PIANEZZA, Carlo Emanuele Giacinto di Simiana, marchese di
PIANEZZA, Carlo Emanuele Giacinto di Simiana (Simiane), marchese di. – Nacque a Torino nel 1608 da Charles de Simiane d’Albigny (1570 circa - 1608) e da Matilde di Savoia (1577/78 - 1639).
Il padre apparteneva a un’antica famiglia nobile provenzale. Animato da un cattolicesimo non privo di fanatismo, durante le guerre di religione aveva militato ai comandi di Amedeo di Savoia duca di Nemours. Era poi passato al servizio di Carlo Emanuele I, piuttosto che accettare Enrico IV come re: un gesto che gli era valso la fama di rinnegato. Era divenuto, quindi, uno dei più stretti collaboratori del duca: generale della cavalleria almeno dal 1597, governatore della Savoia e cavaliere dell’Annunziata nel 1602, lo stesso anno in cui, la notte fra l’11 e il 12 dicembre, fu a capo delle truppe sabaudo-ispaniche che tentarono l’escalade (la riconquista di Ginevra). Il 26 febbraio 1607 sposò Matilde di Savoia, sorellastra del duca. Solo un anno dopo, però, nel gennaio 1608, Albigny fu richiamato a Torino e, condotto al castello di Moncalieri, ucciso da sicari del duca. Le ragioni restano oscure, ma vanno collocate nelle trattative d’alleanza fra il duca ed Enrico IV: pare, infatti, che pur di ostacolarla, Albigny avesse progettato di cedere agli spagnoli la fortezza di Montmelian: un tradimento che, scoperto, avrebbe pagato con la vita.
Nato dopo la morte del padre, fu educato dalla madre secondo i principi di un cattolicesimo ascetico e rigoroso. Ciò, insieme con la taccia d’esser figlio d’un traditore, contribuì a dare a Pianezza un carattere chiuso, cupo, incline alla dissimulazione, e una tendenza alla solitudine che negli ultimi anni lo avrebbe segnato profondamente: «di temperamento malinconico[…] d’aspetto serio, pallido, magro e macilento», lo descrisse l’abate Pompeo Scarlatti nel 1666 in una Relazione della corte di Torino (Archivio di Stato di Firenze, Carte strozziane, Serie prima, 217, c. 147v).
Nel 1630 sposò Giovanna Arborio Gattinara (morta nel 1655), già moglie nel 1623 di Ludovico Parpaglia di Revigliasco (morto nel 1625). Il suo primo incarico politico fu del 1632, quando venne inviato da Vittorio Amedeo I come ambasciatore straordinario presso l’imperatore Ferdinando II, per concordare la cessione della parte di Monferrato ottenuta con il trattato di Cherasco (strinse allora importanti contatti con esponenti della corte imperiale e nel 1634 acquistò il feudo di Livorno, nel Vercellese, dal principe Eggemberg Ehrehausen). Rientrato in patria, fu chiamato a fare parte del Consiglio ducale. Iniziò, quindi, la carriera militare, servendo sotto il marchese Guido Villa, generale della cavalleria. Questi, in una lettera alla duchessa (13 ottobre 1639), ricordò di esser «stato il suo maestro» e «di averlo condotto alla guerra e comandatogli prima come a tenente di una compagnia di corazze, poi per colonnello di cavalleria, indi per mio tenente generale della cavalleria» (Ricotti, 1861, pp. 571 s.).
La cultura militare di Pianezza si formò anche attraverso la lettura: nel 1637 al duca che gli inviava Le parfaict capitaine dell’ugonotto Henry de Rohan (Parigi 1636), egli rispondeva con l’Historia delle guerre civili di Francia (Venezia 1630) del cattolico Enrico Caterino Davila.
Alla morte di Vittorio Amedeo I (7 ottobre 1637), la duchessa Cristina, reggente per il figlio, assegnò a Pianezza incarichi via via più rilevanti. Ciò incontrò inizialmente l’opposizione della Francia, ma allo scoppio, nel 1638, della guerra civile fra «madamisti» e «principisti», Pianezza e la sua famiglia si schierarono nettamente dalla parte dei primi. La notte del 27 luglio 1639 sia Matilde di Savoia sia la marchesa di Pianezza furono tra coloro che accompagnarono Cristina nella sua fuga da Palazzo Reale, riparando con lei nella Cittadella e poi in Francia. In settembre Cristina nominò Pianezza luogotenente generale «di qua da’ monti», conferendo poi, il 14 novembre 1639, tale titolo anche a Villa, ma stabilendo che questi avrebbe avuto il comando sulle questioni militari, Pianezza su quelle politiche. Nel 1640 fu, con Villa, a capo delle truppe sabaude che ripresero Torino (dal 1639 in mano spagnola), assumendo il comando della città dopo la liberazione. Dopo l’arresto di Filippo d’Agliè, ‘favorito’ di Cristina, il 30 settembre 1640, e la sua deportazione in Francia, Pianezza divenne il vero primo ministro dello Stato, mantenendo tale ruolo per oltre venticinque anni.
