SHELLEY, Percy Bysshe
Poeta inglese, nato a Field Place, Horsham, nel Sussex, il 4 agosto 1792, annegato nel Golfo della Versilia l'8 luglio 1822. Era di famiglia antica e facoltosa: suo nonno, Bysshe Sh., era stato fatto baronetto nel 1806, il padre, Timothy Sh., fu deputato di Shoreham e succedette al titolo nel 1815. A dieci anni il ragazzo fu inviato alla Sion School di Brentford, e dai 12 anni ai 18 fu a Eton. Sin dall'infanzia egli avversò ogni forma di tirannia, ribellandosi a tutte le forme di autorità basate sulla convenzione e non sulla ragione; nutriva il suo amore del meraviglioso con le novelle della Radcliffe e della sua scuola, e l'imitò in due informi romanzi, Zastrozzi (1810), e St Irvyne (1811), l'ultimo dei quali mostra anche l'influsso del Leon di William Godwin, autore della Political Justice, che era già divenuto il suo credo politico e sociale; mentre sotto l'influenza del dott. Lind, un medico a riposo di Windsor, egli si era dedicato assiduamente allo studio della chimica e alle scienze fisiche. Nell'ottobre 1810 passò allo University College di Oxford, dove lesse voracemente e continuò i suoi esperimenti chimici, spinto dalla fede nel potere illimitato della scienza per il miglioramento della razza umana. Ma nel marzo seguente egli scrisse un opuscolo intitolato The necessity of Atheism, e fu perciò espulso dall'università. In rotta col padre, si fissò per qualche tempo a Londra, dove incontrò Harriet Westbrook e, considerandola come la vittima della tirannia paterna, fuggì con lei a Edimburgo, dove si sposarono nell'agosto del 1811. Per due anni essi vagabondarono tra l'Inghilterra, l'Irlanda e il Galles: Sh. si sentiva attratto verso l'Irlanda dal desiderio di servirne il popolo oppresso, e scrisse e distribuì di sua mano per tutta Dublino il suo Address to the People of Ireland. In questo scritto, come nei libelli politici posteriori (ad es., il Philosophical Review of Reform, 1820), lo Sh. non si appella alla violenza, ma sempre all'amore e alla ragione. L'anno seguente (1812) compose la sua Letter to Lord Ellenborough, un'eloquente apologia della tolleranza e della libertà intellettuale. Il suo primo poema importante, la Queen Mab (1813), è un'esposizione informe delle teorie godwiniane, al disopra delle quali peraltro si eleva, perché preannuncia la fede futura di Sh. nell'unità della natura e la sua dottrina, che lo spirito della natura è anche spirito d'amore.
Nell'aprile del 1813 Sh. si trovava a Londra, dove in giugno gli nacque il primo figlio, e dove per la prima volta vide il suo maestro Godwin, e la figlia di questo, Mary, della quale s'innamorò profondamente, e con la quale Sh., che già da tempo si era allontanato da Harriet, fuggì in Francia (luglio 1814). Poco dopo Harriet mise al mondo un altro bimbo, ma Sh. rifiutò di tornare a lei.
