PEDAGOGIA
(XXVI, p. 580), -
Pedagogia sociale.
Se il termine, in tedesco (Sozialpädagogik), ha cominciato ad aver corso con F. A. W. Diesterweg intorno alla metà del secolo 19°, l'esigenza cui esso risponde si fa risentire più o meno in tutta la storia della p.; ma la posizione, dottrinaria e pratica, del problema ha luogo propriamente dalla fine del secolo suddetto. A volere per altro tenere conto, oggi, dello sviluppo dell'indirizzo pedagogico di cui si tratta, occorre distinguere tra una vera e propria p. sociologica e una p. sociale (con la quale si possono connettere una sociologia pedagogica e una psicosociologia pedagogica, in quanto studio, rispettivamente, degl'influssi e delle applicazioni che la sociologia, in concreto, ovvero della psicologia sociologica, possono avere nell'educazione). Per p. sociologica può intendersi propriamente una dottrina dell'educazione che trova il suo fondamento e i suoi principî nella sociologia, e che tutta l'educazione subordina alla realtà sociale, comunque intesa; e per p. sociale una dottrina che si limita a porre in luce e in valore gli aspetti e le esigenze sociali d'ogni educazione. Se ci riferiamo all'antichità, Platone e Aristotele possono considerarsi, all'ingrosso, rappresentanti rispettivamente dei due indirizzi.
Nella p. moderna, il filantropismo, col suo ideale d'una "vita socialmente utile, patriottica e felice" intonato in senso cosmopolitico, accentua già l'aspetto sociale di fronte a quello umanistico tradizionale, della formazione armonica e compiuta della personalità. Lo stesso accade in Pestalozzi, sebbene in lui sia viva e chiara l'esigenza del superamento del momento sociale in quello eticoreligioso. Ma si può dire anche che tutta la p. dichiaratamente cristiana e cattolica, in quanto ispirata a un principio universale, a una verità divina e rivelata, concretantesi poi nella comunità della Chiesa, cui il soggetto deve intimamente partecipare, dà posto in questo senso a un aspetto sociale, che è poi quello che ha fatto ascrivere agl'indirizzi di p. sociale anche una dottrina come quella della didattica del Willmann, che per altro verso s'ispira al principio della personalità, essenziale a ogni pedagogia cristiana.
In sostanza, la stessa p. sociologica è l'ultimo risultato del sempre maggiore accentuarsi dei motivi e delle preoccupazioni sociali maturati durante il secolo 19° e poi nel 20°: l'aprirsi della questione sociale, l'urgere delle classi lavoratrici verso la scuola e un più alto livello di cultura, l'evoluzione verso la democrazia, e già prima l'affermarsi del principio nazionale, poi il progressivo costituirsi d'una coscienza internazionale e supernazionale, l'ampliarsi e complicarsi dei rapporti sociali, i progressi enormi della tecnica, reclamanti la sempre più larga diffusione d'una scuola e d'un'educazione rispondenti al bisogno, il più intimo e ampio condizionamento della vita individuale da parte di quella collettiva, accrescevano l'interesse e l'importanza dell'aspetto sociale dell'educazione, mentre la psicologia dell'età evolutiva si rivolgeva a studiare sempre più analiticamente gli sviluppi della coscienza sociale nel fanciullo, gl'influssi dell'ambiente, ecc.
Così negli stessi indirizzi di p. più propriamente individualistica, come quello herbartiano, si delineano integrazioni e sviluppi in senso moderatamente sociale, ad es. con Fr. W. Dörpfeld, col Trüper, coll'Hochegger, con P. Barth; per non parlare del suddetto Willmann, che per qualche parte si ricollega anch'esso allo Herbart. In Italia, il positivismo pedagogico, soprattutto con A. Angiulli e con P. Siciliani, da ultimo con S. De Dominicis, ha sentito più largamente l'influsso delle vedute sociologiche e ha collaborato al delinearsi d'una pedagogia sociale.
