penitenza (penetenza)
Per " contrizione ", con riferimento al pianto di pentimento di Ezechia (cfr. IV Reg. 20, 3 " Flevit itaque Ezechias fletu magno "; si veda anche il passo nel quale egli allude ai suoi peccati: " tu autem eruisti animam meam, ut non periret, / proiecisti post tergum tuum omnia peccata mea ", Is. 38, 17), per il quale egli ottenne da Dio di procrastinare di quindici anni la morte: Pd XX 51 E quel che segue in la circunferenza / di che ragiono, per l'arco superno, / morte indugiò per vera penitenza. In Detto 60, nell'espressione far sua penetenza, nel senso di " compiere atti di contrizione " per il male commesso. In Fiore CXXVIII 13 gente di gran penitenza sono detti pellegrini e religiosi, abituati a sottomettersi ad atti di p. e di macerazione.
Nel senso di soddisfacimento penale per i peccati commessi, in relazione con le pene che soffrono le anime del Purgatorio, in Pg XIII 126 ancor non sarebbe / lo mio dover per penitenza scemo, / se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe / Pier Pettinaio in sue sante orazioni. Così anche in Fiore LXIV 13 di quel c'hai fatto farai penitenza. Per " pena inflitta come punizione ", in If XI 87 Se tu riguardi ben questa sentenza, / e rechiti a la mente chi son quelli / che sù di fuor sostegnon penitenza, / tu vedrai ben perché da questi felli sien dipartiti; ugualmente in Fiore CXXVI 10 darò lor sì dure penitenze.
V. anche CONVERSIONE.
Il concetto di penitenza in Dante. - Nella Commedia è chiaro il concetto della p. come virtù e della p. come sacramento. La parola di Cristo, " paenitentiam agite " (Matt. 4, 17) implica la necessità della conversione (v.), e il mutamento totale della vita.
La predicazione apostolica (Act. Ap. 2, 38; 3, 19; 8, 22; 17, 30) e le epistole paoline insistono sia sul mutamento della volontà per desiderare e volere solo ciò che Dio vuole, sia sulle opere penitenziali, in espiazione della colpa. Il Cristo diede agli apostoli la potestà spirituale di rimettere i peccati (Ioann. 20, 23), istituendo il sacramento della p.: questa potestà è detta anche potestas clavium per le due metafore usate dal Signore (Matt. 16, 19) delle ‛ chiavi ' e dello ‛ sciogliere '. La Scrittura parla di μετάνοια, tradotta nella volgata con paenitentia, e di ἐπιστροφή, tradotta con la parola conversio. La μετάνοια comprende un'ascesi preventiva e perciò ha un significato più ampio, mentre paenitentia include un concetto quasi esclusivamente espiatorio. Nella Commedia D. chiarisce l'idea della conversione penitenziale con la lotta intrapresa contro la concupiscenza della carne, degli occhi e la superbia della vita (Ioann. I Epist. 2, 16), raffigurandola nelle tre fiere che gl'impediscono il cammino verso Dio.
Nell'uso ecclesiastico p. specifica il dolore salutare dei peccati: il peccato è un'offesa fatta a Dio e l'uomo, con i suoi atti, deve espiare l'offesa. Oggetto materiale della p. è il peccato personale, l'oggetto formale è il diritto divino violato con la colpa e che viene riparato con la soddisfazione e il pentimento. S. Tommaso definisce la p. " virtus supernaturalis eaque moralis, inclinans hominem ad detestandum peccatum a se commissum, quatenus est offensa Dei et ad firmum emendationis et satisfactionis propositum " (Sum. theol. III 85). La p. dev'essere quindi considerata una virtù morale (e non teologica), poiché ha come oggetto il peccato commesso, che s'intende espiare, e come fine Dio, con il quale l'anima desidera riconciliarsi, mentre la virtù teologica ha la stessa cosa come oggetto e come fine. La p. fa parte della giustizia, tende infatti a riparare il diritto divino leso con la colpa. Poiché è impossibile a una creatura ristabilire tale ordine nella stessa misura, rispetto al creatore, s. Tommaso vide nella p. una virtù speciale, facente parte della giustizia, e la considerò pars potentialis iustitiae, in quanto la p. partecipa della ragione formale della virtù della giustizia imperfecte, quasi analogicamente.
La p. come sacramento (" quorum remiseritis peccata remittuntur eis, et quorum retinueritis retenta sunt ", Ioann. 20, 23) nella sistemazione ideologica della dottrina penitenziale trovò in s. Tommaso la definizione dei singoli fattori. (cfr. IV Sent. d. 22, q. 2 a 1, sol. I; Sum. theol. III 86 6). L'Aquinate considerò nel sacramento della p. la materia, cioè la p. ut virtus nelle sue tre parti: contrizione, confessione, soddisfazione, e la forma del sacramento cioè l'assoluzione. La remissione della colpa dipende principalmente dal potere delle chiavi (e principalius quidem ex virtute clavium "), e secondariamente dagli atti del penitente, nel senso che sono orientati e ordinati, in qualche modo, alle chiavi della Chiesa (" secundario autem ex vi actuum paenitentis... prout hi actus aliqualiter ordinantur ad claves Ecclesiae "). L'anima ottiene da Dio, per grazia, il pentimento delle colpe, e se ne libera con la confessio, nella quale il sacerdote giudica, assolve o condanna. Prosciolto dal debito della pena eterna, il peccatore ha l'obbligo di una pena temporanea. Ciò implica la soddisfazione, e se questa non è avvenuta durante la vita dovrà avvenire nell'aldilà, prima che l'anima sia ammessa alla visione beatifica. Tolta la colpa, viene sanata la ferita del peccato rispetto alla volontà, ma si richiede ancora una pena per la sanità delle altre forze dell'anima, che furono poste fuori del giusto ordine per il peccato commesso, in modo che siano curate per contraria (cfr. Sum. theol. Suppl. q. 1-24).