«Primo ministro» di Cristina lo definiva Girolamo Brusoni (1671, p. 763); «ministro suo principale» Pietro Giovanni Capriata (1663, p. 228); «supremo dispositore de’consigli e delle faccende del duca» Vittorio Siri (1682, p. 828).
Fu Pianezza che gestì nel 1642 le trattative di pace con i principi Tomaso e Maurizio. Nello stesso tempo proseguì la propria attività militare. La presa di Verrua, il 24 ottobre 1642 fu forse il suo maggior successo: «le marquis de Pianezza a en cette occasion acquis un grand honneur», scriveva la Gazette de France (1642, n. 143, p. 1042), commentando che egli aveva fatto «voir qu’il ne sçait pas moins faire les fonctions d’un grand Chef que d’un vaillant soldat». In realtà, proprio la presa di Verrua causò un forte scontro con il governo francese. Richelieu, infatti avrebbe voluto che le fortezze, essendo ‘liberate’ da un’armata franco-sabauda, fossero poi assegnate a entrambe, mentre Pianezza, evidentemente, mirava a porle sotto il solo controllo sabaudo. Priva di Pierre Monod e di Filippo d’Agliè, all’epoca entrambi prigionieri dei francesi, Cristina aveva in Pianezza il suo collaboratore più stretto. Dopo che le trattative furono sospese per la morte di Richielieu (4 dicembre 1642) e la successiva liberazione di d’Agliè, nella primavera del 1644 la reggente inviò a Parigi il marchese Carlo Gerolamo Solaro del Borgo per giustificare la condotta di Pianezza e trattare una soluzione per la gestione delle piazze. Lo scontro fra Mazarino e Pianezza riprese, però, pochi mesi dopo, in occasione della cosiddetta crisi Bellezia.
Cristina aveva insistito perché alle trattative di Münster lo Stato sabaudo non fosse rappresentato dalla Francia (come Mazarino avrebbe preferito), ma da una propria delegazione. Di essa fece parte anche il conte Giovan Francesco Bellezia. Questi aveva avuto colloqui diretti con i rappresentati spagnoli, indispettendo fortemente Mazarino, che ne aveva chiesto il richiamo. A fronte del rifiuto di Cristina, Mazarino aveva minacciato d’ordinare alle truppe francesi della cittadella di Torino d’arrestare Pianezza e deportarlo in Francia. La minaccia era seria e alla fine, con un escamotage che salvava la faccia della duchessa, Bellezia fu allontanato da Münster (cfr. Siri, 1667, pp. 325 ss.; Wicquefort, 1677, pp. 163 s.).
L’opposizione francese a Pianezza emerse ancora quando, alla fine del 1646, Cristina avrebbe voluto nominarlo «ajo» del figlio Carlo Emanuele II. Mazarino, allora, intervenne e convinse la duchessa a far cadere la nomina sul marchese Carlo Emanuele Pallavicino.
A chiedere l’intervento del ministro francese fu il principe Tomaso, i cui rapporti con Pianezza restavano estremamente tesi. Essendo il principe comandante delle truppe franco-sabaude impegnate nella guerra contro la Spagna, fu probabilmente per questa ragione che il 13 febbraio 1650 Pianezza scrisse a Cristina, offrendole le sue dimissioni. La duchessa non le accettò, ma fece in modo di portare Pianezza stabilmente a Torino. In luglio, infatti, la morte del marchese di Fleury e del marchese Pallavicino, rispettivamente Gran maestro e Gran ciambellano, permise a Cristina di riconfigurare la corte del figlio. A ricoprire i due incarichi chiamò, allora, Filippo d’Agliè e Pianezza (Gazette de France, 1650, n. 105, p. 928; n. 145, p. 1288).