I sistemi di vera e propria p. sociologica si riducono ai seguenti quattro tipi: 1) si accentua l'elemento universale o ideale (la forma kantiana) nel quale soltanto ogni materia diventa realtà e valore spirituale (conoscenza, moralità, ecc.), e che costituisce perciò l'unità nella quale soltanto i singoli si fanno persone, la società in cui le coscienze si compenetrano, onde l'educazione è formazione essenzialmente sociale; e si ha allora la Sozialpädagogik e il Sozialidealismus di P. Natorp, che esplicitamente si richiama da Kant a Platone; 2) si considera come realtà consistente, biologica o psichica, la società, che permane sopra e oltre gl'individui, assorbendoli in sé, e che, coi suoi bisogni vitali e i suoi fini immanenti, dà fondamento alla morale e detta le norme, induttivamente determinabili, dell'educazione, e si ha allora la p. sociologica di P. Bergemann o di E. Durkheim, o anche quelle forme di pedagogia sociologica che entificano ed esaltano lo spirito nazionale, il Volkstum, ecc., e vi subordinano completamente l'individuo, dando luogo alle varie forme di p. rigorosamente nazionalistica e statolatrica (fascismo, nazismo, ecc.); 3) si pone il vero valore etico non nella personalità, ma nella costituzione obiettiva - essenzialmente sociale, ultrapersonale - d'un mondo di valori (istituzioni, leggi, costumi, conoscenze, idee e correnti spirituali, ecc.), che chiamiamo cultura, e che si accresce ed evolve di generazione in generazione, onde gl'individui non valgono se non formandosi a parteciparvi e a farsene organi di trasmissione e d'incremento; e si ha la p. sociologica che può chiamarsi p. della cultura (Dilthey, in parte, ad es.); 4) si parte da una concezione sociale determinata come l'unica legittima e storicamente necessaria, quella della società comunista, cui è fondamento la concezione materialistica e strumento la dittatura del proletariato, e si ha una p. del collettivo (A. S. Makarenko), una p. sociologica del no contrapposto all'io, della persona rigorosamente identificata coll'ideale e coll'ordine comunisti.
Le obiezioni che rispettivamente valgono contro queste concezioni sono: che l'universalità del pensiero e dei valori non va confusa colla socialità, come fa il Natorp; che l'io è in ogni caso realtà primigenia e irriducibile; che i valori spirituali non si realizzano mai che in forma personale, mentre la società ne costituisce l'irraggiamento o le condizioni; che la società non è un ente fornito di coscienza e di potere individuabile in una struttura definita e distinta dall'azione degl'individui e dai rapporti fra essi; che nessuna pedagogia può prescindere dalla libertà e dal potere creativo dell'io.
Varî, complessi e fecondi sono invece i contributi apportati dalle ricerche sociologiche: 1) per quanto riguarda l'azione dell'ambiente sociale in generale, e in particolare delle condizioni culturali e professionali della famiglia, ad es. sul profitto scolastico (M. Kaczinska) e sul comportamento, sulla delinquenza minorile, ecc. (Shaw, Hartshorne e May, ecc.), con conclusioni importanti sulla necessità della lotta contro il pauperismo, dell'elevamento di tutti gli ambienti verso un livello non troppo difforme, culturale e morale, e di una sufficiente armonia tra i varî coefficienti ambientali, e senza tuttavia giungere all'errore di un determinismo ambientale o mesologico; 2) per quanto riguarda la modernizzazione della scuola sia nella sua interna attività sia nei suoi metodi, nel senso cioè di organizzarla come una vera società (compiti di lavoro in comune, lavoro per équipes, autogoverno e partecipazione degli allievi a responsabilità di disciplina, di ordine, di funzionamento della scuola); 3) per quanto riguarda l'apertura sociale della scuola, introducendovi certi insegnamenti (ad es. il lavoro, l'economia, la. morale civica), mettendola in rapporto coll'ambiente, mediante osservazioni ed esperienze che promuovano conoscenza e coscienza sociali, dando contenuto socialmente più significativo a certi insegnamenti (storia, geografia, ecc.), in genere impregnando tutta la scuola di quello spirito sociale che deve farne un organo sia di formazione sociale, democratica, del fanciullo, sia di effettivo concreto progresso della società; tutta la p. contemporanea, più o meno orientata in senso attivistico, da A. Ferrière a J. Dewey, a W. H. Kilpatrick, a R. Cousinet, da Tews a G. Kerschensteiner, ecc., tende a dare, insieme con un fondamento psicologico, un'impronta sempre più sociale a tutto il processo educativo; 4) per quanto riguarda la struttura degli organismi sociali che abbiano funzione educativa e i loro rapporti (famiglia, scuola, stato, categorie professionali e sindacati, circoli e associazioni varie, chiesa, ecc.); 5) per quanto riguarda le forme autonome di organizzazione sociale dei giovani (bande, associazioni di vario tipo, movimenti giovanili); 6) per quanto riguarda i problemi di riforma strutturale di tutta la scuola in conseguenza dell'evoluzione sociale, di aumento demografico, di più largo accesso di tutte le classi sociali alla scuola, di sviluppi della tecnica richiedenti sviluppi speciali dell'istruzione professionale e nuovi equilibrî tra i varî tipi d'istruzione (quindi problemi del prolungamento dell'obbligo scolastico, della scuola unica postelementare eguale per tutti, del più largo accesso all'università da qualsiasi tipo di scuola, dell'orientamento scolastico professionale, dello stesso edificio scolastico e suo ambientamento, fino, ad es., ai piani urbanistici di un Mumford, della pianificazione scolastica in rapporto al divenire economico-sociale, ecc.).