Nell'estate del 1815 egli si stabilì vicino a Windsor e vi scrisse il primo poema che sia una vera manifestazione del suo genio, Alastor, or the Spirit of Solitude, la tragedia dell'idealista innamorato della bellezza ideale, ma che non riesce nella sua ricerca per mancanza di simpatia per gli altri uomini. Poco dopo compose il suo Hymn to Intellectual Beauty, in cui si fondono i due motivi della sua vita e della sua arte, la passione per la libertà e l'adorazione dello spirito della Bellezza, nessuno dei quali secondo lui poteva essere realizzato, se non da chi avesse dedicato la sua vita al servizio dell'umanità. Mentre le teorie di Godwin rimanevano sempre per lui una fonte d'ispirazione, ora erano fuse e trasformate da un amoroso studio di Platone e di Wordsworth, da cui apprese la concezione di uno Spirito Universale, manifesto nella bellezza, nella virtù e in ogni manifestazione dell'ingegno umano, che detta la legge alla Natura e trova la sua espressione più perfetta nell'amore umano. Nel 1816 visitò di nuovo la Svizzera e a Ginevra s'incontrò con Byron: l'intimità che ne derivò durò per tutto il resto della vita di Sh.: questi aveva una viva ammirazione per il genio di Byron, ma le manchevolezze del suo carattere gli divennero ogni giorno più spiacevoli, mentre l'influsso di Byron tendeva sempre ad inaridire le fonti della sua poesia. Dall'altro lato Byron era stimolato da Sh. a scrivere una poesia più bella e ad approfondire la conoscenza della natura. Ma intanto Harriet si suicidava, e la custodia dei figli di lei gli veniva tolta; torturato da rimorsi e dolori e credendosi mortalmente malato, divise il suo tempo fra Marlow, dove ora viveva e si dedicava al sollievo delle sofferenze altrui, e le gite in barca sul Tamigi, ove sognava un bell'ideale di rivoluzione sul tipo della francese, in cui non potessero più darsi simili sofferenze. Il risultato fu Laon and Cythna (poi intitolato The Revolt of Islam), un lungo poema narrativo, noioso e caotico, sciupato dalla psicologia sbagliata, dall'ignoranza delle condizioni contemporanee (Sh. stesso ne riconobbe il carattere febbrile), ma con momenti di magnifica poesia e pervaso di amore della libertà, dell'eguaglianza dei sessi, di una fede nel destino dell'umanità, quando l'uomo avrebbe imparato a "vivere, come se vivere e amare fossero una cosa sola". Nel marzo del 1818, in parte per la sua salute, in parte per la paura che i figli avuti da Mary potessero essergli strappati, s'imbarcò per l'Italia. Una visita a Byron a Venezia nel mese d'agosto è immortalata nel suo Julian and Maddalo, e il suo soggiorno nell'autunno alla villa di Byron vicino a Este ispirò i suoi Lines written in the Euganean Hills. Trascorse l'inverno a Napoli. La primavera seguente completò a Roma i primi tre atti del suo magnifico dramma lirico Prometheus Unbound. Sh. adatta il mito eschileo ai suoi scopi: nella rivalità tra Prometeo e Giove vuol mostrare l'eterna lotta tra le forze che nel mondo dànno la vita e le forze sterili; nella vittoria di Prometeo la liberazione dell'uomo dalle catene che da sé si è foggiato e la sua suprema unione con l'anima della Natura. Il quarto atto, scritto a Firenze qualche mese dopo, è una sublime meditazione finale nella quale, nei dialoghi della Terra e della Luna, delle Ore e degli Spiriti della Mente, Sh. raggiunge il livello più alto della poesia lirica, mentre si mostra dotato in sommo grado della facoltà primitiva del creatore di miti.
Nello stesso anno 1819, l'annus mirabilis di Sh., egli scrisse il più bello dei drammi postelisabettiani, I Cenci, in cui è rappresentato lo stesso ardito contrasto fra gli spiriti del bene e del male con un'austera concisione di stile e un realismo intensamente drammatico, che ricorda John Webster e Shakespeare; mentre l'oppressione delle masse inglesi lo mosse a scrivere The Masque of Anarchy, Peter Bell the Third (in cui il fatto che Wordsworth perdette la potenza poetica è spiegato con il suo torismo) e parecchi canti semplici per il popolo inglese. A quest'anno appartiene anche la più grande delle sue liriche, l'Ode to the West Wind. Nel gennaio 1820 gli Sh. si trasferirono a Pisa, dove furono raggiunti da Byron. The Ode to the Skylark, The Witch of Atlas, squisito volo di fantasia, The Sensitive Plant e le Odi alla Libertà e a Napoli, furono le principali composizioni di quest'anno. Sul principio del 1821 il suo cuore s'infiammò per i torti fatti a Emilia Viviani, che era stata chiusa in un convento per indurla ad acconsentire a un matrimonio sgradito, ed egli scrisse l'Epipsychidion, che, pure svolgendo la sua dottrina mistica dell'amore, illustra anche la debolezza insita nella sua natura di "cercare in una figura mortale la somiglianza di ciò che è, forse, eterno". La morte di Keats gli suggerì di scrivere Adonais, di cui egli stesso parla come "della meno imperfetta delle sue composizioni". Questo magnifico lamento, più che un ritratto del suo eroe, è un'appassionata meditazione sulla morte: la figura principale è quella del poeta stesso e da una commovente rivelazione di sé stesso egli si eleva a una fede appassionata nell'immortalità dell'elemento divino nell'anima umana.
