PASSERIN D'ENTREVES E COURMAYEUR, Ettore Onorio
PASSERIN D’ENTRÈVES E COURMAYEUR, Ettore Onorio. – Nacque a Torino il 26 dicembre 1914 dal conte Carlo Piero e dalla nobildonna Paola Ferrero di Palazzo e d’Orma.
Discendente da antica e titolata famiglia valdostana, dovette derivarne il forte senso di un obbligo – «Chi sta in piedi su di un grande passato, chi ha qualcosa, ha più doveri di chi nasce senza nulla» (Come nascono le libertà democratiche, Torino 1956, p. 8) –, assieme a un legame profondo con quella specifica dimensione locale, alpina, di frontiera.
Passerin frequentò a Torino il liceo Alfieri, dove ebbe fra i suoi insegnanti Walter Maturi, e fra i compagni Franco Venturi. In base a una Notizia sulla operosità scientifica compilata nel 1941, nel luglio 1932 sostenne l’esame di maturità, premiato come migliore allievo del suo istituto. Studente nella facoltà giuridica dell’Università di Torino, si legò soprattutto a Gioele Solari, che vi insegnava filosofia del diritto.
Solari ebbe una funzione decisiva nel fargli «sentire con maggior precisione e determinatezza quali fossero i suoi interessi culturali. Presentò all’esame del Prof. Solari un breve lavoro sul concetto di Provvidenza nella filosofia di G. B. Vico, lavoro che rispondeva alla sua viva simpatia per i problemi di metodologia storica» (Notizia, cit., in Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, Archivio della Scuola storica, Carte alunnato, f. E. Passerin d’Entrèves). Fra gli altri docenti citati in questa nota, lo zio Alessandro Passerin d’Entrèves e Francesco Ruffini: «La lettura degli studi cavouriani dello stesso Ruffini lo indusse ad analizzare le origini del movimento costituzionale in Piemonte [...] ed a studiare la corrente cattolico-liberale» (ibid.).
La tesi di laurea, premiata, fu discussa il 16 novembre 1936. Diretta da Solari, Alessandro Passerin e Francesco Lemmi, era dedicata all’esame di alcuni scritti giovanili di Cesare Balbo; il volume pubblicato nel 1940, La giovinezza di Cesare Balbo, fu ben più di una rielaborazione del lavoro di tesi. Iscritto dal 24 marzo 1936 al fascio di combattimento di Castiglion Dora, Passerin prestò servizio militare dopo la laurea. Riprese le sue ricerche, allargandole in direzione politico-giuridica – nel marzo 1939 fu nominato assistente volontario presso l’Istituto giuridico dell’Ateneo torinese –, e avviando sondaggi sulla politica di Vittorio Amedeo II. Il 31 agosto 1939 sposò la marchesa Vittoria Torrigiani Malaspina, conosciuta nei suoi soggiorni fiorentini; nel 1940 fu richiamato alle armi e impegnato sul fronte occidentale. Congedato, si presentò nell’estate 1941 all’esame di abilitazione per l’insegnamento medio, e al concorso per la Scuola di storia moderna e contemporanea a Roma.
L’esito favorevole di entrambe le prove determinò una situazione particolare: vincitore per l’alunnato romano nella categoria dei liberi studiosi, Passerin non poté esservi comandato come insegnante, nominato nel frattempo nel liceo di Aosta. A Gioacchino Volpe avrebbe allora indirizzato delle lettere programmatiche sul prospettato studio della «politica romantica»; e Volpe si sarebbe adoperato per favorire gli studi di Passerin, legato alla Scuola, anche se lontano da Roma, dal febbraio 1942 al settembre 1943.
L’adesione alla Resistenza e la fuga in Svizzera, in drammatiche circostanze familiari, nel novembre 1944, segnarono un passaggio di rilievo nella vicenda di Passerin, come è stato ben documentato da Francesco Traniello: «quella fase, quell’epoca e quell’esperienza costituì uno snodo cruciale […] nel senso almeno della compiuta definizione della sua personalità umana, culturale e religiosa» (Careggio-Traniello, 1991, p. 17). Eloquente un appunto nel diario di quei mesi: «errore di attender la salvezza dalla politica […] pongo questa differenza fra me e Franco Venturi. Chi crede così non spera che in una civitas terrena. È il laicismo. Altro punto fondamentale di distacco tra me e Franco: per lui l’uomo esiste soltanto nell’opera sua. Per me questo è ateismo: Dio è presenza dell’essere nella coscienza-persona» (ibid., p. 19). In Svizzera Passerin fu internato, con seri problemi di salute. Collaborò al supplemento del Dovere di Bellinzona, Cultura e Azione, diretto da Gianfranco Contini e pubblicato dal febbraio al giugno 1945.
