PES, Emanuele, marchese di Villamarina
PES, Emanuele, marchese di Villamarina. – Nacque a Torino il 15 novembre 1777, quarto figlio maschio del marchese Salvatore e di Teresa Vittoria Maffei di Boglio.
La famiglia era di origine sarda e nell’isola possedeva estese proprietà: era entrata nei ranghi della nobiltà nel 1670 e nel 1711 aveva acquistato il titolo marchionale di Villamarina.
Seguendo le orme del padre e dello zio Giacomo (governatore di Sassari e poi di Cagliari, gran mastro dell’artiglieria e capitano generale della Sardegna dal 1816 al 1818), Emanuele si arruolò nel 1794 quale soldato volontario nel V battaglione granatieri. La sua carriera fu, come era la regola per i nobili, relativamente rapida: nel 1795 divenne sottotenente aggregato senza paga nel reggimento Aosta e l’anno successivo fu promosso a sottotenente effettivo con paga.
Quando Napoleone Bonaparte costrinse il regno sabaudo a passare sotto l’influenza francese, Emanuele rimase in divisa. Nel 1797-98 fu inquadrato nei battaglioni di campagna impegnati nella repressione dei moti popolari. Nel 1799, dopo che il suo reggimento era stato fagocitato dall’armata francese, prese parte alla campagna contro gli austro-russi e fu tra coloro che difesero la fortezza di Alessandria. Espulsi i francesi dal Piemonte, decise, in accordo con il padre, di passare al servizio austriaco in modo da far dimenticare la collaborazione con i rivoluzionari. Il 14 dicembre 1799 fu accolto, con il grado di luogotenente, nel reggimento vallone dell’arciduca Giuseppe. Partecipò alla campagna del 1800 contro i francesi, ma in maggio fu fatto prigioniero e poté ritornare nei ranghi del suo reggimento soltanto alla fine di quell’anno grazie a uno scambio di prigionieri.
Dopo aver preso parte alla campagna dell’inverno 1800-01, si rese conto di non avere grandi prospettive di carriera nelle file austriache e nel 1802 ottenne l’autorizzazione a «rimpatriare presso il Genitore» (Montale, 1973, p. 11).
Nel corso della dozzina d’anni trascorsi in Sardegna si occupò soprattutto dell’amministrazione dei beni della famiglia, ma prese anche moglie – Teresa Sanjust di San Lorenzo, sorella della moglie del fratello maggiore Francesco – ponendo fine a una fase, stando a Louis des Ambrois de Névache, «d’étourderie orageuse», che tra l’altro l’aveva spinto a «suivre une saltimbanque» e a «paraître avec elle sur les tréteaux» (Notes et souvenirs inédits du chevalier Louis des Ambrois de Névache, Bologna 1901, p. 74). Dal matrimonio nacquero Salvatore, futuro diplomatico e attore contestato dell’unificazione del Mezzogiorno nel 1860, Francesco, Chiara e Teresa.
Capitano, dal luglio 1808, nel reggimento provinciale Sulcis cavalleria, quando, nel 1814, Vittorio Emanuele I, di cui aveva conquistato le simpatie, ricuperò il Piemonte, Pes di Villamarina divenne maggiore di cavalleria e aiutante di campo del re. Nel 1815 fu nominato aiutante generale e segretario particolare del generale Vittorio Amedeo Sallier de la Tour, il comandante del corpo di spedizione piemontese inviato contro Napoleone I durante i Cento giorni. Nel novembre di quell’anno fu promosso tenente colonnello, nel 1817 colonnello e nel 1820 maggior generale e ispettore della fanteria. La rapidissima ascesa ai vertici militari fu favorita dalla sua collocazione politica.
Secondo la testimonianza degli acuti Mémoires pour mon usage particulier (1818), fu un critico severo di quella strategia restauratrice a tutti azimut, che era prevalsa nel 1814-15 e che si era proposta di «absolument abbattre d’un seul coup la nouvelle machine», vale a dire il sistema napoleonico, «et y substituer l’ancienne» (La révolution piémontaise de 1821 ed altri scritti, a cura di N. Nada, 1972, p. 24). Pur godendo della fama di liberale (accreditata anche dal leader della rivoluzione del 1821, Santorre di Santarosa), in effetti aderiva a quella versione aggiornata dell’assolutismo illuminato, che in quegli anni in Piemonte era impersonata da Prospero Balbo e da Filippo Antonio Asinari di San Marzano.
Quando, nel marzo 1821, scoppiò la rivoluzione in Piemonte, il reggente Carlo Alberto, che ne apprezzava la franchezza e la capacità organizzativa, gli affidò il ministero della Guerra e della Marina, un incarico che tuttavia assolse soltanto per pochissimi giorni e senza riuscire a incidere granché sulla successione di avvenimenti che furono invece dettati da un copione rivoluzionario al quale egli era assolutamente contrario. Il nuovo re Carlo Felice non gli perdonò la sua partecipazione al governo di Carlo Alberto: in luglio lo rimosse dall’ispettorato della fanteria e lo collocò in aspettativa. La ‘traversata del deserto’ si protrasse fino al 1831, l’anno dell’avvento al trono di Carlo Alberto, del quale era sempre rimasto un ascoltato consigliere. In quei dieci anni si dedicò soprattutto agli affari, acquistando una notevole competenza finanziaria.
