PICCHIATTI, Francesco Antonio, detto Ciccio Picchetti
PICCHIATTI, Francesco Antonio, detto Ciccio Picchetti. – Nacque a Napoli il 10 gennaio 1617, primogenito di Bartolomeo, architetto, e di Maddalena di Franco, come riporta il registro battesimale della chiesa di S. Maria della Catena (Strazzullo, 1969, p. 234). Nella Vita a lui dedicata da Bernardo de Dominici (1742) è erroneamente riportato che fu originario di Ferrara (p. 392), laddove tale notizia è da riferirsi al padre Bartolomeo (Strazzullo, 1969, p. 231). De Dominici sottolinea le sue qualità di abile conoscitore di antichità, di colto viaggiatore e di collezionista di un vasto numero di opere d’arte di tutte le epoche, la cui ricchezza fornì uno spunto per la letteratura odeporica napoletana tardoseicentesca (Sarnelli, 1688, pp. 487 s.; Celano, 1692, pp. 93-98), intenta alla celebrazione del suo nutritissimo museo, che «per osservare vi vorrebbero più giornate» (Celano, 1692, p. 98).
La sua formazione, avvenuta verosimilmente al seguito del padre, fu intrisa di quel classicismo composto che avrebbe caratterizzato la produzione architettonica napoletana almeno per tre quarti del XVII secolo. Il linguaggio artistico di Francesco Antonio si arricchì attraverso le esperienze di viaggio e di recupero delle antichità, e arrivò a una personalizzazione volta a contemperare un’impostazione saldamente classica con elementi decorativi tali da introdurre quel pizzico di ‘bizzarria’ che contraddistinse il lessico decorativo napoletano della seconda metà del Seicento.
Le prime opere documentate riguardano il compimento di incarichi interrotti dal padre, morto il 3 aprile 1643, a eccezione di un apprezzo di una balaustrata, e della rilavorazione di altre balaustrate di pietra per il convento di S. Maria della Stella, registrate alla data del 15 febbraio 1643 (Borrelli, 1983, p. 29; Gambardella, 2004, p. 111). Un pagamento dello stesso anno si riferisce ai lavori di ampliamento del convento della Croce di Lucca, per il quale Picchiatti avrebbe ottenuto ulteriori commissioni negli anni a venire (Gambardella, 2004, p. 108). Altri ampliamenti monastici conclusi da Francesco Antonio furono quelli realizzati in S. Gregorio Armeno, datati 1644-47 (ibid., pp. 110 s.), e di S. Agostino alla Zecca, del 1647 (ibid.). Nel 1644 Francesco Antonio ricevette dal viceré Juan Alfonso Enriquez de Cabrera y Colonna, ammiraglio di Castiglia, l’incarico di portare a termine i lavori per la erigenda cappella di palazzo reale (Strazzullo, 1969, pp. 268, 279 s.). La fabbrica, cominciata da tempo, ma arrestatasi alla costruzione delle mura perimetrali, prevedeva la realizzazione delle tribune, degli organi e coretti, e di due scale a chiocciola.
L’anno successivo Francesco Antonio firmò i patti stesi dalla badessa del monastero di S. Antonio a Port’Alba per costruire due piani ulteriori per elevare l’ex dimora, adiacente al monastero, di Matteo di Capua principe di Conca, in qualità di architetto e supervisore (Russo, 1999, pp. 93 s.), e nel 1646 si occupò di riparazioni di strade regie, della strada a Cimitino e della strada da Sicignano a Bovino (Gambardella, 2004, p. 25). Al 1647, poi, risalgono vari incarichi di riparazione di Castel Nuovo (Strazzullo, 1969, p. 269), danneggiato durante i tumulti popolari capeggiati da Masaniello. Una lettera del 1649 testimonia inoltre il coinvolgimento di Francesco Antonio in una perizia di un’arcata dell’Arsenale (ibid.).
Terminati i lavori per la Cappella Palatina, tra il 1649 ed il 1651 il viceré Iñigo Vélez de Guevara conte d’Oñate fece costruire uno scalone monumentale per il palazzo reale (Verde, 2003-04, pp. 143-150). L’opera, che presenta i tratti caratteristici della scalinata imperiale, dopo pochi e ampi gradini dagli angoli smussati, si diparte in due rampe, di cui l’una conduce agli appartamenti reali, l’altra alla Cappella Reale. Secondo quanto espresso dal Celano (1692, p. 42), la scalinata presenta un’ampiezza sproporzionata se messa in relazione con il Palazzo, anche perché la scala già realizzata da Domenico Fontana «era misuratissima» (ibid.).