Molteplici le tracce di un confronto significativo con Contini, legato anche a comuni riferimenti, da Esprit ed Emmanuel Mounier a Nikolaj Berdjaev, e anche a tensioni politiche connesse alle diverse prospettive istituzionali. La questione repubblicana, tuttavia, «non intaccava questi saldi orientamenti di base della Resistenza»; orientamenti individuati, da un lato, nella registrazione del carattere di massa del movimento resistenziale, «rivoluzione antitotalitaria – tale è il nome ch’essa meriterebbe, a parer mio, anche se molti germi di totalitarismo fermentavano ancora su varie sponde» (Un recente saggio sui problemi di storia della Resistenza, in Il Movimento di liberazione in Italia, XVII (1965), pp. 92-100, p. 4 dell’estratto), dall’altro, in quel patrimonio di esperienza etica ormai depositato in molte testimonianze: «Sarebbe senza dubbio pericoloso scivolare in un’interpretazione epico-romantica della Resistenza [...]: la grande letteratura della Resistenza, che ha ormai i suoi classici nelle amare cronache di Primo Levi e di altri ‘tormentati’ o ‘concentrati’ ci sta insegnando che la Resistenza è da vedere anche in un’altra dimensione, valorizzando i frutti dell’immenso sacrificio, dell’immensa sofferenza collettiva, che ha segnato della sua impronta un’intera generazione, e ha generato [...] una sensibilità più viva, una coscienza più sofferta dei valori umani fondamentali» (ibid., p. 10).
Nell’ottobre 1944 Passerin aveva firmato, insieme a Federico Chabod, un Pronunciamento degli esponenti valdostani contrari all’annessionismo, contro ogni progetto ‘francese’; era stato lo stesso Chabod, già in precedenza, a ricercare l’appoggio dell’influente famiglia Passerin, specie di Alessandro, che in quegli eventi ebbe parte rilevante. Ettore collaborò con lo zio e con Chabod anche nell’immediato dopoguerra, assumendo fra l’altro la direzione, fra il maggio e il dicembre del 1945, del settimanale La voix des Valdôtains.
Furono, quelli, anche gli anni della partecipazione al movimento della Sinistra cristiana, animato da Felice Balbo; ma Passerin, che in sede pedagogico-divulgativa avrebbe difeso, pur se fra riserve e critiche, la funzione dei partiti – «chi sottolinea queste ed altre deficienze della cosiddetta ‘partitocrazia’ (dove il termine già contiene una critica) dimentica per lo meno questo, che soltanto attraverso i partiti è dato superare il particolarismo cronico, direi istintivo, degli interessi individuali, sezionali e locali» (Come nascono le libertà democratiche, cit., 1956, p. 50) – non fu mai realmente inquadrato in una dimensione partitica nel secondo dopoguerra. Testimonianza eloquente di questa fase una presa di distanza da Luigi Russo, che limitò di fatto a un importante contributo sismondiano del 1949 la collaborazione di Passerin a Belfagor. Passerin dichiarava di parlare da cattolico senza aggettivi, proprio per evitare di dar peso alle «preoccupazioni pseudo-politiche» che «uccidono la ‘vera politica’ nell’atto stesso in cui nasce: nella libera coscienza [...]. Più ancora, si perdono di vista i valori meta-politici, senza i quali è impossibile fondare, in interiore homine, la stessa esigenza politica, come radice di libertà e di giustizia collettiva». E a fronte della vera religione di Russo, Passerin confutava il puro umanesimo inteso come «laicismo radicale» (Discussioni di un cattolico e di un comunista intorno al «De vera religione», lettere di E. Passerin d’Entrèves e di Francesco Jovine, dicembre 1948, in Belfagor, IV (1949), 2, p. 217), affermando di non credere «alla funzione ‘illuminante’ degli organismi politici, siano essi statali, di classe o di partito» (ibid., p. 218).
La biografia di Passerin fu scandita, dal 1948 in avanti, dai passaggi di una prestigiosa carriera universitaria. Docente a Firenze, al liceo Michelangelo, dal 1946 e dal 1948 libero docente, e incaricato all’Università di Pisa di storia del Risorgimento, Passerin ottenne la cattedra pisana nel 1956. Dal 1958 era in contatto con padre Agostino Gemelli; nella primavera del 1961, nelle stesse settimane del duro scontro avvenuto nella facoltà di lettere dell’Università di Torino, dove Giorgio Falco e Venturi bloccarono la candidatura di Passerin, dopo la scomparsa di Maturi, favorendo la chiamata di Aldo Garosci, fu deciso il passaggio di Passerin in Cattolica, presso la facoltà di scienze politiche. A Milano insegnò fino al 1965, ampliando l’arco tematico dei suoi corsi, ora volti anche alla storia dell’Italia primonovecentesca; in quell’anno Passerin approdò alla facoltà giuridica dell’Ateneo torinese, contribuendo poi, nel 1969, alla fondazione della facoltà di scienze politiche.
