Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La cultura romantica nasce a partire da un confronto con gli antichi, riprendendo i temi di una celebre discussione avvenuta nel Seicento in Francia, che lascia notevoli eredità in Germania. L’interesse per la civiltà antica non ostacola ma incoraggia la nascita della cultura classico-romantica, in quanto dal confronto emerge gradualmente la consapevolezza dell’originalità del moderno e la centralità di una nuova concezione della storia, che valorizza sia la specificità delle epoche sia le peculiarità dell’individuo.
La Querelle des anciens et des modernes
La consapevolezza di essere “moderni”, cioè portatori di idee innovative, originali, di rottura e di avanguardia nasce nella generazione che vive immediatamente dopo la Rivoluzione francese come risultato del confronto con l’antico. La rottura radicale che gli eventi francesi rappresentano sul piano politico, culturale e storico sembra a prima vista eliminare ogni necessità di comparazione col passato per guardare a un futuro del tutto nuovo, fondatore di valori di libertà e uguaglianza che non avevano mai avuto cittadinanza nel mondo occidentale. Ma le cose non sono così semplici.
Proprio la stessa idea di “moderno” contiene una necessità di confronto: il termine modernus risale al V secolo dopo Cristo come derivato dal latino modo, che in quest’epoca non significa più semplicemente “solo”, “appena”, ma ha già assunto il significato di “adesso”, “ora”. Modernus rappresenta dunque il presente storico e si contrappone ad antiquus anche in base alla necessità, molto sentita in età carolingia, di contrapporre il presente cristiano all’antichità pagana. Ogni presente nega dunque tutti i precedenti presenti: l’uso del termine “moderno” in questo senso infatti non può che essere relativo. Questo si esprime in modo netto per la prima volta nella famosa Querelle des anciens et des modernes iniziata presso l’Académie française nel 1687, che lascia eredità profonde fin nella Germania di fine Settecento (come ha ben evidenziato Elio Franzini nel capitolo “Estetica: nascita e sviluppo della scienza del bello”, all’interno del volume sul Settecento filosofico a cui rimandiamo).
La polemica francese si sviluppa sul piano letterario allo scopo di decidere se gli scrittori moderni siano o meno superiori agli antichi. Il partito degli “antichi”, capeggiato da Nicolas Boileau afferma la superiorità degli scrittori classici sulla base della perfezione formale delle loro opere, che divengono modelli da imitare. Il partito dei “moderni”, rappresentato da Charles Perrault asserisce che gli antichi non sono insuperabili: sulla base dell’idea della verità come figlia del tempo, e soprattutto tenendo conto dei risultati della ricerca scientifica, i moderni sono da considerare come i veri “antichi”, cioè i più ricchi di esperienza, e dunque i più autorevoli.
Il risultato del dibattito è inatteso: si constata che paragonare antichi e moderni non è produttivo, dato che i loro tratti specifici appaiono, a un’attenta analisi, come incommensurabili. L’idea della differenza e irriducibilità di ogni epoca storica si afferma qui per la prima volta, attraversando e superando la cultura illuminista, e fornendo le basi alle posizioni postilluministiche, espresse anzitutto da Johann Gottfried Herder, e poi dalla generazione romantica. In Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità (1774) Herder sostiene esplicitamente la necessità di considerare le singole epoche secondo la loro logica specifica: la particolare posizione e anche la perfezione della cultura greca non viene negata, ma la si inserisce nel contesto delle altre civiltà antiche, come quella egizia o quella fenicia, di cui la Grecia appare debitrice, anche se capace di una sintesi superiore e originale. Le varie età del mondo vengono presentate in analogia con le età dell’uomo, entro una modernissima ottica di sviluppo nella distinzione.