La sua opera successiva fu il dramma lirico Hellas, modellato sui Persiani di Eschilo e ispirato dall'insurrezione greca contro i Turchi: privo di interesse drammatico, il dramma è vitale esclusivamente per tre superbi cori. Circa in questo tempo il poeta era occupato a scrivere la sua prosa migliore, A Defence of Poetry, in cui espone la sua teoria dell'arte in un linguaggio appassionato ed eloquente. Nella primavera del 1822 egli si trasferì sul Golfo della Spezia. Il suo maggior divertimento erano le gite a vela sul mare; l'8 luglio la sua imbarcazione affondò durante una burrasca.
Una settimana dopo il suo corpo fu ricuperato e bruciato sulla spiaggia e le ceneri furono seppellite nel cimitero protestante di Roma; il suo cuore fu portato in Inghilterra e riposa a Boscombe. Quando morì, lasciò incompiuto l'ultimo suo grande poema, The Triumph of Life. Il frammento è di significato oscuro, ma sia nella grande austerità dello stile, sia nella severità con la quale egli presenta i vani desiderî dell'uomo e la partecipazione del poeta stesso a essi, questo almeno è chiaro, che il poema rappresenta un nuovo punto di partenza nella sua arte.
Mentre le opinioni saranno sempre discordi circa il valore del pensiero di Shelley, l'apprezzamento della sua arte dipende dalla capacità del lettore di sentire le doti essenziali della poesia. Wordsworth, pur lontanissimo da molte delle idee dello Shelley, ammise che egli "era uno fra i migliori artisti fra noi tutti per la perfezione dello stile"; e nessuno potrebbe essere più di lui contrario a molte delle teorie shelleyane. Nella facile padronanza di qualsiasi forma metrica egli scelga di trattare, ha pochi rivali, e mentre egli apprende dai suoi grandi predecessori, dà a tutto ciò che scrive l'impronta del suo genio. Il verso sciolto usato in Alastor, nel Prometeo, nei Cenci, è diverso in ognuno di essi a seconda del carattere del poema, ma sempre perfetto e soltanto Shakespeare e Milton raggiungono in esso una maggiore variazione musicale. Egli si serve a perfezione del metro eroico, sia con la grazia e il fascino irresistibile di una facilità signorile nello stile familiare del Giuliano e Maddalo e nella Lettera a Maria Gisborne, sia che, come nell'Epipsychidion, egli le impregni di un'anelante estasi lirica: nelle stanze spenseriane di Laon e Cithna e di Adonais l'onda metrica non si arresta mai e quando la situazione cresce in passione, si eleva alla grandiosità: nella strofa ottosillabica non sovraccarica mai il verso: all'ottava rima dà una delicatezza e una grazia fluida sconosciuta agli altri scrittori inglesi che l'usarono: solo fra i poeti inglesi ha trionfato delle difficoltà della terza rima. Ed egli giunge a tutto ciò senza ricorrere ad inversioni poetiche o all'uso di un linguaggio specificamente poetico: la sua lingua è pura, né volutamente semplice, né carica di ornamenti, ma ovunque fluida e trasparente. Ma il suo genio supremo si mostra nelle svariatissime forme che il poeta lirico inventa o adatta per dare espressione ai suoi varî stati d'animo, passando dalla semplice quartina del "Music when soft voices die", attraverso esempî di cadenza squisitamente variata come nell'Address to Night alle Odi più elaborate alla Libertà o al Vento dell'Ovest. Gli