Si è del resto tentata, ad es. dal Barth, una ricostruzione storica dell'educazione alla luce della sociologia. E oggi in varî paesi, come in Germania, si sviluppa una sistematica sociologia dell'istruzione, e negli S. U. A. si afferma una corrente analoga, che peraltro vuol essere più di sociologi dell'istruzione che di sociologi educazionali. In ogni caso, è evidente che gli studî in questo campo devono essere diretti a indagare tanto l'influsso delle condizioni sociali sull'istruzione (com'è ad es. nella sociologia dell'istruzione di Weber), quanto gli istituti scolastici come organi in funzione di bisogni sociali. Si può dire che il primo studio è compito di quella che più propriamente potrebbe chiamarsi sociologia pedagogica, il secondo della pedagogia sociale.
In ogni caso, se anche è da riconoscere che la categoria centrale dell'educazione è la personalità, nella cui formazione e nel cui potere è la sede vera d'ogni concreta realizzazione di valori e l'energia prima d'ogni progresso, onde la stessa psicologia differenziale e individuale costituisce un'esigenza e una base ineliminabile dell'educazione moderna, tutti gli aspetti e condizioni sociali dell'educazione van tenuti presenti, e tutti i valori sociali vanno integrati nella formazione aperta e dinamica della personalità umana.
Bibl.: G. Calò, La pedagogia sociale, in Fatti e problemi del mondo educativo, Pavia 1911 pp. 65 segg.; M. V. O'Shea, Social development a. education, Cambridge 1901; P. Bergemann, Soziale Pädagogik auf erfahrungswissenschaftlicher Grundlage, Gera 1900 (trad. it.: La p. sociale di P. B. compendiata da A. Namias, Milano-Roma 1910); P. Natorp, sozialpädagogik, Stoccarda 1899, 4ª ed. 1921; J. Bamberger, Die sozialpäd. Strömungen der Gegenwart, Berna 1906; J. Delvaille, La vie sociale et l'éducation, Parigi 1909; S. De Dominicis, Sociologia pedagogica, Torino 1907; É. Durkheim, Pédagogie et sociologie, Parigi, 3ª ed., 1934; G. Rouma, Pédagogie soc., Bruxelles 1914; P. Barth, Die Geschichte der Erziehung in soziolog. und geistesgesch. Beleuchtung, Lipsia 1911, 6ª ed. 1925; W. Waller, The sociology of teaching, New York 1932; R. L. Finney e L. D. Zeleny, An introd. to educ. sociology, Londra 1934; J. Dewey, school and society, 1899, nuova ed. rived., Chicago 1915; E. Caudana, La fonction sociale de l'éducation, Losanna 1930; A. Hesse, sociologie appliquée à l'éducation, Parigi 1930; Social studies in general ed. (pubbl. dalla "Progressive Ed. Association"), New York 1940; F. R. Clarke, Educ. a. social change, Londra 1940; F. J. Brown, Educational sociology, New York 1947; A. Ch. Cook e E. F. Cook, A sociological approach to education, ivi 1950; L. Mumford, La cultura delle città, Milano 1954 (1ª ed. inglese 1938); R. Cousinet, La vita sociale dei ragazzi, Firenze 1953; R. Jadot, Milieu et éducation, Liegi 1936; R. Zaniewski, Les théories des milieux et la pédagogie mésologique, Tournai 1952; A. Fischer, Gesamm. Abhandlungen zur Soziologie, Sozialpäd., Sozialpsych., Monaco 1954; R. J. Havighurst e B. L. Neugarten, Society and education, Boston 1957; M. Kaczinska, Succès scolaire et intelligence, Parigi-Neuchâtel, s. d.; St. F. Cotgrove, Technical educ. a social change, Londra 1958; J. Floud, Principi e problemi di sociologia dell'istruzione, in Sociologia: applicazioni e ricerche, Bari 1959; A. K. C. Ottaway, Educazione e società, trad. it., Roma 1959 (con bibliogr. razionale e soprattutto della letteratura anglosassone dal 1899 al 1951). Quaderni di sociologia dell'educazione, pubbl. dal Centro didattico nazionale "Scuola e famiglia" (Archivio didattico, serie VII), finora n. 1, genn. 1961.