La sua dimensione pubblica non è comunque tutta riconducibile alla sfera accademica, come mostra il lavoro attorno ai Quaderni di storia e cultura sociale accanto a Gianfranco Merli – e quindi agli ambienti legati a Giovanni Gronchi –, apparsi fra il 1952 e il 1954, con Passerin allora residente nella Firenze di Giorgio La Pira, negli anni finali del pontificato di Pio XII; oppure, ancora, la sfortunata, più tarda candidatura politica al Senato nel 1972 con il sostegno di DC, PSI e PCI nel collegio uninominale della Valle d’Aosta. Una collaborazione piuttosto intensa a riviste diversamente orientate caratterizzò il suo impegno intellettuale fin dal dopoguerra; Passerin fu anche legato al gruppo del Mulino, e, dal 1967, condirettore della Rivista di storia e letteratura religiosa.
Non è agevole condensare in formule l’esperienza storiografica di Passerin, punto di intersezione fra complesse sollecitazioni metodologiche e spirituali, e scelte tematiche che tutto sommato rinviano più alla tradizione della storiografia liberale italiana che ai terreni allora percorsi dagli storici cattolici – cattolico e studioso di storia, più che storico cattolico, Passerin. Fulvio De Giorgi (2011) ha parlato di «spola ermeneutica» (p. 260) per dar conto dei procedimenti di confronto e di dialogo metodologico messi in atto da Passerin nella definizione dei contorni di uno storicismo cristiano distante da ogni immanentismo e da ogni concessione alla filosofia della storia, e segnato, come Passerin scriveva a proposito di Alessandro Manzoni, dalla rivendicazione della libera responsabilità nell’agire storico – e di questo sfondo occorre tener conto nel valutare l’attenzione prestata da Passerin alla sfera individuale, anche se non in chiave strettamente biografica, quanto piuttosto collocata all’interno di reti e gruppi, in un contesto di circolazione e interazione di pensieri, letture e opere; attenzione che si traduceva anche in una inclinazione verso fonti come quelle epistolari. Ma l’immagine della «spola» può funzionare anche per illustrare una tendenza ben visibile nella storiografia di Passerin, quella a individuare nei suoi vari campi di ricerca alcuni interlocutori rispetto ai quali misurare criticamente, e prendendone a volte nettamente le distanze, le proprie tesi e i propri indirizzi di studio. Così, per le indagini sul giansenismo, Ettore Rota e Arturo Carlo Jemolo; per la cultura della Restaurazione Adolfo Omodeo; per la discussione sul cattolicesimo liberale, rivendicato nella sua consistenza culturale e politica da Passerin, ancora Jemolo, e per quella, fondamentale, sulle matrici e sulle implicazioni della visione cavouriana dei rapporti fra Stato e Chiesa Ruffini; o, ancora, sulla politica di Cavour di fronte a Garibaldi l’opposizione alla ricostruzione proposta da Denis Mack Smith – L’ultima battaglia politica di Cavour (Torino 1956) resta uno studio ben vivo, anche sul piano analitico, risentendo semmai del fatto di essere stato composto prima dei saggi sul 1859-1860 apparsi attorno al centenario dell’unificazione. Mai chiusa in una ristretta prospettiva nazionale, l’inchiesta ottocentesca di Passerin guardava alle correnti intellettuali e spirituali europee, e ad alcune particolari figure di mediatori fra culture ed età, come Jean-Claude-Léonard Simonde de Sismondi e Alexandre Vinet, sfumando la portata di cesure e contrapposizioni manualistiche nel passaggio fra XVIII e XIX secolo; allo snodo fra politica e religione va ricondotto anche il più tardo manifestarsi di un interesse mazziniano – di «religione progressiva» avrebbe parlato in un gran saggio sulle Ideologie del Risorgimento del 1969 (in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Cecchi - N. Sapegno, L’Ottocento, Milano 19882, pp. 215-443, citazione a p. 320). Passerin, poi, non si sarebbe sottratto alla discussione attorno a quello che già nel 1951 definiva il «processo al Risorgimento», e, quindi, al confronto con Antonio Gramsci, in una prospettiva di realismo non materialistico. È stato osservato, non senza ragione, che «Passerin ha avuto un suo modo tutto particolare d’intendere le sintesi; si potrebbe dire perfino che le amasse poco» (Raponi, 1993, p. XVIII); e se certamente la finezza ermeneutica di molte analisi particolari contraddistingue la sua storiografia, ne andrà comunque sottolineato il coerente addensarsi attorno a nuclei tematici e a un questionario ben determinati. Non mancano poi ampi profili, sia in ambito universitario – fra le molte dispense si ricordino quelle del 1972 sulla tesi Weber –, sia nella collaborazione a imprese collettive, come la Storia d’Italia e la Storia delle idee politiche, economiche e sociali della UTET, e altri interventi di carattere generale, legati alla formula delle conversazioni radiofoniche. Passerin pubblicò nel 1966, con Gianni Sofri, un manuale di storia contemporanea, nel quale alcuni presupposti di fondo della sua visione storica emergevano con nettezza, nella denuncia dell’attenuarsi della «fede morale, oltre che della fede religiosa» e «dello stesso civismo, del senso cioè di solidarietà che ci deve legare alla comunità politica democratica, per assumerne coraggiosamente gli oneri e le responsabilità [...]. Anche oggi, come sempre, la pace e il progresso dell’umanità non conoscono maggiori pericoli che il sonno della coscienza e il silenzio della ragione» (Gli ultimi quarant’anni. Profilo storico ad uso delle scuole, Bologna 19712, p. 140).
