PAUSANIA
Autore di una periegesi (vedi) della Grecia (Περιήγησις τῆς ‛Ελλάδος) in dieci libri. P. attesta di avere, per lo meno, abitato la regione del Sipilo (Magnesia) ed era certamente asiano; sarà probabilmente identico con un P. autore di "fondazioni" (Κτίσεις) di città siriache, dal quale infatti Stefano di Bisanzio, che cita largamente anche la Periegesi, non lo distingue; anche Polemone scrisse periegesi e fondazioni. E i due P. saranno alla loro volta una sola persona con un P. Damasceno citato da Costantino Porfirogenito e con un sofista che fu anche a Roma, noto a Galeno. L'opera è scritta sotto gli Antonini e pubblicata, parrebbe, progressivamente; il primo libro verso il 160; i successivi fino al quarto prima del 174; il quinto, sesto e settimo verso il 174; gli ultimi dopo il 177. Il titolo non corrisponde del tutto all'estensione dell'opera, giacché in questa sono tralasciate regioni della Grecia anche ricche di ricordi e monumenti come l'Eubea. Ma proprio quanto all'Eubea si può far valere che essa è un'isola e che Pausania non tratta se non della Grecia continentale; e altre regioni, come, p. es., la Tessalia, suscitavano interesse molto minore. L'opera sarà dunque completa, la mancanza d'un proemio e d'una chiusa sarà intenzionale, richiesta dall'ideale artistico di P. (su cui v. appresso). Un'unica delle moltissime citazioni in Stefano di Bisanzio si riferisce al libro XI e non è identificabile: può anche essere erronea.
Il primo libro tratta dell'Attica; il secondo s'intitola Κορινϑιακά (Corinthiaca) ma comprende, oltre Corinto, l'Argolide; il terzo la Laconia; il quarto la Messenia; il quinto e il sesto l'Elide (specialmente Olimpia); il settimo l'Acaia; l'ottavo l'Arcadia; il nono la Beozia; il decimo la Focide (particolarmente Delfi). La descrizione delle città e dei santuarî greci è allineata lungo due itinerarî che partono da Atene e portano l'uno verso il Peloponneso, l'altro nella Grecia centrale e che sono a un dipresso quelli seguiti dai turisti odierni.
L'opera di P. fu per molto tempo ritenuta un manuale di viaggio composto su fondamento esclusivo di osservazioni e ricordi personali da un antiquario in servigio degli antichi turisti: "un antico Baedeker". Questa concezione è ingenua e inadeguata. Caratteristica dell'opera di P. è la propensione a lunghissimi excursus mitografici, storici, biografici, ma anche etnografici e paradossografici; è difficile immaginare che un antico viaggiatore trovasse tempo di scorrere, poniamo seduto sui gradini di un tempio, una lunga trattazione intorno a pesci singolari e meravigliosi (IV, 34), o su specie bianche di animali che sogliono essere di altri colori (VIII, 17), o magari sull'immortalità dell'anima (IV, 32); e non possiamo neppur credere che tali digressioni fossero grate a chi a casa si preparava a un viaggio in Grecia. Si aggiunge che P. non fa menzione di monumenti che al suo tempo dovevano esistere, e passa specialmente sotto silenzio quelli posteriori al 150 d. C.; si aggiunga che molto spesso al filo topografico (la cui esistenza nessuno pensa di mettere in dubbio) se ne intreccia uno sistematico; si aggiunga che, contrariamente a quello che fa ogni guida, spesso nella descrizione delle città non è messo in rilievo il passaggio da un itinerario all'altro. Si aggiunga che lo stile, di semplicità artificiata e leziosa, è tutt'altro che adatto a un manuale.
Nell'ultimo quarto del sec. XIX la filologia, specialmente tedesca, scatenò un assalto contro la credibilità di P.; anzi persino contro la sua buona fede. Troppo spesso, si notò, egli è in contrasto con dati archeologici sicuri ricavati dallo scavo. È evidente che troppo spesso egli ha fatto uso di fonti scritte, anche non recenti, senza aggiornarle. Troppo spesso egli ha asserito di avere visto con gli occhi proprî meraviglie che al mondo non ci sono mai state. Questi assalti andavano oltre il segno. P. fa intendere egli stesso di non voler essere "completo"; e che abbia poi scritto una guida, non è asserito da lui, bensì dagli studiosi di cinquant'anni fa, che si fondavano su analogie che non provano nulla. P. s'intende e si giustifica se si mette in relazione con i suoi predecessori, con i periegeti ellenistici, che miravano a offrire al lettore dotto o curioso, sotto forma d'itinerario, erudizione antiquaria. P. rinnova, o meglio continua la periegesi ellenistica degli antiquarî. Soltanto egli, atticista (come atticista era tutto il suo tempo) e con ogni probabilità non antiquario né letterato, riveste questa periegesi dei colori cari al suo tempo. Gli antichi periegeti scrivevano in stile ipomnematico, scientifico; P. scrive prosa d'arte. La sua semplicità è affettata; la caratteristica più evidente del suo stile è la variatio cercata e ottenuta a ogni costo. È naturale ch'egli, letterato e non antiquario, abbia lavorato su fonti scritte e abbia qualche volta fatto confusione; il che non esclude in alcun modo la sua buona fede. Formule di autopsia adoperate per oggetti che P. non poté vedere perché non esisterono mai, non provano nulla contro essa, perché appartengono allo stile, alla tradizione della ἱστορίη ionica, a cui P. in parte risale attraverso i periegeti ellenistici, ma a cui in parte si rifà egli stesso, studiando direttamente Erodoto. Erodoto era allora tornato di moda; e proprio in quegli anni Arriano scriveva un'operetta storica in dialetto erodoteo. L'interesse stesso per i prodigi deriva dalla ἱστορίη ionica; ma non si deve tacere che il maggior predecessore di P., Polemone, fu anche paradossografo.