Pedagogia sperimentale.
È l'indirizzo che alcuni identificano con la p. scientifica in generale, in quanto intende appunto dare alla p. quel carattere scientifico che la conoscenza della natura ha conseguito con l'applicazione dell'esperimento, da condursi con metodi determinati, oltre che dell'esperienza (onde R. Buyse distingue la p. sperimentale dalla p. expériencée, che si fonda solo sull'esperienza, oltre che sulle teorie o sulle vedute generali, e costituisce già, perciò stesso, un progresso). Ciò non toglie che anche rappresentanti autorevolissimi dell'indirizzo, come E. Meumann, riconoscano che la p. sperimentale ricorre e non può non ricorrere anche ad altri mezzi, come le inchieste, l'applicazione delle statistiche, le ricerche di massa (ted. Massenuntersuchungen). L'esperimento pedagogico si distingue da quello psicologico (distinzione sulla quale hanno particolarmente insistito Th. Simon e R. Buyse), perché si applica più propriamente al procedimento didattico, del quale s'indagano i risultati in rapporto alle modalità con cui si svolge. Ma inevitabilmente vi sono esperimenti psicologici, applicazioni di tests, ecc., che hanno diretto riflesso e valore per l'indagine pedagogica sperimentale. Il còmpito della p. sperimentale è quello di sottrarre i metodi pedagogici a valutazioni e scelte aprioristiche, arbitrarie o puramente probabili, e sottoporli a un controllo valutativo mediante l'esperimento che ne constati i risultati, isolando nel modo più preciso possibile le componenti o i coefficienti diversi la cui efficacia può essere riconosciuta nei risultati medesimi. Requisito indispensabile è la quantificazione, l'applicazione d'una misura, secondo il detto di A. Binet, che "tutto ciò che è materia d'istruzione è suscettibile di misura" e che in ogni caso è meglio misurare quel che si può anziché non misurare affatto. Il metodo può essere sintetico (Scuola di New York), mediante comparazione - e quindi elaborazione statistica - di fatti pedagogici studiati in grandi masse d'allievi, ovvero analitico (Scuola di Chicago), che studia un procedimento didattico in singoli casi individuali, cercando di discernere nel risultato l'azione dei fattori diversi. Si vuole, in ogni caso, arrivare a una misura. Appunto perciò, oltre che per la stessa intrinseca difficoltà di sperimentare e misurare le svariatissime delicate forme e casi di azione educativa, le ricchissime ricerche di p. sperimentale si sono finora svolte sul terreno delle tecniche di certi insegnamenti elementari (leggere e scrivere, aritmetica, ecc.), di certe facilmente isolabili modalità dell'insegnamento in altri campi (ad es. l'apprendimento storico in base alla lezione del maestro o in base alla lettura personale dell'allievo), delle varie tecniche di lavoro scolastico (individuale o per gruppi), sui mezzi di più esatta valutazione del profitto scolastico e delle prove singole (docimologia), sul tipo degli esami.