Carlo Alberto restituì immediatamente Villamarina alle alte sfere governative e militari. Nell’agosto 1831 lo chiamò a far parte del Consiglio di Stato per la sezione Finanze e in ottobre lo promosse luogotenente generale d’armata. Nell’aprile 1832, una volta rassicurato circa le reazioni austriache alla nomina di un militare coinvolto nella rivoluzione del 1821, gli affidò il ministero della Guerra e della Marina, nel marzo 1833 anche quello, appositamente costituito, degli Affari di Sardegna e nel settembre 1841, dopo che nel 1838 lo aveva promosso generale d’armata, la direzione della polizia, che fu sottratta al ministero degli Interni e posta alle dipendenze di quello della Guerra.
Questa progressiva concentrazione di poteri rispecchiò anche il ruolo conquistato da Villamarina quale esponente di punta del ‘partito delle riforme’, che si opponeva, sia pure nel rispetto dell’opzione assolutista, agli ultras cattolici e a coloro che consideravano l’Austria di Metternich la stella polare del Piemonte carloalbertino. In ogni caso, anche se risolse a suo vantaggio alcuni scontri con i suoi nemici, Villamarina non riuscì a emarginarli. Dovendo spartire il potere con i reazionari, non fu neppure in grado di promuovere un’incisiva politica riformatrice.
Ottenne comunque indubbi successi nella lotta in Sardegna contro le giurisdizioni e le proprietà feudali così come contarono, fuori delle sue competenze dirette di governo, i suoi interventi presso il sovrano riguardo allo sviluppo delle ferrovie, al commercio di Genova, agli affari ecclesiastici e alla pubblica istruzione. Sul fronte dei problemi militari, trascurò la Marina, mentre le riforme che introdusse nell’esercito ne mutarono solo parzialmente quella fisionomia, che aveva assunto sotto Carlo Felice. Riformò la leva, abolendo il sistema dei contingenti, che si succedevano sotto le armi ogni quattro mesi, e instaurando un servizio continuato di un anno. Diede una maggiore flessibilità tattica all’armata approvando la costituzione del corpo dei bersaglieri. Ma nel suo insieme la sua amministrazione fu giudicata ‘pessima’ da Ferdinando Augusto Pinelli e da altri critici liberali.
Nell’ottobre 1847 la svolta liberal-nazionale di Carlo Alberto lo pensionò. Fu creato senatore nel 1848.
Emanuele Pes di Villamarina morì a Torino il 5 febbraio 1852.
Fonti e Bibl.: I principali nuclei dell’archivio della famiglia Pes di Villamarina sono in: Archivio storico della città di Torino, Carte Pes di Villamarina; Archivio di Stato di Torino, Carte Nicomede Bianchi; Museo del Risorgimento di Genova-Istituto Mazziniano, Carte Villamarina; Archivio di Stato di Cagliari, Archivio Pes di Villamarina e famiglia Valentino (questo fondo di recente acquisizione contiene, in particolare, il carteggio di Emanuele Pes di Villamarina con Domenico Giordano e suo figlio Giovanni Battista, intercorso fra 1829 e 1841). Fondamentali per la ricostruzione della biografia di Pes di Villarina restano i suoi scritti memorialistici pubblicati postumi: Note autobiografiche di un veterano dell’esercito piemontese, a cura di N. Bianchi, in Curiosità e ricerche di storia subalpina, I (1874), pp. 143-164; La révolution piémontaise de 1821 ed altri scritti, a cura di N. Nada, Torino 1972. Inoltre: necrologio, Gazzetta di Genova, 9 marzo 1852; F. A. Pinelli, Storia militare del Piemonte in continuazione di quella del Saluzzo, III, Dal 1831 al 1850, Torino 1855, ad ind.; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, pp. 282-285; B. Montale, Dall’assolutismo settecentesco alle libertà costituzionali: E. P. di V. (1777-1852), Roma 1973; N. Nada, Dallo Stato assoluto allo Stato costituzionale: storia del Regno di Carlo Alberto dal 1831 al 1848, Torino 1980, pp. 57, 84 s., 89, 93 s.; C. Bettella, Problemi ed eventi della vita politica del Regno di Sardegna dal 1833 al 1845 attraverso le lettere di Carlo Alberto a E. P. di V., tesi di laurea, relatore N. Nada, Università degli studi di Torino, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1983-84; S. Ales, L’ armata sarda e le riforme albertine, 1831-1842, Roma 1987, ad ind.; Id., Dall’armata sarda all’esercito italiano (1843-1861), Roma 1990, ad ind.; N. Nada, Il Piemonte sabaudo dal 1814 al 1861, in P. Notario - N. Nada, Il Piemonte sabaudo dal periodo napoleonico al Risorgimento, Torino 1993, pp. 98-484; M. Brignoli, Carlo Alberto ultimo re di Sardegna, 1798-1849, Milano 2007, ad indicem; A. Accardo - N. Gabriele, Scegliere la patria. Classi dirigenti e Risorgimento in Sardegna, Roma 2011, pp. 40, 75-88, 90, 168, 225; P. Merlin, Un Bogino sardo? Alcune note su E. P. di V., in La Sardegna nel Risorgimento, a cura di F. Atzeni - A. Mattone, Roma 2014, pp. 187-194; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, I, Senatori del Regno di Sardegna, sub voce, http://notes9.senato.it/Web/senregno.NSF/P_l?OpenPage (20 febbraio 2015).