Classici e romantici
È tuttavia ben noto che si manifesta, verso la fine del Settecento, in particolare in Germania, un rinnovato entusiasmo per il mondo greco, ispirato soprattutto dalle opere di Johann Joachim Winckelmann, che fa scoprire all’intera Europa il fascino dell’antichità greca e romana, favorendo la conoscenza dei resti di quelle civiltà che aveva potuto studiare direttamente nel suo lungo soggiorno italiano. Attraverso le sue opere, come i Pensieri sull’imitazione dell’arte greca (1755), la Storia dell’arte antica (1764) e Monumenti antichi inediti (1767), mette a disposizione materiali originali in gran parte sconosciuti e suscita un nuovo entusiasmo per l’arte antica. Paradossalmente, in un momento di grandi cambiamenti, si assiste a una nuova apertura del confronto con gli antichi, cui partecipano tutti i più importanti intellettuali tedeschi dell’epoca, tra cui Friedrich Schiller e Friedrich Schlegel, i quali nello stesso anno 1795 pubblicano due saggi sul tema, che riprendono i termini della discussione francese cambiandone tuttavia il lessico. Oltre al binomio antico/moderno, viene introdotta la coppia corrispondente classico/romantico. Per “classico” si intende ciò che ha valore al di là del tempo e che si pone come risultato di massima perfezione, in sé compiuto e inimitabile. “Romantico” viene inteso al contrario come qualcosa di dinamico e di innovatore, ma anche di indistinto e di cangiante, che, proprio perché in continua trasformazione, non può porsi come perfetto e anzi si manifesta essenzialmente come qualcosa di “mancante”: proprio perché inteso come divenire, esso non può che porsi come incompiuto, come non finito. I riferimenti storici risalgono all’Inghilterra di metà Seicento, dove “romantici” erano considerati i racconti fantastici, le leggende o le favole che si ispiravano agli antichi romanzi storici scritti nelle lingue neolatine, cioè nelle lingue “romanze”.
Friedrich Schlegel, il massimo teorico del romanticismo tedesco, sostiene nel saggio Sullo studio della poesia greca (1795) che la bellezza che essa esprime produce la sensazione della soddisfazione completa, in cui ogni inquietudine si placa trovando una forma definitiva e una dimensione universale. L’interessante, prodotto invece dalla poesia moderna, può indicare solo l’originalità, la particolarità, l’individualità e si presenta come compito mai concluso, che non può porsi dunque come universale. La poesia moderna, cioè quella romantica è dunque ricerca, mancanza, struggimento (Sehnsucht), e questo appare ancora come un limite, per un vero poeta che aspiri alla bellezza. Sarà negli scritti successivi di Schlegel che questo diventerà la base di una nuova estetica, tutta moderna, tutta romantica.
Friedrich Schiller, uno dei massimi esponenti del classicismo tedesco assieme a Johann Wolfgang Goethe, sostiene, nel saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795), che è possibile distinguere due stili poetici: da un lato la “poesia ingenua”, che esprime una partecipazione immediata al mondo della natura, e si pone dunque, come per gli antichi, come imitazione della realtà. D’altro lato la “poesia sentimentale”, che presuppone la distanza, il distacco dell’uomo dalla natura, avvenuto con il procedere della civiltà: in questo caso la nostalgia della natura e il desiderio di una riunificazione con essa, espressa con toni tragici anche da Friedrich Hölderlin, per esempio nel romanzo Iperione o l’eremita in Grecia (1797-1799) diviene cifra dominante. Nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo dello stesso 1795, Schiller aggiunge che presso i Greci l’individuo era anzitutto un cittadino, e nella polis rappresentava l’umanità in senso integrale. Nella modernità, a causa della divisione del lavoro, l’umanità può esprimersi solo in frammenti e non in modo unitario. Al tempo dei Greci non è tuttavia possibile tornare: Schiller propone come possibile soluzione l’educazione estetica, che realizza, con l’istinto del gioco, la possibilità di superamento dell’opposizione tra finito e infinito attraverso l’idea di bellezza come libero esercizio delle facoltà.
La consapevolezza dell’importanza del confronto con gli antichi è dunque fondante per tutti, classici e romantici. La conoscenza del passato diviene base dei valori del presente in un’epoca che vuole imprimere una svolta alla cultura e alla vita dell’uomo. La poesia romantica, teorizzata successivamente da Schlegel in vari saggi sulla rivista “Athenäum”, rinuncia consapevolmente alla compiutezza e all’armonia classica, e riveste positivamente i caratteri moderni del non finito, della mescolanza di generi, della struttura asimmetrica e anche caotica. Le opere romantiche sono costruite come un succedersi di racconti fantastici, di poesia, di lacerti autobiografici trasfigurati, di riflessioni e dialoghi filosofici. I toni non sono solo tragici o elegiaci, ma comprendono l’elemento dell’ironia o del Witz: la poesia e la filosofia romantica sono progressive, sono un divenire senza fine, non esprimono solo struggimento e nostalgia, ma anche un divertente gioco al massacro di ciò che si crede eterno e assoluto.
