peso
Il sostantivo ricorre per lo più in poesia, e ha i valori, propri e traslati, oggi vulgati.
Propriamente: " forza di gravità ", o meglio " resistenza all'attrazione terrestre ", proprietà fisica dei corpi. Si veda Cv IV XXIV 10 [la vite è dotata di] vignuoli con li quali difende e lega la sua imbecillitade, sì che sostiene lo peso del suo frutto; l'edizione Busnelli-Vandelli preferisce rimandare, per il concetto, a Cicerone Fin. V XIV piuttosto che a Senect. XV 52.
Con facile passaggio p. viene a significare non più la " proprietà " di un corpo, bensì il corpo stesso che gode di questa proprietà, e vale perciò " corpo pesante ", " onere ", " carico ". È termine tecnico del linguaggio della fisica in If XXXIV 111, dove il centro della terra è definito 'l punto / al qual si traggon d'ogne parte i pesi (" punctum... ad quod omnia gravia undique aequalibus lineis tendunt ", Pietro). Il concetto, di derivazione aristotelica (cfr. De Coelo IV 1 e Cic. Somnium Scip. XVII), compare, in contesto meno generico, in If XXXII 3 e 73-74, ma soprattutto nell'efficace passo di Pd XXIX 57: Lucifero, confitto al centro della terra, è di conseguenza da tutti i pesi del mondo costretto: " nel centro della terra... tutti lì mondani pesi vanno d'ogn'intorno... a premere " (Lombardi).
Alcuni commenti vedono in questo luogo non la semplice enunciazione di un dato di fatto, ma l'accenno a una sorta di contrapasso cui Lucifero è condannato: " il... verso... ti mostra Lucifero inchiodato nel centro dal premere di tutto il ‛ mondo ', che là si raccoglie " (Cesari); e si badi inoltre che il luogo ov'è fitto Lucifero non è solo il centro dell'Inferno (per cui i p. che gravitano su di esso sono, simbolicamente, i peccati), ma è anche il centro dell'universo: " vedi tutto l'universo pesare sulla forza malvagia che intende pesare sovr'esso " (Tommaseo).
In senso concreto, p. indica i macigni che gli avari e i prodighi ‛ voltano ' per forza di poppa (If VII 27; cfr. Virgilio Aen. VI 616); " per ista onera repraesentat nobis magna pondera laborum et curarum, quae continuo premunt et gravant corpus et animum avari et prodigi ", spiega Benvenuto; per il Chimenz " i pesi simboleggiano i mucchi di danaro che i dannati maneggiarono e rimaneggiarono, come ora rivoltano i pesi, non solo con le mani, ma anche col petto ", mentre per il Sapegno l'incessante fatica di rivoltare i massi rappresenta " lo sforzo che essi durarono da vivi, intorno ad un oggetto, quale è la ricchezza, di per sé vano ". Analogamente il Bosco si riferisce espressamente alla suggestione esercitata sul poeta dalla pena di Sisifo. Anche in Pg XI 70 il p. è un macigno, strumento di pena più grave perché non è spinto o rotolato, ma grava e impaccia (v. 75) i superbi.
In If XXIII 70 il p. che rallenta il passo agl'ipocriti è quello delle cappe di piombo gravi (vv. 65-66) e insopportabili. Il termine non indica però soltanto l'oggetto che pesa, ma anche la sensazione di pesantezza provata dai dannati; sensazione che genera la sofferenza e l'aria mesta e contrita. Poco più oltre (Le cappe rance/ son di piombo sì grosse, che li pesi / fan così cigolar le lor bilance, v. 101) la concisa similitudine va così interpretata: " il peso delle cappe di piombo ci fa gemere come i pesi fanno cigolare le bilance "; il sostantivo ha perciò un doppio valore: per il secondo, indica il " contrappeso " con cui si equilibra un oggetto sul piatto di una bilancia.
In Pg XXI 99 non fermai peso di dramma, l'espressione vale " il peso equivalente a una dramma ", e siccome la dramma è una minima unità di misura (un ottavo di oncia), la frase significherà " non firmavi minimum punctum vel passum " (Benvenuto). " La metafora è tratta probabilmente dalla bilancia, i cui bracci si ‛ fermano ' quando i pesi si corrispondono: Stazio, insomma, non mise in carta né parola né frase che non fosse prima... pesata sulla bilancia del modello virgiliano " (Mattalia).
Nello stesso ambito concreto l'uso di p. in Pd XXIV 84 Assai bene è trascorsa / d'esta moneta già la lega e 'l peso; p. e lega sono i due elementi fondamentali per il ‛ valore ' di una moneta: " la sostanza... è l'ariento di perfetta ‛ lega ', e l'accidente... è il ‛ peso ' di essa " (Daniello); qui in metafora, poiché la moneta è la fede, il discorso intorno ad essa, la lega, è " la diffinizione e... ‛ lo peso ' la intenzione della diffinizione " (Buti); insomma " auctor metaphorice assimilat fidem pecuniae cuniatae in auro, quae habeat omnes suas partes in liga, pondere et cunio " (Benvenuto).
Simile metafora in Cv I II 9: alla persona che esamina i propri peccati senza giusta misura, cioè con eccessiva indulgenza, 'l numero e la quantità e 'l peso del bene li pare più... e quello del male meno. I commenti ricordano Sap. 11, 21 (" omnia in mensura et numero et pondere disposuisti ") e soprattutto s. Tommaso (Nat. boni I V 5: il ‛ numero ' del bene è la " specie ", la ‛ quantità ' è la " misura o modo " e il ‛ peso ' è l'" ordine ").
Più generico, ma sempre in quest'ambito semantico, il valore di p. in Cv IV XII 4, dove li pesi de l'oro coperto e le pietre che si voleano ascondere sono " auri... pondera tecti / gemmasque latere volentes / praetiosa pericula " di Boezio Cons. phil. II m. V 28-29.
Un ulteriore traslato fa assumere a p. il significato di " sensazione di pesantezza " (come si era già intravvisto in If XXIII 70, ma ormai solo in senso morale): dunque " oppressione ", " gravezza ", " angoscia ". In Rime CIII 20 il p. è evidentemente la " pena d'amore "; più indeterminato il peso... mortale (L 34). L'espressione ‛ tenere sotto gravi pesi ' (cfr. If VI 71) equivale a " opprimere ", " tiranneggiare ", o meglio " umiliare ", " gravaminibus realibus et personalibus quod Auctor expertus est in se ipso " (Benvenuto). Si veda D. Compagni (II 23): " molti gravi pesi imposono loro e molte imposte ".
Vale infine " gravità ", " importanza ", " valore ", in Rime XCI 36 nullo amore è di cotanto peso, in Pd XVI 95 nova fellonia di tanto peso (l'espressione, per il Mattalia, " determina la gravità e le funeste conseguenze della nova fellonia "; cfr. VIII 80-81), e in XV 75 L'affetto e 'l senno / ... d'un peso per ciascun di voi si fenno: " aequa lance affecerunt mentem meam " (Benvenuto), " Si fecero in ciascuno di voi dello stesso valore " (Lombardi). Piuttosto che " gravità ", p. vale " istigazione ", " urgenza ", " spinta ", in Pd XX 83 de la bocca, " Che cose son queste? ", / mi pinse con la forza del suo peso: " bello e strabello quel ‛ peso ' dato al dubbiar, che infatti il dubbio, come ‛ peso ' premendo la voglia naturale di sapere la verità, caccia fuor le parole... e vien dal latino ‛ momentum ', che sono i pesi della bilancia " (Cesari).