Nello stesso anno Pianezza provvide all’istituzione di un Consiglio per l’augmentazione et conservatione della Catholica fede, presieduto dall’arcivescovo di Torino, ma in cui sedevano il gran cancelliere, gli altri ministri e alcuni dei principali magistrati dello Stato. Guidato de facto da Pianezza, il nuovo Consiglio iniziò una vasta azione volta a favorire le conversioni degli eretici, aiutato in ciò anche dall’azione che la moglie di Pianezza sviluppò insieme con altre dame di corte per effettuare collette di denaro per pagare doti ai convertiti.
È su questo sfondo che si collocano le cosiddette Pasque piemontesi, con cui Pianezza mirò prima a riportare la comunità valdese nei limiti a questa imposta dagli accordi di Cavour del 1561, e poi a eliminare del tutto la loro presenza. Le operazioni furono condotte direttamente da Pianezza nell’aprile del 1655 e nel giro di un mese potevano dirsi concluse vittoriosamente. La chiamata in Piemonte, lo stesso anno, della Congregazione della Missione di s. Vincenzo de’ Paoli (con cui fu in corrispondenza) era in parte finalizzata alla cattolicizzazione delle Valli valdesi. L’intervento svizzero e inglese, tuttavia, impose a Cristina e a Pianezza di accettare in agosto il rientro degli eretici negli spazi loro concessi un secolo prima. Se nel mondo protestante Pianezza era definito un nuovo Nerone (così l’inviato inglese Samuel Morland in un discorso tenuto a Torino alla duchessa di Savoia), in quello cattolico fu visto come un eroe: «general santo […] che combatte li nemici niente manco coll’orazione che coll’armi», lo definiva il gesuita Fabrizio Torre in una lettera del 2 maggio 1655 al confratello Carlo Antonioti (Balmas, 1964, pp. 42 s.).
Pianezza, in effetti, era al centro di un’intensa politica religiosa, che ha pochi confronti nell’aristocrazia subalpina del tempo: nel 1647 fondò a Pianezza un convento dedicato a S. Pancrazio, che affidò agli agostiniani. Nel 1649 fece realizzare a Torino, nella centrale chiesa di S. Carlo, una cappella dedicata a S. Nicola da Tolentino. Fra il 1663 e il 1667 fece costruire a Torino un convento per i padri della Missione. A questa attività era legata anche un’ampia committenza artistica, fra i cui risultati è da segnalare almeno un’Annunciazione di Claude Dauphin realizzata intorno al 1657-58 e oggi al Museo civico di Torino. Ma Pianezza fu anche autore di testi di devozione, fra cui il trattato La christiana esser la sola religione verace, e doversi perciò da tutti abbracciare (Torino 1664), dedicato al presule libanese Sarkis al-Ḡamri (Sergio Gamerio), professore d’arabo al College Royale di Parigi, che uscì lo stesso anno in cui scoppiò un nuovo conflitto con i valdesi (la «guerra dei banditi»). Tradotta in francese da padre Dominique Bouhours nel 1672, fu più volte ristampata almeno sino al 1718. Tutte queste attività concorsero a fare di Pianezza «l’idea del politico christiano e del savio e giusto huomo di Stato», come scriveva l’abate Filippo Maria Bonini, elemosiniere di Luigi XIV, nel suo Ciro politico (Venezia 1658, p. 218).
Un’immagine che conobbe maggior diffusione grazie a Francesco Frugoni che, ospite a Torino di Pianezza, gli dedicò il trattato De’ ritratti critici abbozzati e contornati (Venezia 1669), dove lo definì «idea del politico cattolico, del giustissimo huomo di Stato e gloria di questo secolo» (tomo III, p. 501). Negli stessi anni Pianezza seguì con attenzione la stesura di diverse opere storiche, fra cui l’Histoire généalogique de la Maison de Savoie di Samuel Guichenon (Lione 1660) e i testi del Theatrum Sabaudiae (Amsterdam 1682).
La ripresa delle relazioni diplomatiche fra Venezia e Torino, nel 1662, fu uno dei suoi ultimi successi: morta Cristina nel 1663, faticò ad adeguarsi alla politica di Carlo Emanuele II. Nel maggio del 1667, ottenuto il permesso di lasciare la corte, passò la carica di gran ciambellano al figlio Carlo Giovan Battista e si ritirò in convento.
Sin dal 5 dicembre 1655 aveva acquistato dalla famiglia Sfondrati il feudo di Montafia, uno dei feudi pontifici dell’Astigiano. Poco prima di ritirarsi, il 4 aprile 1667, ottenne da papa Alessandro VII la sua erezione in marchesato, cui seguì quella in principato il 27 agosto 1672, a opera di Clemente X. In tal modo egli si creò un piccolo Stato personale, indipendente dal controllo del duca, di cui affidò l’amministrazione al figlio.