stati d'animo variano dalla gioia pura o dai canti di trionfo alla disperazione tragica di "O world, o life, o time!"; ma le liriche più caratteristiche sono quelle in cui gioia e dolore lottano per sopraffarsi, trasportando il poeta prima l'una e poi l'altro nel turbine della loro passione. Anche come poeta della natura, la sua opera più efficace è quella che esprime il movimento e il mutamento. Il mare, ora oscurato dalla tempesta, ora "danzante veloce e brillante" come nella baia di Napoli, la nuvola, che "muta ma non può morire", "lo spettacolo del vento su un fiume autunnale", il vento "dalla cui invisibile presenza le foglie morte sono rapite, come spettri fuggenti dinanzi ad un incantatore, gialle e nere e pallide e d'un rosso febbrile", sono tutte caratteristiche della sua poesia, perché simboli di una passione irrequieta, della misteriosa bellezza del poeta stesso. La sua opera più bella ha in sé qualcosa di elementare, mentre l'intensità e la purezza di ispirazione di essa le dànno un carattere unico.
Fortuna di Shelley in Italia. - Vivente, Sh. non attrasse l'attenzione degl'Italiani, con i quali non cercò rapporti, a differenza del Byron. Cominciò a essere ricordato (per primo da G. Montani nell'Antologia del 1825) come amico del Byron, sul cui cinismo si volle vedere un influsso dell'"ateismo", shelleyano; passata inosservata una versione dell'Adonais di D. Pareto, del 1830, lo Sh. acquistò notorietà in Italia in seguito al rifacimento dei Cenci dovuto a G.B. Niccolini (1844), il quale del resto biasimava la "pazza maniera" del Prometeo; ai Cenci attinse pure F. D. Guerrazzi pel cap. X della sua Beatrice Cenci. Versioni di G. Blenio (brano dell'Alastor incluso in Fiori e glorie della letteratura inglese di M. Mazzoni, Milano 1844), di S. Baldacchini, e soprattutto di G. Aglio (queste ultime raccolte in Opere poetiche scelte di P. B. Sh., Milano 1858) diffondevano la conoscenza di Sh. poeta mistico e rivoluzionario; a fare apprezzare il poeta della natura giovò, oltre a un saggio di M. Albani-Mignaty nella Rivista di Firenze (dicembre 1859-gennaio 1860), l'opera di versione e d'imitazione di G. Zanella, che credette notare un influsso di Sh. su Leopardi, e specialmente l'opera divulgativa di E. Nencioni e G. Chiarini che crearono intorno a Sh. il mito di "maggiore lirico moderno", e provocarono l'ammirazione del Carducci (prefazione alla versione in prosa di E. Sanfelice, 1893, echi in Alle Fonti del Clitunno, nel Canto dell'Amore, in Presso l'urna di P. B. Sh.: il Carducci diede dello Sh. la famosa definizione: "spirito di titano entro virginee forme"), e del D'Annunzio (che per il centenario della nascita di Sh., 1892, rielaborò un saggio di G. Sarrazin). Nell'ambiente in cui si formò il D'Annunzio sorse anche il più grande cultore e traduttore di Sh. in Italia, A. De Bosis, le cui versioni hanno ecclissato le precedenti (ricordiamo tra queste anche le versioni dovute a E. di Lustro, Napoli 1878, al Mancini, a M. Rapisardi, il cui Prometeo apparve nel 1892), senza tuttavia scoraggiare ulteriori tentativi (R. Ascoli, 1902, R. Piccoli, M. Praz, e altri). Agli studî divulgativi del secolo XIX hanno fatto seguito anche in Italia saggi critici originali (C. Zacchetti, M. Renzulli, ecc.).