Ma P. ha anche più alte aspirazioni o diciamo pure vanità (la vanità è contrassegno dei Greci dell'età antoniniana, e in special modo dei "sofisti", dei professori): P. vuole aumentare la cultura generale, la cultura storica del lettore, e vuole che questo gliene sia grato. Egli vuole dare in forma di periegesi una specie di enciclopedia supplementare, complemento a quella che il lettore di media cultura trovava nei libri scolastici e classici. E a questo fine egli abusa della forma dell'excursus, che era del resto nella tradizione sia di Erodoto sia dei periegeti, che anzi è inerente alla periegetica, la quale consiste di λόγοι, racconti, ricordi, suscitati dalla vista di oggetti, ϑεωρήματα. Conforme al suo principio di variatio, P. distribuisce spesso una materia unica in parecchi excursus lontani l'uno dall'altro allineandoli tra loro; mette insieme, per es., un manuale della parte di storia greca non trattata dagli storici maggiori. Egli, come è stato spesso notato, suppone nelle mani dei suoi lettori Erodoto e Tucidide, e non ripete quello che essi hanno già narrato, ma si contenta di allusioni discrete, comprensibili solo a un lettore erudito. Ma egli poi presuppone noto anche uno storico di Filippo e di Alessandro, forse Anassimene.
P., nonostante la sua inferiorità mentale evidente, è preziosissimo per gli studî di antichità classica. Egli è, come si è accennato, fonte storiografica importantissima, poiché ci conserva notizie di territorî e periodi non trattati dagli storici maggiori. Così per la Messenia egli trascrive un libro dell'impero che risale a sua volta all'opera di Riano. E nel principio del libro VII, trattando non solo gli spostamenti dei popoli nel continente greco, ma anche le origines ionicae, le origines asiaticae, ci dà modo di ricostruire attraverso il confronto con Strabone la tradizione dei dotti ellenistici sulla storia mitica della nazione greca. E ogni storico del periodo ellenistico (per es., di Cirene ellenistica) sa quanto spesso una notiziola preziosa sia conservata solo da Pausania. P. è stato spesso di guida a scavatori, se pure il risultato degli scavi lo ha convinto poi di errore e di inesattezza; ha servito a innumerevoli identificazioni di opere d'arte, benché egli, come sempre la periegetica, non abbia occhio per l'arte. La moderna disciplina della storia della religione greca non si sarebbe potuta scrivere senza P.: egli, uomo pieno di scrupoli religiosi ridicoli, e che tiene a metterli in vista (è anche questa posa letteraria, erodotea?), ci ha spesso conservato l'unica notizia di dei e culti di cui non sapremmo altrimenti nulla, perché furono respinti nell'ombra dal prevalere della religione panellenica, quale si rispecchia già nei poemi omerici.
Edizioni: Edizione critica di Fr. Spiro, Lipsia, 1903; e ottimo commentario specialmente numismatico di H. Hitzig e H. Blümner, voll. 3, Berlino 1896-1910. Traduzione inglese con commento ricchissimo del grande etnografo e folklorista J. G. Frazer, in sei volumi, Cambridge 1898 (anche ristampata). Edizione speciale della Arx Athenarum a Pausania descripta, di O. Jahn e A. Michaelis, 3ª ed., Bonn 1901.
Bibl.: Il primo assalto contro la credibilità di P. è di U. von Wilamowitz in Hermes, XII (1877), p. 346; qui la bona fides soggettiva non è in alcun modo messa in dubbio; poi P. Hirt, De fontibus Pausaniae in Eliacis, diss., Greifswald 1878; A. Kalkmann, Pausanias der Perieget, Berlino 1886, opera fondamentale ma un po' esagerata nella tendenza. La confutazione di W. Gurlitt, Pausanias, Graz 1890, è ingenua; migliore R. Heberdey, Reisen des Pausanias in Griechenland, in Abhandl. d. arch.-epigr. Seminars der Univ. Wien, X, 1894, che ammette, accanto all'autopsia, fonti scritte.
Il punto di vista giusto è stato trovato da C. Robert, Pausanias als Schriftsteller, Berlino 1909 (La confutazione di E. Petersen, in Rhein. Mus., LXIV, 1909, p. 481, è errata). Le connessioni con l'antiquaria sono state stabilite e apprezzamenti delle intenzioni di P. tentati da G. Pasquali, in Hermes, XLVIII (1913), p. 161.