Verità tra antico e moderno
Il confronto con gli antichi è decisivo anche sul piano della conoscenza della verità. Per loro conoscere la verità significa rintracciare il logos, l’ordine incarnato nel cosmo: la sua razionalità è conoscibile oggettivamente, si tratta di adeguare la mente alle regole geometriche su cui esso è costruito. Da questa idea derivano anche le norme estetiche: basta imitare la natura, bella in quanto ordinata. Non così per i romantici: l’universo e il mondo dell’uomo è un costante e anche caotico divenire, in cui tutto si muove e si trasforma in modo infinito e inesauribile. Niente è romantico per natura, ma perché noi lo rendiamo tale, cioè lo romantizziamo. Dunque il filosofo o il poeta – due figure non più distinte – non hanno il compito di definire l’ordine oggettivo delle cose, ma di costruirlo liberamente, facendo definitivamente a meno dell’idea che esista una struttura oggettiva delle cose. L’ordine e il senso del mondo possono solo venir creati all’interno di un divenire inarrestabile che la poesia romantica ha il compito di esprimere.
Per questo modelli storici diversi possono essere egualmente interessanti. Schlegel nei primi anni dell’Ottocento frequenta sempre di più le lingue romanze e quelle orientali; il Medioevo diviene un oggetto di studio e un punto di riferimento costante delle sue ricerche.
Anche Novalis (Friedrich von Hardenberg) in La Cristianità, ossia l’Europa (1799) esprime fortemente l’attrazione per l’elemento misterioso e meraviglioso presente nel mondo medievale: l’umanità qui non è in frammenti ma unificata dall’armonia della religiosità cristiana. Ciò che l’asprezza del protestantesimo e la fede razionale illuminista spezzano si trova armoniosamente unito in questa immagine del Medioevo mitizzato, cui un riavvicinamento appare affascinante per una modernità fortemente conflittuale.
Individualità e storia
La storia non viene considerata come una sequenza ordinata di eventi che si accumulano in senso lineare e progressivo come nella filosofia della storia illuminista. A partire da Herder molti intellettuali la pensano come una successione qualitativa di epoche connesse tra loro in modo organico, corrispondente alle diverse fasi della vita dell’uomo. Tradizioni differenti si mescolano e si distinguono, in molti casi espresse attraverso la diversità delle lingue, che sono indici dell’identità e l’individualità dei singoli popoli. Herder ne parla nel Saggio sull’origine del linguaggio (1772) e Wilhelm von Humboldt se ne occupa nell’ampio trattato Sulla diversità delle lingue (1836), che inaugura la linguistica moderna.
Verso l’unità spirituale e culturale dei popoli
In generale, sia Herder che Humboldt osservano come la storia dell’uomo si possa leggere dal punto di vista del progressivo emergere dell’individualità. In linea con i romantici, la storia dell’uomo è considerata come lo svolgersi di un’energia o spinta vitale che induce all’azione; dunque è possibile osservare come dalla compattezza della polis antica si passi a una progressiva differenziazione che mette in primo piano il carattere individuale di ogni formazione storica e anche il valore centrale dell’individuo in ogni epoca. Lo Stato moderno deve allora astenersi dall’imbrigliare questa energia, e deve invece consentire che si sviluppi nelle diverse forme che la modernità richiede, evitando tuttavia la dispersione, e focalizzando ogni forma nella direzione che la potenzia al massimo grado. L’ideale classicista della Bildung (“formazione, educazione”) ha il compito di convogliare le diversità verso l’unità spirituale e culturale dei popoli, raccogliendone i frutti più rilevanti nelle istituzioni statali e politiche, che, dopo l’irrompere della Rivoluzione francese in Europa, ogni Stato nazionale ha il compito di ricostruire.