomo conservati, rispettivamente, nel Musée Fabre di Montpellier e nella Johnson Collection di Philadelphia) a fisionomie idealizzate e paragonabili a quelle dei personaggi ‘d’invenzione’ dei quadri sacri (si vedano i Ritratti di fanciulla della collezione Chigi Saracini a Siena, e della Galleria nazionale d’arte antica in palazzo Barberini a Roma). Nella ritrattistica dei Brescianini si inserisce una serie di effigi di personaggi maschili e femminili di profilo, che mostrano acconciature e abiti differenti ma posseggono grosso modo tutti gli stessi tratti somatici, e perciò non si può decidere se siano presi dal vero oppure siano effigi idealizzate e simboliche. Uno di essi, particolarmente interessante per la vicinanza stilistica con la pala dell’oratorio della Chiocciola a Siena, è un Ritratto di giovane donna in collezione Cagnola a Gazzada (Varese).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, pp. 9 s.; G. Milanesi, ibid., p. 209; F. Chigi, L’elenco delle pitture, sculture e architetture di Siena… (1625-26), a cura di P. Bacci, in Bollettino senese di storia patria, X (1939), 2, p. 307; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, II, Pistoia 1649, p. 348; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di F. Ranalli, II, Firenze 1846, p. 116; E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi (ms. ante 1835), VI, Firenze 1976, pp. 847-858; G. Milanesi, Documenti per la storia dell’arte senese, III, Siena 1856, pp. 31 ss.; B. Berenson, Le carton attribué à Raphaël du British Museum, in Gazette des beaux-arts, XXXIX (1897), 1, pp. 59-66; D.E. Colnaghi, A dictionary of Florentine painters, London 1928, pp. 208 s.; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IX, 5, Milano 1932, pp. 357-373; F. Zeri, La mostra Arte in Valdelsa a Certaldo, in Bollettino d’arte, XLVIII (1963), pp. 253 s.; M. Salmi, Il palazzo e la collezione Chigi-Saracini, Siena 1967, pp. 107-115; F. Zeri, rec. a C.M. Kauffmann, Victoria and Albert Museum. Catalogue of foreign paintings, I, before 1800, London 1973, in Antologia di belle arti, II (1978), pp. 320 s.; N. Dacos, Peruzzi dalla Farnesina alla Cancelleria: qualche proposta sulla bottega del pittore, in Baldassarre Peruzzi, pittura, scena, architettura nel Cinquecento, a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1987, pp. 469-490; F. Bisogni, P. A., detto il Brescianino, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 804; Id., P. R., ibid., p. 804; M. Maccherini, A. del Brescianino, in Da Sodoma a Marco Pino (catal., Siena 1988), Firenze 1988, pp. 64-77; Id., A. del Brescianino, in Domenico Beccafumi e il suo tempo (catal., Siena), Milano 1990, pp. 290-310; L. Pagnotta, Proposte per A. del Brescianino, in Paragone, XLV (1994), 529-533, pp. 68-75; M. Maccherini, A. del Brescianino, in L’età di Savonarola. Fra Bartolomeo e la Scuola di S. Marco (catal., Firenze) a cura di S. Padovani, Venezia 1996, pp. 252 s., 270 s., 322; P. Carofano, La Giuditta di A. del Brescianino, Siena 1999; M. Maccherini, L’Incoronazione della Vergine di A. del Brescianino: una pala per la devozione di Ser Galgano di Lorenzo, in Contrada della Chiocciola. L’oratorio dei Ss. Pietro e Paolo. Restauri, Siena 2006, pp. 9-14; P. Palazzotto - M. Sebastianelli, A. del Brescianino e Giovanni Gili restaurati al Museo diocesano di Palermo, Palermo 2010, pp. 15-53.