Un grave lutto familiare, la scomparsa del figlio Andrea, segnò gli ultimi anni di vita di Passerin, morto ad Aosta il 2 marzo 1990.
Fonti e Bibl: L’archivio personale di Passerin è conservato presso la famiglia, nel castello di Châtillon, e comprende le lettere ricevute e minute di risposte; da allargare a vari fondi la ricerca delle lettere di Passerin, presenti, a titolo di esempio, nell’Archivio Gianfranco Contini, conservato alla Fondazione Ezio Franceschini di Firenze, presso la Fondazione Ernesto Ragionieri, nei fondi Garin, Cantimori e Sestan della Biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa. Molto interessante è il carteggio con Pietro Scoppola, analizzato da Fulvio De Giorgi, Fede e libertà moderna. Il legame con E. P. d’E., relazione presentata al Convegno Democrazia e cultura religiosa. Ricordando Pietro Scoppola, Roma, 13-14 dicembre 2012, in corso di stampa negli atti presso il Mulino. Si veda anche il fascicolo personale conservato fra le Carte alunnato dell’Archivio della Scuola storica presso l’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea di Roma. Una bibliografia, curata da B. Gariglio, è in Dai Quaccheri a Gandhi. Studi di storia religiosa in onore di E. P. d’E., a cura di F. Traniello, Bologna 1988, pp. 21-40; da integrare, specie per la prima fase dell’opera, e che non comprende le due successive fondamentali raccolte postume di scritti di Passerin, La formazione dello Stato unitario, a cura di N. Raponi, Roma 1993, e Religione e politica nell’Ottocento europeo, a cura di F. Traniello, Roma 1993, né il volume La Toscana civile. Lotte politiche e correnti culturali tra Sette e Ottocento, a cura di G. Adami - L. Coppini, Pisa 1994. Cfr. poi W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento, Torino 1962, pp. 600-608; U.M. Miozzi, La scuola storica romana (1926-1943), II, Maestri ed allievi 1937-1943, Roma 1984, pp. 167-178; F. Traniello - F. Bolgiani - G. Rutto, La storiografia militante di E. P. d’E., in Dai Quaccheri a Gandhi, cit., pp. 7-20; N. Raponi, E. P. d’E., in Rassegna storica del Risorgimento, LXXVII (1990), 3, pp. 387-394; A.M. Careggio - F. Traniello, Hector P. d’E., in Bulletin de l’Académie Saint-Anselme d’Aoste, n.s., III (1991), pp. 7-14, 15-28; D. Veneruso, E. P. d’E. (1914-1990) storico della cultura e della società degli ultimi due secoli, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XLV (1991), pp. 408-436; N. Raponi, Ragioni di un ricordo. Gli anni e l’insegnamento milanese di E. P. d’E., in Ottocento romantico e civile. Studi in memoria di E. P. d’E., a cura di N. Raponi, Milano 1993, pp. VII-XLI; F. Traniello - G. Pécout - G. Talamo - N. Raponi, E. P. d’E. nella storiografia italiana ed europea, Torino 1995; F. De Giorgi, E. P. d’E. e la ricerca di uno storicismo personalista, in Storici e religione nel Novecento italiano, a cura di D. Menozzi - M. Montacutelli, Brescia 2011, pp. 247-262; F. Traniello - G. Pécout - P. Macry - F. De Giorgi, L’ultima battaglia politica di Cavour di E. P. d’E., in Contemporanea, XIV (2011), 4, pp. 745-772; M. Rosa, Giansenisti e cattolici illuminati: gli studi di E. P. d’E. sul Settecento delle riforme, in corso di stampa in Rivista di storia e letteratura religiosa, L (2014), 3.