Procedimento per la conservazione di alimenti liquidi o semiliquidi di varia natura, consistente nel portare rapidamente le sostanze da trattare a temperature comprese fra circa 60 °C (p. bassa) e circa 80 °C (p. alta), per tempi di durata variabile fra circa 30 minuti e 15 secondi (tanto più brevi quanto più alta è la temperatura): con questa tecnica si mira a distruggere tutti i microrganismi patogeni presenti nell’alimento e una parte di quella microflora saprofitica che può causare alterazioni di varia natura. I prodotti pastorizzati, se isolati dall’ambiente esterno così da evitare un nuovo inquinamento, hanno una durata di conservazione molto maggiore di quella dei corrispondenti prodotti non trattati.
La p. trae il nome da quello di L. Pasteur e la sua origine da una serie di ricerche che Pasteur condusse sulle cause che minacciavano di portare alla rovina le grandi industrie francesi della birra e del vino a causa dell’acidificazione e dell’alterazione. Nel 1864, di fronte all’Accademia francese delle scienze, Pasteur affermò che la causa della ‘malattia’ del vino e della birra era la vegetazione microscopica, capace di moltiplicarsi, in condizioni favorevoli, fino ad alterare il prodotto; l’acidificazione poteva essere evitata bollendo il vino e imbottigliandolo poi in contenitori a chiusura ermetica: in questo modo si distruggeva prima la microflora presente nel prodotto, e s’impediva poi ai microrganismi dell’ambiente di venire a contatto con la bevanda risanata. Già nel 1795 un altro francese, N. Appert, era riuscito a conservare vari tipi di alimenti chiudendoli in contenitori ermetici di vetro e riscaldandoli poi per immersione in acqua bollente. Pasteur fu però il primo a provare la relazione fra le alterazioni dei cibi a contatto con l’ambiente esterno e la presenza di microrganismi, confermando che il calore poteva essere usato per distruggere questi microrganismi, e dando insomma una spiegazione scientifica alle osservazioni empiriche di Appert e di altri.
I trattamenti con il calore si sono rivelati utilissimi per eliminare i microrganismi, generalmente mesofili, che minacciano la salute dell’uomo: una delle prime applicazioni in questo campo risale alla fine del 19° sec., quando si incominciò a pastorizzare il latte per eliminare l’agente della tubercolosi umana. Negli anni seguenti sono poi stati sviluppati altri trattamenti termici di questo tipo, miranti a prevenire malattie derivanti da cibo contaminato da altri microrganismi patogeni.
La p. è considerata il metodo di elezione per trattare un alimento nei seguenti casi: quando un trattamento più rigoroso può danneggiare la qualità del prodotto; quando l’obiettivo principale è distruggere certi microrganismi patogeni; quando i microrganismi responsabili delle alterazioni non sono molto resistenti al calore; quando i microrganismi che sopravvivono possono essere tenuti sotto controllo con altri mezzi (refrigerazione, essiccamento, additivi chimici); quando si desidera ridurre la carica microbica tanto da permettere a un certo microrganismo di portare avanti la fermentazione voluta (per es., nella fabbricazione dei formaggi).
In tempi più recenti, per la p. di alcuni alimenti si è diffusa la tecnica della radiopastorizzazione, che prevede l’uso di radiazioni ionizzanti, dimostratasi capace di diminuire la carica batterica totale senza provocare variazioni sensibili sul prodotto. Interessante è anche l’impiego delle microonde che presentano il vantaggio, rispetto alle tecniche tradizionali, di tempi ridotti e di risparmio energetico.
P. della birra. - Viene praticata nel terzo stadio della produzione della birra, vale a dire dopo l’ammostamento del malto e la fermentazione. Il trattamento si rende necessario per stabilizzare e conservare il prodotto; infatti in esso sono presenti ancora cellule di lievito in grado di moltiplicarsi molto velocemente e inoltre il modesto tenore alcolico non è in grado di bloccare lo sviluppo di microrganismi indesiderati. La birra filtrata viene imbottigliata sotto pressione e tappata automaticamente con tappi a corona sterilizzati. Le bottiglie sono poi avviate ai pastorizzatori, nei quali ha luogo la p. con acqua calda a pioggia. Il trattamento dura 45-50 minuti, con una puntata a 60 °C per 12-15 minuti, e le bottiglie sono poi raffreddate a 20-25 °C. Perché la p. abbia successo, occorre che la temperatura dell’acqua aumenti e diminuisca gradatamente (gli sbalzi di temperatura possono causare la rottura delle bottiglie), che la temperatura massima sia scrupolosamente mantenuta, che i tappi e le bottiglie (molto robuste, per contenere l’aumento della pressione interna) siano a perfetta tenuta. Una p. ben eseguita prolunga la conservazione della birra, che normalmente a temperatura ambiente non supererebbe i 20 giorni, sino a 3 mesi e più.
P. del latte e degli omogeneizzati. - La p. del latte è eseguita generalmente ad alta temperatura su strati molto sottili in appositi scambiatori di calore a piastre secondo una tecnica proposta da E. Stassano (stassanizzazione).
Sia sugli omogeneizzati di frutta e verdura sia su quelli di carne viene praticata, prima dell’inscatolamento, una p. rapida o p. lampo (a 120-140 °C e per tempi variabili da frazioni di secondo a qualche secondo), che raggiunge lo scopo di abbassare notevolmente la popolazione microbica, senza danneggiare apprezzabilmente i componenti termolabili dei prodotti. Le caratteristiche di questo processo, che garantisce una buona stabilità dell’omogeneizzato per tempi sufficientemente lunghi, sono però tali da farlo classificare più come sterilizzazione-lampo che non come vera e propria pastorizzazione.
Per la p. del latte esistono due tipi di pastorizzatori: per la p. con il latte tenuto a temperatura non molto alta (63 °C ca.) per un tempo relativamente lungo (20-30 minuti), o a temperatura più alta (intorno a 75 °C) per qualche decina di secondi. Il primo tipo è poco usato, perché non consente elevate produzioni orarie; è formato da scambiatori di calore cilindrici o conici (tini) sia ad asse orizzontale sia ad asse verticale a doppia parete, formante intercapedine nella quale circola il vapore di riscaldamento; il latte, riscaldato in questi scambiatori, viene poi fatto sostare per il tempo necessario in vasche tenute a temperatura costante. I tipi usati a funzionamento rapido sono costituiti essenzialmente da uno scambiatore di calore a piastre, che permette il riscaldamento di un velo sottile di latte (di qualche mm di spessore) a mezzo di circolazione di un fluido caldo, da un tubo sostatore continuo di lunghezza tale da consentire al latte di rimanere alla temperatura di pastorizzazione per il tempo necessario, da serbatoi termostatici di stoccaggio, da pompe per la circolazione del latte e per la circolazione del fluido nel refrigeratore, nel quale il latte acquista la temperatura finale per la conservazione (3-5 °C).
Anche per il vino e altre bevande alimentari si adoperano pastorizzatori a piastra simili a quelli usati per il latte; la p. si effettua spesso, peraltro, nel prodotto già imbottigliato (come per la birra) e in questo caso sono usati pastorizzatori continui, costituiti da una camera chiusa entro la quale le bottiglie sono fatte avanzare a mezzo di trasportatori e riscaldate gradualmente con acqua che piove dall’alto.