Continuò, comunque, a esser sentito da Carlo Emanuele II in relazione alle scelte del governo. Con il tempo, tuttavia, i rapporti fra i due andarono deteriorandosi. Pianezza, in particolare, rimase legato all’alleanza della Francia e temeva tutto quello che la poteva incrinare. Fu, per questo, contrario alla guerra contro Genova che il duca intraprese nel 1672. Il figlio Carlo Giovan Battista fu posto tra i capi dell’esercito, ma dopo la disfatta fu ritenuto responsabile. La sua fuga per evitare di essere catturato fu la causa dell’arresto di Pianezza nel settembre 1674.
Liberato all’inizio del 1677, prostrato dagli affanni e dalle malattie, Pianezza morì a Torino nella casa della Missione la notte fra il 2 e il 3 giugno 1677.
Oltre a Carlo Giovan Battista, suo erede, ebbe tre femmine: Irene, Cristina e Matilde, entrate a corte come figlie d’onore e poi sposate nelle principali famiglie dell’aristocrazia subalpina: Irene (nata nel 1632) sposò nel 1646 Carlo Luigi San Martino d’Agliè, marchese di San Damiano, poi gran scudiere di Savoia; Cristina (1640-93) sposò nel 1653 Francesco Luigi Valperga di Masino (morto nel 1658) e poi nel 1660 Francesco Ferrero Fieschi di Masserano; Matilde nel 1661 sposò Louis Wilcardel de Fleury, marchese di Triviè.
Fonti e Bibl.: Gazette de France, 1642, n. 143, p. 1042; 1650, n. 105, p. 928; n. 145, p. 1288; P.G. Capriata, Dell’historia… dall’anno 1641 sino al 1650, Genova 1663, p. 228; V. Siri, Il Mercurio, overo Historia de’correnti tempi, VII, Casale del Monte 1667, pp. 325 ss.; XV, Firenze 1682, p. 828; G. Brusoni, Della Historia d’Italia dal 1625 al 1670, Venezia 1671, p. 763; A.M. Wicquefort, Mémoires touchant les ambassadeurs et les ministres public, La Haye, 1677, pp. 163 s.; E. Tesauro, I fasti bugiardi del marchese di Pianezza contro la sempre riverita memoria del signor principe Tomaso di Savoia, in Id., Scritti, a cura di M.L. Doglio, Alessandria 2004.
D. Bouhours, Discours… sur l’auteur, in La verité de la religione chrétienne, Parigi 1687; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, I, Firenze 1861, pp. 571 s.; G. Claretta, Sulle avventure di Luca Assarino e Gerolamo Brusoni chiamati alla corte di Savoia nel secolo XVIII ed eletti istoriografi ducali, Torino 1873, pp. 16, 36-40, 54; Id., Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele II, Genova 1877-78, passim; Id., Storia della reggenza di Cristina di Francia, Torino 1879, passim; G. Tonello, Memorie storiche sul marchese di Pianezza ed alcuni suoi congiunti, Torino 1922; A. Armand Hugon, Le pasque piemontesi e il marchese di Pianezza (1655), in Bollettino della Società di studi valdesi, 1955, n. 98, pp. 5-51; E. Balmas, La «Relatione della guerra valdesa» (1655), manoscritto inedito dell’abate Valeriano Castiglione, in Bollettino della Società di studi valdesi, CXV (1964), pp. 42 s.; E. Balmas - G. Zardini - Lana, La vera relazione di quanto è accaduto nelle persecuzioni e i massacri dell’anno 1655. Le «pasque piemontesi» del 1655 nelle testimonianze dei protagonisti, Torino 1987, passim; M. Di Macco, Scheda 36, in Diana trionfatrice, Arte di corte nel Piemonte del Seicento, a cura di M. di Macco - G. Romano, Torino 1989, pp. 34 s.; A. Cifani - F. Monetti, ‘Picturae miraculum’. Un capolavoro ritrovato, in Arte cristiana, LXXXVI (1998), pp. 61-66; M. Gotor, Le ‘Pasque piemontesi’ del 1655 fra le corti di Roma, Londra e Torino, in Casa Savoia e Curia romana, a cura di J.F. Chauvard et al., Roma 2015, pp. 259-271.