Nel 1652 Francesco Antonio apprezzò un epitaffio della chiesa di S. Aniello a Caponapoli; nel 1654 effettuò vari lavori per il palazzo di Pietra Bianca, e tra il 1654 e il 1658 realizzò una serie di opere di manutenzione e riparazione per la chiesa del Rosario di Palazzo (Gambardella, 2004, p. 25). Tra il 1655 e il 1662 compì vari lavori per la chiesa di S. Pietro Martire, tra cui la ricostruzione del campanile e le ristrutturazioni nel convento adiacente (Cantone, 1966, pp. 227, 230).
Nel 1655, tornato dalla spedizione nei presidi di Toscana al seguito del viceré Iñigo Vélez de Guevara, conte d’Oñate, Francesco Antonio fu incaricato dai governatori del Pio Monte della Misericordia di realizzare il nuovo edificio e la nuova chiesa dell’Istituto, cantiere che lo impegnò per circa vent’anni (Strazzullo, 1969, pp. 269-271). L’anno successivo fu nominato ingegnere maggiore del Regno, in seguito alla morte, a causa della peste, di Onofrio Antonio Gisolfo, succeduto in tale carica al padre di Francesco Antonio.
Altro cantiere cui lavorò fu la chiesa di S. Maria di Monteverginella di Napoli. Il primo lavoro da lui assolto, nel 1656, fu la progettazione dell’altare maggiore. Per la prima volta Francesco Antonio si trovò ad affrontare un’impresa che richiedeva un prevalente impiego di materiale decorativo. Girali vegetali, rosoni, altri elementi fitomorfi costituiscono il tema ornamentale ricorrente degli altari napoletani in marmi mischi, e qui, nell’opera di Picchiatti iunior, è predominante il gusto diffuso del tempo.
Nel 1656, a causa della violenta alluvione del 14 agosto 1656, il palazzo del Monte dei Poveri Vergognosi crollò, e Francesco Antonio fu incaricato di riedificarlo (Celano, 1692, pp. 2-8). Tra il 1657 e il 1659 fu ricostruita interamente la cupola della chiesa di Monteverginella (Gambardella, 2004, p. 95); un altro documento del 1657 segnala la presenza di Francesco Antonio, in qualità di supervisore, nel cantiere di S. Maria del Pianto, chiesa costruita nei pressi di Poggioreale l’indomani della cessazione della pestilenza (Strazzullo, 1965). L’interno presenta un impianto a croce greca, con un invaso centrale di forma quadrata. La decorazione muraria si caratterizza per le lesene scanalate con capitelli corinzi.
Altro incarico risalente al 1657 fu la progettazione dell’obelisco di S. Domenico. La costruzione fu però interrotta e ripresa nel 1665, sotto la direzione di Cosimo Fanzago (Salvatori - Menzione, 1985, p. 64), e compiuta soltanto nel 1737, sotto la supervisione di Domenico Antonio Vaccaro. In quest’opera l’impianto architettonico e decorativo progettato originariamente da Francesco Antonio si è conservato fondendosi con l’estro ornamentale fanzaghiano e il consistente apporto scultoreo vaccariano.
Attribuita a Francesco Antonio, ma senza conforto documentario, è la chiesa di S. Caterina a Formello, sul cui portone principale è inciso l’anno 1658 (Strazzullo, 1969, p. 271; Mormone, 1970, p. 1114). Nel frattempo, il 9 novembre 1658, Francesco Antonio presentò ai governatori del Pio Monte della Misericordia il progetto della nuova chiesa e del Monte.
L’edificio e la chiesa preesistenti, costruiti tra il 1605 e il 1608 da Gian Giacomo di Conforto, presto risultarono di dimensioni assai ridotte per la rilevanza raggiunta dalla pia istituzione, e si rese necessaria una nuova costruzione, più ampia, e che, nel contempo, riuscisse a fondere armonicamente lo spazio ecclesiastico con quello del palazzo. Francesco Antonio ci riuscì brillantemente, progettando, quale elemento di raccordo, un porticato, che fungeva anche da pannello isolante acustico tra la chiesa e la trafficata via dei Tribunali, a essa antistante. Il loggiato, articolato in cinque campate sorrette da pilastri di piperno, si presenta ornato frontalmente da paraste con capitelli alla «michelagnilina» (Napoli, Archivio storico del Pio Monte della Misericordia, Libri di fabbrica, Aa, vol. 9, c. 31r). Tra le arcate vi è un portale che conduce al palazzo, e un altro alla chiesa; in mezzo ai due portali sono visibili la statua marmorea della Beata Vergine con il Bambino, con l’epigrafe sottostante, e le due statue che simboleggiano le sette opere di misericordia corporali, opere dello scultore Andrea Falcone. Qui, oltre a Falcone, stretti collaboratori di Francesco Antonio furono Salomone Rapi, Pietro Pelliccia e Pietro Antonio Valentini (Starita, 2011-12, pp. 150-192). L’interno della chiesa ha un impianto a croce greca, con invaso di forma ottagonale. La decorazione interna, lineare e composta, è realizzata in marmo bianco e bardiglio; i pilastri angolari sono sormontati da capitelli di ordine composito; gli altari sono impreziositi da paliotti di marmi commessi con motivi fitomorfi. L’elemento decorativo che rompe gli schemi di quest’architettura classica è la coppia di acquasantiere collocata ai lati del portale principale, caratterizzata dall’accostamento di elementi quali conchiglie, piume e ali di pipistrelli.