D. conobbe la disciplina penitenziaria nella sua storia ed evoluzione, e le dispute teologiche sulla penitenza. Gli atti espiatori della p. pubblica dei primi secoli erano stati commutati in opere di p.: digiuni, pellegrinaggi, costruzioni di edifici sacri, preghiere. Nel Paenitentiale Romanum del sec. VIII e nel Vallicellianum II, proveniente dall'Umbria dall'abbazia di Sant'Eutizio e databile al sec. X, troviamo un catalogo che registra le colpe e la p. relativa. I teologi del Duecento avevano chiarito che la confessione in sé stessa, tenendo conto dell'accusa, è già opera espiatoria, e veniva discusso se il peccato è rimesso da Dio nella contrizione, oppure nell'atto della confessione, quando cioè viene perdonato il peccato; se l'assoluzione rimette il peccato o è solo un attestato che rassicura l'anima del perdono di Dio. Avveniva la confessione, per solito, all'inizio della quaresima, e i vescovi ne prescrivevano l'obbligo: tre volte l'anno per i laici, ogni sabato per i chierici, secondo Alano di Lilla (cfr. Summa de arte praedicatoria, cap. XXXI: Patrol. Lat. CCX 173).
Per D. il debito contratto con la colpa dovrà essere estinto con la p. e lo riconosce Sapia parlando della ragione per cui le fu abbreviata la sua dimora nell'Antipurgatorio (Pg XIII, 125-128). Di ogni male commesso l'uomo deve fare p. e non deve stupirsi nel vedere come Dio vuol che 'l debito si paghi (Pg X 108); la p. non soddisfatta in vita si espia nel Purgatorio, lo conferma Oderisi da Gubbio a D.: E qui convien ch'io questo peso porti / per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia, / poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti (XI 70-72). Più volte il poeta tornò sul concetto di p. sostenendo la necessità di una proporzione tra la colpa e la p., così Beatrice esige che il poeta manifesti con lacrime il pentimento perché sia colpa e duol d'una misura (XXX 108).
In Pd VII 82-84, parlando della redenzione, Beatrice inizia il suo discorso dal peccato dell'uomo, notando che l'individuo in sua dignità mai non rivene / se non rïempie, dove colpa vota, / contra mal dilettar con giuste pene. Al sacramento della p., alle doti che deve avere il ministro, alle disposizioni del penitente (v. CONFESSIONE), il poeta ha dedicato un intero canto, il IX del Purgatorio, impostando allegoricamente il tema con i tre gradini di marmo di colore diverso, e con la presentazione delle due chiavi dell'angelo (il potere di giudicare e di assolvere), e con le sette P incise sulla fronte di D. (i vizi capitali). La disciplina penitenziale che D. segue nel Purgatorio segna la via della sua purificazione. Il grande perdono giubilare del 1300, a cui il poeta partecipa, testimonia come egli intese quell'indulgenza penitenziale, immaginando da quella data l'avvio della Commedia.
" Come tanti altri pii laici del suo tempo - osservò il Meersseman -, Dante si sforzò di predicare la metánoia cristiana, alla quale però il suo carattere forte e passionale non lo disponeva naturalmente. La sua evoluzione interiore fu una lenta ma costante conversione, una metánoia-epistrophé sentita e vissuta come un poeta profondamente religioso può sentirla e viverla. Di questo suo itinerarium mentis ad Deum abbiamo la testimonianza nella serie successiva delle sue opere, dalle poesie d'amore scritte in gioventù fino al Poema Sacro, terminato alla vigilia della morte ".
Bibl. - G. Busnelli, L'ordinamento morale del " Purgatorio " dantesco, Roma 1908; L. Pietrobono, Dal centro al cerchio, la struttura morale della Commedia, Torino 1923; S. Vazzana, Il contrapasso nella D.C. (Studio sull'unità del poema), Roma 1959; G.G. Meersseman, Dossier de l'ordre de la Pénitence au XIII s., Friburgo 1961; ID., Disciplinati e penitenti nel Duecento, in Il movimento dei Disciplinati nel settimo centenario del suo inizio, Perugia 1962; ID., Penitenza e penitenti nella vita e nelle opere di D., in Atti del Convegno di studi " D. e la cultura veneta ", Firenze 1966, 228-246; G. Fallani, La purificazione, in D.' poeta teologo, Milano 1965, 101-108; ID., Il c. IX del Purgatorio, in Lect. Scaligera II 293-307.