piacere
Il piacere estetico
L’osservazione di un paesaggio, di un’opera d’arte, di un danzatore che compie i suoi esercizi, oppure la lettura di una poesia o l’ascolto di una melodia provocano in noi sensazioni complesse che coinvolgono i sensi a livello sia razionale sia vegetativo. Infatti, quando nasce un pensiero nel nostro cervello, l’attività da esso generata nel sistema nervoso può influenzare altre funzioni come il battito cardiaco, la sudorazione, la salivazione e il diametro pupillare. Alla fine dell’esperienza estetica ci sentiamo in uno stato di grazia e pervasi da emozioni che si riassumono nell’espressione di piacere estetico. È affascinante notare come tali impressioni somiglino a quelle suscitate da stimoli piacevoli di carattere più materiale come l’assaggiare il cibo preferito o l’immergersi in un rilassante bagno caldo. Come in questi casi, la vista di un bel quadro potrebbe portare all’accensione dei centri del piacere nell’area tegmentale ventrale e nel sistema limbico, con conseguente produzione dei mediatori chimici coinvolti in tali sensazioni. Tali mediatori appartengono principalmente alla classe delle catecolammine, che partecipano anche all’attivazione generale della corteccia nel fenomeno dell’arousal («risveglio»), che ci rende più ricettivi verso le esperienze sensoriali. Lo stadio che segue l’esperienza estetica è caratterizzato da benessere e soddisfazione e potrebbe essere dovuto alla produzione di endorfine (➔), che porta con sé rilassamento e pace.
L’idea di bellezza è stata da sempre oggetto di discussione da parte di filosofi, scrittori, poeti, artisti e critici d’arte. Che l’esperienza estetica sia qualcosa di soggettivo, primariamente determinata dalle emozioni contingenti e dai valori personali, è espresso al meglio dalla frase popolare «la bellezza è negli occhi di chi guarda», spostando i canoni estetici da un livello oggettivo a uno più individuale. Tuttavia, è innegabile che esistano criteri universali che definiscono le qualità estetiche di un paesaggio, di un’opera d’arte o di una persona. Vanno ricordate, a questo proposito, le leggi percettive della Gestalt, con il concetto della buona forma, che dimostrano l’esistenza di regole ben precise nell’ordinamento delle nostre percezioni. Quando si osservano semplici figure geometriche, come triangoli, cerchi o quadrati, che abbiano piccole irregolarità o asimmetrie, si tende sempre a percepire la forma nel suo aspetto più regolare e simmetrico. Questa tendenza è già presente nei bambini molto piccoli. Inoltre, siamo principalmente attratti da figure che abbiano una certa armonia nelle proporzioni. Sin dall’antichità è nota la cosiddetta sezione aurea di un segmento, ossia il rapporto fra due grandezze disuguali, delle quali la maggiore è media proporzionale tra la minore e la somma delle due. Tale rapporto, pari a 1,62, è stato ampiamente usato nella realizzazione di sculture classiche, oltre che in opere pittoriche e architettoniche rinascimentali. In uno studio del gruppo diretto da Giacomo Rizzolatti di Parma è stato dimostrato che il giudizio estetico su una scultura classica dipende fortemente dalle sue proporzioni, anche in soggetti completamente a digiuno di arte. Rizzolatti ha osservato che mostrando a un gruppo di volontari una serie di immagini raffiguranti il Doriforo di Policleto nella versione originale oppure in due versioni alternative in cui era stata modificata la proporzione, si ottiene l’attivazione di aree cerebrali distinte. Se ai soggetti si chiede semplicemente di osservare l’immagine non modificata, senza dare un giudizio estetico, si nota l’accensione dell’insula e di alcune delle aree della corteccia laterale e mediale. Quando, invece, i volontari devono indicare la figura che ritengono più bella si ha un’attivazione selettiva dell’amigdala. Il senso della bellezza artistica potrebbe, quindi, essere determinato sia dall’attivazione di aree implicate nella percezione della proporzione (bellezza ‘oggettiva’), sia dall’intervento degli stati emotivi individuali (bellezza ‘soggettiva’). Secondo questa interpretazione, i canoni di bellezza oggettiva sarebbero innati, anche se modellati sulla base di conoscenze acquisite. In una serie di altri esperimenti, alcuni volti umani sono stati sovrapposti ed è stato generato il cosiddetto volto medio. Se si chiede ad alcuni osservatori di indicare il volto che sembra loro più attraente, in generale essi giudicano più bello quello medio. Tale risultato è stato interpretato come la dimostrazione che certi modelli di riferimento si formano per somma di molteplici esperienze.
«Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere» (Stendhal, Napoli e Firenze: un viaggio da Milano a Reggio). Questa è la descrizione che Henri Beyle, in arte Stendhal, fa delle sensazioni provate dopo aver visitato la Basilica di Santa Croce a Firenze durante il suo viaggio in Italia nel 1817. In suo onore la psichiatra Graziella Magherini chiamò sindrome di Stendhal una patologia psichiatrica caratterizzata da tachicardia, vertigini, allucinazioni in soggetti esposti alla visione di opere d’arte. La malattia, piuttosto rara, colpisce principalmente persone molto sensibili e fa parte dei cosiddetti ‘malanni del viaggiatore’. Più della metà delle sue vittime è costituita da individui solitari, di formazione classica o religiosa, di origine europea (tranne gli italiani che ne sembrano immuni) e giapponese. Le manifestazioni più lievi sono simili a crisi di panico, mentre quelle più gravi possono portare ad attacchi di angoscia e sensi di colpa, allucinazioni e paranoia. A volte tale sindrome può sfociare in comportamenti aggressivi che conducono al tentativo di danneggiare l’opera.