Francesco Antonio ricoprì la carica di direttore dei lavori della fabbrica del Pio Monte sino al 1678, anno in cui la direzione passò a Bonaventura Presti (Ruggiero, 1902, p. 10).
Tra il 1658 e il 1659 Francesco Antonio ristrutturò alcuni ambienti del convento di S. Domenico Maggiore, e nel 1660 si occupò del consolidamento del convento di S. Sebastiano (Gambardella, 2004, p. 25). Nel 1662 fornì il progetto per la chiesa e convento di S. Maria dei Miracoli, costruzione che terminò nel 1675 (Ceci, 1895, pp. 17-20). Nel 1665 progettò la chiesa del Divino Amore, rimasta incompiuta sino al 1700, e ultimata da Giovan Battista Nauclerio, che disegnò l’atrio e la facciata (Gambardella, 2004, pp. 77-79). L’anno successivo Francesco Antonio eseguì una serie di riparazioni per il palazzo dei Regi Studi (Strazzullo, 1969, pp. 286 s.) e progettò il catafalco per la morte di Filippo IV.
Francesco Antonio riversò tutta la sua conoscenza dell’antico, realizzando un impianto ottagonale, a tre piani sostenuti da colonne, ornati da statue e pinnacoli, che ricordano, nella struttura, quello dell’obelisco di S. Domenico (Marciano, 1666).
Al 1667 risale la commissione per l’edificazione della cappella degli Aguzzini, intitolata a S. Maria dell’Arco (Gambardella, 2004, p. 25). Seguirono quindi, tra il 1668 e il 1670, i restauri di Castel Nuovo e di Castel dell’Ovo, del torrione del Carmine, del carcere della Vicaria, del ponte di Chiaia e del castello di Baia, e la risistemazione della nuova Darsena (Strazzullo, 1969, pp. 274, 288-297). Al 1671 rimontano due suoi disegni, oggi perduti, per due fontane di Palazzo Reale (ibid., pp. 274, 297).
La paternità del progetto della chiesa di S. Giovanni Battista delle Monache è stata dibattuta tra Picchiatti e Giovan Battista Nauclerio, ma, a quanto risulta da documenti recentemente rinvenuti, mentre l’impianto a croce latina e la composizione architettonica dell’interno si devono al primo, che vi avrebbe lavorato sin dall’inizio, ossia dal 1673, spetterebbe al secondo il progetto per la facciata (Gambardella, 2004, pp. 89-91). Tra il 1676 e il 1681 Francesco Antonio fece vari interventi per il fortino del Molo e per la chiesa di S. Domenico Soriano (ibid., p. 25). Al 1682 risalgono i lavori per il soffitto del coro della chiesa di Donnaregina Nuova (Strazzullo, 1969, p. 275); l’anno successivo Francesco Antonio fu poi impegnato presso il convento di Regina Caeli, dove elaborò il progetto per la costruzione del chiostro (Gambardella, 2004, p. 103). Quest’ultimo s’imposta su una pianta rettangolare, con arcate sorrette da pilastri in piperno e coperte da una serie di volte a crociera.
L’estro decorativo di Francesco Antonio è inoltre individuabile nella fastosa decorazione marmorea dell’interno della chiesa della Croce di Lucca, datata 1684-89 (Gambardella, 2004, pp. 31-38). Tra il 1686 e il 1687 Francesco Antonio lavorò presso i conventi di S. Maria Donnaromita, S. Maria Egiziaca e S. Carlo alle Mortelle (ibid., p. 25), e progettò, inoltre, il monumento dei cardinali Brancaccio per la chiesa di S. Angelo a Nilo (Rizzo, 1999). In seguito al terremoto del 1688 si occupò del riassetto di due importanti palazzi: Ruffo di Bagnara, in Via Medina, e Grasso, a S. Paolo Maggiore (Abetti, 2012-13, p. 11); qui, tuttavia, egli non si limitò a un mero consolidamento, ma la sua vena creativa, insieme alla sua passione per l’antico, diedero un nuovo aspetto alle facciate e ai portoni di entrambi gli edifici. Al 1688 risale il progetto per la chiesa di S. Stefano di Capri. Nel 1688-89 (Ceci, 1932) Francesco Antonio progettò la chiesa di S. Girolamo delle Monache, che, come le sue ultime opere, mostra una regressione in direzione controriformistica: le architetture si fanno più severe, e le decorazioni interne si riducono all’essenziale, come in direzione di un integralismo classicistico. Gli ultimi incarichi cui Francesco Antonio attese furono varie riparazioni nel monastero di S. Liborio, S. Spirito di Palazzo, e infine, nel 1694, l’edificazione del nuovo fortino per la torre del Granatiello.
