Persiani
Gli acerrimi nemici dei Greci antichi
I Persiani erano un popolo affine ai Medi, dalle origini oscure, che abitava l’attuale regione iranica di Fars (antica Parsa). Non sappiamo se, come vuole la tradizione, fossero inizialmente assoggettati ai Medi. La lingua, come quella dei Medi, era indoeuropea e, nelle loro tradizioni, affermavano di discendere da Achemene, da cui deriva il nome di Achemenidi che spesso fu loro attribuito. Sebbene abbiano creato un enorme impero durato due secoli, il più grande fino a quel tempo, dall’India al Mare Egeo, sappiamo davvero poco di questo popolo
Con l’eccezione delle iscrizioni del re Dario I, per scrivere le quali fu inventato un alfabeto di tipo cuneiforme, mancano quasi del tutto iscrizioni dalla Persia. Una curiosità: l’alfabeto del persiano antico usato nelle iscrizioni di Dario fu quello che consentì al filologo tedesco Georg F. Grotefend nel 1802 di decifrare i caratteri cuneiformi, dando così inizio all’assiriologia, la scienza che ci ha restituito le civiltà sumerica, babilonese, ittita, assira, elamita ed eblaita, interpretando i testi scritti in cuneiforme.
La quasi totalità delle informazioni che possediamo sui Persiani ci proviene dagli scrittori greci, ma certamente, dal momento che lo scontro fra Greci e Persiani fu epocale, queste notizie sono fortemente influenzate dall’idea che i Greci si erano fatta dei loro acerrimi nemici e, si sa, è difficile giudicare serenamente un nemico. Oltretutto, gli scrittori greci ci ragguagliano solo su quella parte dell’Impero persiano prospiciente la Grecia, ma quasi nulla ci fanno sapere sulle province orientali.
Questo oscuro popolo si impose tra i grandi regni del Vicino Oriente antico quando salì sul suo trono Ciro II il Grande nel 558 a.C. Sottomessi i Medi, Ciro conquistò la Lidia (l’attuale Turchia centro-occidentale) e premette sulle città greche della costa (che oggi è turca). Nel 539 a.C. prese Babilonia, aggiungendo quel vasto impero alle sue conquiste.
La conquista di Babilonia ebbe grande influenza nel mondo persiano, che organizzò l’amministrazione e la regalità tenendo presente il modello babilonese. Sotto la geniale guida di Ciro un popolo marginale tra i grandi imperi del Vicino Oriente si era innalzato a padrone di uno smisurato impero che durò fino alla spedizione di Alessandro Magno, quindi per oltre due secoli, assumendo i caratteri di grande e stabile entità statale.
A Ciro successe Cambise (salito al trono nel 529), che continuò la politica espansionistica del padre conquistando nel 525 a.C. l’Egitto. La dinastia con Cambise s’interruppe e, al termine di una guerra civile, Dario I, discendente di un ramo collaterale della stirpe degli Achemenidi, s’impadronì del trono nel 522 e intraprese un sistematico consolidamento delle strutture dello Stato. Anche Dario I continuò l’ampliamento dei confini dell’impero, avanzando in Africa (Libia e Nubia, attuale Sudan), in India e in Tracia (attuale Grecia settentrionale e Macedonia). Il suo tentativo di conquista della Grecia, tuttavia, fu bloccato sulla spiaggia di Maratona, dove il suo esercito fu sconfitto dai Greci comandati da Milziade (490 a.C.). Il suo successore, Serse, tentò nuovamente l’impresa, attaccando la Grecia per mare e per terra. Il suo enorme esercito fu trattenuto dal re spartano Leonida alle Termopili, dando così alle forze greche coalizzate il tempo necessario per organizzarsi, ma la disfatta finale avvenne a Salamina (480), quando la flotta fu distrutta da quella greca. Questa sconfitta determinò la fine dell’espansione persiana.
Il gigantesco impero continuò la sua vita, spesso travagliato da lotte di successione. Esso, infatti, era diviso in satrapie, grandi regioni affidate a un governatore (satrapo), e spesso i satrapi si ribellavano. Ricordiamo la rivolta di Ciro il giovane contro il re, suo fratello Artaserse II, che regnò dal 404 al 358 a.C. Ciro reclutò un forte contingente di mercenari greci, tra i quali si trovava lo scrittore greco Senofonte. Quando l’armata ribelle nel 401 a.C. fu sconfitta a Cunassa, in Mesopotamia, e Ciro il giovane fu ucciso nello scontro, i diecimila mercenari greci, che avevano combattuto per lui, dovettero ripiegare per cercare di tornare in patria. Senofonte ci ha lasciato la vivissima testimonianza di questa difficile e tormentata ritirata, nel suo libro intitolato l’Anabasi.