L'atteggiamento dei filosofi dell'educazione e degli indirizzi tradizionali, nei rapporti della p. sperimentale, è spesso negativo. Caratteristico ad es. l'atteggiamento di S. Hessen, il quale esclude dalla p. le ricerche di p. sperimentale e le rimanda all'igiene, in quanto intendano misurare la maggiore o minore economicità di sforzo fisico e mentale di certe tecniche. Ma nel seno stesso dell'indirizzo esistono differenze di concezione notevoli. In Germania W. A. Lay ha creduto d'assegnare alla p. sperimentale competenza e funzione esaurienti per tutto il dominio della p. (credendo. ad. es., di risolvere con essa anche problemi generali, come quelli della scuola unica o della scuola attiva o Tatschule, com'egli la chiama, ecc.). Invece, uno psicologo e pedagogista di più alta autorità, il Meumann, da una parte limita il compito della p. sperimentale al controllo di certi procedimenti o tecniche, lasciando la determinazione di fini e di valori alle scienze dello spirito (etica, estetica, ecc.), dall'altra riconosce che la p. sperimentale può solo fornire consigli e "proposte o desiderata". Non stabilire norme assolute e criterî ineccepibili. È l'opinione, in fondo, dello stesso Buyse, il più autorevole rappresentante vivente della p. sperimentale, che limita quest'indirizzo al terreno dell'istruzione e ne esclude l'educazione, per la quale segue senz'altro la dottrina cattolica.
Tali limiti vanno senz'altro riconosciuti. Non può ammettersi la pretesa di alcuni, che la p. sperimentale assuma autonomia di scienza a sé, perché ogni mezzo e metodo è sempre da subordinare ai fini supremi dell'educazione e alle leggi generali dello spirito, e non v'è tecnica, pur dimostratasi la più economica e redditizia per il suo fine particolare, il cui valore non possa essere spostato se considerata dal punto di vista di valori educativi che superano il fine particolare e l'àmbito della tecnica stessa. Ed è evidente poi che non può eliminarsi da per tutto la funzione del diretto comprendere, interpretare, indurre, "einfühlen", che non tutto è misurabile, che le pretese eccessive di quantificazione portano facilmente a errori, che non deve mai perdersi di vista il fattore libertà e il fattore individualità, essenziali allo spirito; sebbene, con tutto ciò, non perdano significato e valore le statistiche relative agli stessi fatti morali. Con tali riserve, deve ricononoscersi che la mole notevole di ricerche di p. sperimentale offre ormai una grande ricchezza di contributi utili alla metodologia, soprattutto didattica.
Bibl.: E. Meumann, Vorlesungen zur Einführung in die exp. Päd., Lipsia 1911-13; W. A. Lay, Exp. Didaktik, ivi; id., Experimentelle Pädagogik, ivi 1911; J. J. van Biervleit, Péd. exp.-Les bases, Gand-Parigi 1911; id., Les princip. applications de la péd. exp., Gand 1913; W. A. Mc Call, How to experiment in education, New York 1923; Th. Simon, Péd. exp., Parigi 1924; E. Claparède, Psychol. de l'enfant et péd. exp., Ginevra 1911, 8ª ed. 1920; T. Jonckheere, La méth. scient. et la péd., Bruxelles 1934; O. Decroly e R. Buyse, Introd. à la péd. quantitative, ivi 1929; R. Buyse, l'exp. en péd., ivi 1935; E. Orleans, Measurement in education, New York 1937; E. Planchard, L'investigation pédagogique, Tamines 1945; R. Dottrens, Qu'est ce que la péd. exp., Neuchâtel 1944; T. Jonckheere, La péd. exp. au jardin d'enfants, Bruxelles 1937; J. M. Bradley e H. St. Moredock, Measurement a. evaluation in education, New York 1957; R. Levasseur, La statistique appliquée à la péd., Montreal 1957; La sperimentazione in pedagogia (Atti del 3° Convegno di Scholé), Brescia 1957; L'organizzazione della sperimentazione in ped., in Atti del II Congr. intern. dell'insegnamento universitario di scienze pedagogiche, Firenze 1958; G. Calò, La sperimentazione in pedagogia, in Problemi attuali di pedagogia e di scuola, Bologna 1958.