Morì il 28 agosto 1694, come risulta dai registri parrocchiali della chiesa di S. Maria della Catena (Strazzullo, 1969, p. 267).
Fonti e Bibl.: M. Marciano, Pompe funebri dell’universo nella morte di Filippo IV il grande re delle Spagne..., Napoli 1666, pp. 144-157; P. Sarnelli, Guida de’ forestieri curiosi di vedere e d’intendere, Napoli 1688, pp. 57, 115, 487 s.; C. Celano, Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, Napoli 1692, giornata V, pp. 2-8, 42, 66, 69, 91, 93-98, 118; B. de Dominici, Vite dei pittori, scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1742; G. Ceci, I Miracoli, in Napoli nobilissima, s. 1, IV (1895), I, Il monastero, pp. 17-20, II, L’educandado, pp. 41-44; M. Ruggiero, Il Monte della Misericordia: l’edifizio, in Napoli nobilissima, s. 1, XI (1902), pp. 7-10; G. Ceci, Picchiatti, in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Künstlerlexikon, XXVI, Leizpig 1932, p. 580; R. Pane, Architettura dell’età barocca in Napoli, Napoli 1939, pp. 125-132; F. Strazzullo, Documenti per la chiesa di S. Maria del Pianto, in Napoli nobilissima, s. 3, IV (1965), pp. 222-225; G. Cantone, Restauri antichi e nuovi nella chiesa di S. Pietro Martire, in Napoli nobilissima, s. 3, V (1966), pp. 220-232; F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani del Regno di Napoli dal ’500 al ’700, Napoli 1969, pp. 231-246, 267-301; R. Mormone, Architettura a Napoli 1650-1734, in Storia di Napoli, VI.2 (1970), pp. 1097-1153; M.R. Pessolano, Il convento e la chiesa di Monteverginella, in Napoli nobilissima, s. 3, XIV (1975), pp. 17-29; G. Borrelli, Il convento e la chiesa di Santa Maria della Stella, in Napoli nobilissima, s. 3, XXII (1983), pp. 24-40; G. Salvatori - C. Menzione, Le guglie di Napoli, Napoli 1985, pp. 59-73; G. Amirante, Architettura napoletana tra Seicento e Settecento, Napoli 1990, pp. 13-17; E. Nappi, Notizie su architetti ed ingegneri contemporanei di Giovan Giacomo di Conforto, in Ricerche sul ’600 napoletano, VII (1990), pp. 169-175; A. Litta, La pietra e la forma: Giovan Battista Nauclerio, in Centri e periferie del Barocco, a cura di M. Fagiolo - G. Cantone, II, Barocco napoletano, a cura di G. Cantone, Roma 1992, pp. 157-180; M.T. Minervini, Bartolomeo Picchiatti e la chiesa di Sant’Agostino alla Zecca a Napoli, in Napoli nobilissima, s. 4, XXXII (1993), pp. 17-33, 152-160; V. Rizzo, Ferdinandus Sanfelicius architectus Neapolitanus, Napoli 1999, pp. 27 s., 40 s.; V. Russo, Nuove acquisizioni per il complesso di S. Antonio a Port’Alba, I parte, in Napoli nobilissima, s. 4, XXXVIII (1999), pp. 91-104; P.C. Verde, Che si facci una grada nova nel Regio Palazzo...: lo scalone reale e altre opere commissionate dal Conte d’Oñate a F. A. P., in Ricerche sul ’600 napoletano, XIV (2003-04), pp. 143-150; A. Gambardella, Le opere di F. A. P. nelle chiese di Napoli, Napoli 2004; S. Starita, Andrea Aspreno Falcone e la scultura a Napoli nella metà del Seicento, tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, a.a. 2011-12 (tutor prof. F. Caglioti); L. Abetti, F. A. P. e l’architettura classica: i ‘restauri’ dei palazzi Ruffo e Grasso, in Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna, I (2012-13), pp. 9-21.