L’impero fu distrutto – come s’è detto – da Alessandro il Macedone, che sconfisse l’ultimo re, Dario III, sul trono dal 335 al 330, e incluse quel territorio immenso nei suoi domini.
Alla prematura morte di Alessandro, nel 323 a Babilonia, l’impero fu diviso tra i suoi generali. La Siria, la Mesopotamia e la Persia toccarono a Seleuco, che fondò la dinastia dei Seleucidi, durata fino al 64 a.C., quando la dinastia fu sconfitta da Pompeo, che guidava l’espansione romana in Oriente. Il confronto con i Romani costrinse i Seleucidi a concentrare le proprie forze verso il Mediterraneo, lasciando così spazi aperti ai Parti, che si resero indipendenti e resistettero ai tentativi di repressione dei Seleucidi. Furono i Parti a espandersi, fino a conquistare tutte le regioni che erano dei Seleucidi, fino ai confini della Siria, caduta sotto il dominio romano. Parti e Romani così si fronteggiarono e lo scontro fu inevitabile: a Carre, in Siria, le legioni romane comandate da Crasso furono annientate nel 53 a.C.
Roma aveva trovato un impero capace di contenerne le spinte espansionistiche: il confronto tra i due imperi continuò per secoli, anche quando i Sasanidi (che regnarono dal 226 al 640 d.C. e furono cancellati dall’espansione islamica) successero ai Parti nei loro domini. Le guerre ebbero esiti alterni: ricordiamo l’imperatore romano Valeriano, sconfitto dai Sasanidi e fatto prigioniero (259 d.C.), e Giuliano, che morì durante una campagna contro di loro (363 d.C.).
I Persiani sono importanti anche per la loro religione. Infatti, essi diedero vita a una fede che è viva ancora oggi, seppur praticata da meno di centomila fedeli, di cui più di metà in India, e molti altri nei paesi anglofoni. Questi fedeli sono anche detti adoratori del fuoco, ma il loro nome è Parsi (Persiani, appunto, anche se dovettero abbandonare la Persia e rifugiarsi in India, da dove si sono poi diffusi nel mondo). Profeta di questa religione fu Zarathustra (che i Greci chiamarono Zoroastro), forse vissuto tra il 9o e l’8o secolo a.C. nell’Asia Centrale, fra il Mar Caspio e l’Afghanistan (zoroastrismo). Su di lui fiorirono molte leggende, ma nulla di storicamente accertabile si può dire.
Dio supremo è Ahura Mazda («Saggio Signore»), cui si oppone il principio del Male, Angra Mainyu, in uno scontro cui anche l’uomo deve partecipare: alla fine dei tempi, il trionfo del Bene vedrà la gloria dei probi e la dannazione dei reprobi. I sacerdoti di questa religione sono detti magi, e dal loro nome derivano le nostre parole magia e mago, anche se hanno un senso diverso. I sacerdoti persiani erano esperti dei sacrifici e della fede; ma quando la loro fama passò nel mondo greco, furono considerati come parte di quel mondo orientale di astrologi ed esorcisti e confusi con i Caldei, gli indovini babilonesi esperti di controstregoneria, sicché tutti furono sbrigativamente denominati magi (o maghi).
I Vangeli ricordano tre magi, che recarono in omaggio a Gesù neonato i doni (oro, incenso e mirra), che sono tipici della consacrazione regale: infatti Gesù è qualificato come il Re dei re e, nella religione degli antichi magi, si parla di un Rinnovatore venturo, un salvatore (anch’egli) che sconfiggerà le tenebrose forze del male.
Ma non è solo la visita a Gesù a dar risalto alla figura dei tre re magi, sapienti – in questo caso – e non stregoni, com’erano considerati nel mondo greco-romano. Infatti, gli Ebrei che vivevano oppressi dal dominio romano guardavano con speranza agli altri Ebrei, quelli che vivevano nei confini dell’impero dei Parti, i grandi rivali di Roma.
Quegli Ebrei avevano condizioni di vita di gran lunga migliori e quindi i sacerdoti della fede dei Parti, i magi appunto, erano visti in maniera positiva, per rifiuto nei confronti dell’odiato mondo romano.