Ediz.: The Complete Works, a cura di R. Ingpen e W. D. Peck, Londra 1926-29, voll. 10 (Julian Edition); Complete Poetical Works, a cura di T. Hutchinson, Oxf0rd 1904 (ed. minore negli Oxford Poets); Shelley's Lost Letters to Harriet, a cura di L. Hotson, Londra 1930; Shelley's Literary and Philosophical Criticism, a cura di J. Shawcross, Oxf0rd 1909; Letters, scelte da R. B. Johnson, Londra 1929.
Bibl.: V. le Shelley Society Publications, i Note-Books of the Shelley Society, gli Shelley Soc. Papers e il Bulletin and Review of the Keats-Shelley Memorial, Rome; tra le Shelley Soc. Publ. è The Shelley Library di H. B. Forman, 1886, bibl. delle opere di Sh.; concordanza di F. S. Ellis, Lexical Concordance to the Poet. Works of P. B. Sh., Londra 1892. Vers. ital.: v. sopra, a proposito della fortuna in Italia; le vers. del De Bosis, I Cenci, in Il Convito, libri X-XI, Roma 1898; Il Prometeo liberato, Roma 1922; Liriche, Milano 1928; vers. con testo a fronte di R. Piccoli, nella "Bibl. sansoniana straniera", Prometeo 1924, Poemetti, 1925; nella stessa Bibl., Liriche e frammenti a cura di C. Chiarini, 1923; vers. di R. Ascoli, P. B. Shelley, Poesie, Milano 1921 (3ª ed. riveduta); Le Prose, trad. F. M. Martini, Roma 1911. Alla classica biografia di E. Dowden, Life of P. B. Sh., Londra 1896, si è sostituita quella di W. E. Peck, Shelley: his Life and Work, ivi 1927; G. Biagi, Gli ultimi giorni di P. B. Sh., con nuovi documenti, Firenze 1922; A. Maurois, Ariel, ou la Vie de Shelley, Parigi 1923 (traduz. ingl., Londra 1924); E. Carpentier e G. Barnefield, The Psychology of the Poet Shelley, Londra 1925; H. J. Massingham, The Friend of Shelley, A Memoir of E. J. Trelawny, ivi 1930; The Life of P. B. Sh., as comprised in Hogg's "Life", Trelawny's "Recollections", and Peacock's "Memoirs", a cura di H. Wolfe Londra 1933, voll. 2. Studî critici: famoso il severo saggio di M. Arnold, apparso originariamente nella Nineteenth Century del 1887, ristampato nella seconda serie degli Essays in Criticism, Londra 1888; F. Thompson, Shelley, ivi 1909; W. B. Yeats, The Philosophy of Sh., in Ideas of Good and Evil (vol. VI dei Collected Works dello Yeats, Stratford-on-Avon 1908); A. Chevrillon, P. B. Sh., in Études anglaises, Parigi 1901; A. Koszul, La Jeunesse de Shelley, ivi 1924; H. Read, In Defence of Shelley and other Essays, Londra 1936; R. Ingpen, Shelley in England, ivi 1917; H. Peyre, Shelley et la France, Cairo 1935; M. L. Giartosio de Courten, P. B. Sh. e l'Italia, Milano 1923 (per le impressioni artistiche di Sh. in Italia, I. O'Sullivan Köhling, Sh. und die bildende Kunst, Halle 1928); tra i saggi italiani ricordiamo: G. A. Borgese, Ottocento europeo, Milano 1927; A. Galletti, P. B. Sh., in Studi di lett. inglese, Bologna 1928; C. Zacchetti, Shelley e Dante, Palermo 1922; F. Oliviero, Dante e Sh., Sh. e Petrarca, Sh. e il paesaggio italico, in Saggi di lett. inglese, Bari 1913; M. Renzuli, La poesia di Sh., Foligno 1932; B. Bini, P. B. Sh. nel Risorgimento italiano, Fiume 1927; E. Tagliatela, P. B. Sh., Lanciano 1924; G. Pioli, P. B. Sh., Milano 1923.