PASQUALINO Veneto
PASQUALINO Veneto (Pasqualino di Nicolò, Pasqualino Veneziano, Pasqualino Lamberti). – Non è nota la data di nascita di questo pittore, attivo a Venezia tra il 1490 circa e il 1504, e del quale rimane finora imprecisabile anche l’identità dei genitori.
Come è stato infatti chiarito da Lionello Puppi, il tradizionale patronimico «di Nicolò» con il quale egli è stato spesso identificato nella letteratura artistica sarebbe scorretto, individuando in realtà un omonimo pittore iscritto alla corporazione nel 1530, molti anni dopo la scomparsa di Pasqualino (1961, p. 46, n. 5). Altrettanto dubbia è anche la proposta (avanzata per primo da Lionello Venturi, 1907) di riconoscere in lui un certo «Pasqualino da Venetia di Bartolomeo» attestato a Treviso nel 1464 al servizio del vescovo Ermolao Barbaro. Più plausibile risulta invece l’ipotesi di una sua appartenenza alla famiglia veneziana di rango cittadino dei Lamberti, dovendosi verosimilmente identificare nel figlio quel «Francesco de Pasqualin Lamberto pitore» documentato a Venezia in due circostanze tra il 1549 e il 1564 (Ludwig, 1905, p. 56). Considerata l’ampia parentesi cronologica che separa i due, si può presumere dunque che la sua data di nascita non debba essere fissata tanto oltre la prima metà dell’ottavo decennio.
Nonostante non si possiedano notizie dirette sulla sua formazione, la critica è in genere concorde nel ritenere che Pasqualino abbia svolto un primo periodo di apprendistato presso lo studio di Giovanni Bellini, con il quale dovette collaborare tra il 1485 e il 1490 (van Marle, 1935; Puppi, 1961). In un secondo momento egli venne avvicinandosi ai modi di Giovanni Battista Cima da Conegliano, presente in laguna con una propria bottega pittorica dalla fine circa degli anni Ottanta. Le affinità linguistiche e iconografiche tra le opere dei due artefici fanno supporre che Pasqualino abbia completato la sua formazione nell’atelier del più maturo collega trevigiano, associandosi a esso e divenendone uno dei principali collaboratori (Dal Pozzolo, 1994). L’analisi stilistica ha permesso inoltre di evidenziare contatti con altri maestri attivi nel contesto lagunare a cavallo del 1500, come Giovanni Mansueti, Marco Marziale o Vincenzo Catena, ai quali le opere di Pasqualino sono state talora accostate.
La ricostruzione della sua personalità artistica si basa su un ristretto gruppo di dipinti su tavola di soggetto devozionale, la cui autografia è spesso assicurata dalla presenza di firme o iscrizioni. La scarsità di opere datate ostacola tuttavia una puntuale scansione cronologica del suo corpus pittorico, che si presenta a tutt’oggi problematica e congetturale, affidandosi per lo più a confronti più ampi con il contesto artistico veneziano di questo periodo.
Tra le opere più significative della prima fase belliniana un posto di rilievo spetterebbe alla Madonna col Bambino già Goudstikker (Maastricht, Bonnefantenmuseum), firmata nel margine inferiore «P.[asqualinus] V.[enetus] P.[inxit]» (Puppi, 1961). La composizione, solitamente datata ai primi anni Novanta (The early Venetian paintings, 1978), costituisce infatti una delle repliche più interessanti della cosiddetta Madonna Brady di Giovanni Bellini (Kansas City, The Nelson-Atkins Museum of art), rispetto alla quale si distingue per una più rigida articolazione dei volumi, resi attraverso contorni più netti e spigolosi, nonché per la maggiore definizione del dettaglio paesistico. Tali caratteristiche hanno suggerito di avvicinare a quest’opera anche una Madonna allattante (Venezia, chiesa del Redentore, sacrestia; attribuzione respinta però da Giorgio Fossaluzza, 1996), e una Madonna col Bambino e cherubini (Ashby St Ledgers, Northamptonshire, coll. Wimborne), firmata, anch’essa ispirata a modelli iconografici di ascendenza belliniana (Puppi, 1961). A quest’ultima tavola, che rivela già i tratti di una maggiore consapevolezza espressiva, è stata peraltro associata una seconda versione (Berlino, Staatliche Museen), già in passato attribuita a un seguace di Cima (Humfrey, 1984, pp. 181 s.).
L’accostamento alla maniera di Cima da Conegliano può essere convenzionalmente fissato entro la prima metà degli anni Novanta, come dimostrerebbe il caso della Madonna col Bambino e s. Maria Maddalena già nella quadreria Orsetti di Venezia, firmata e datata per esteso «Pasqualinus Venetus pinxit 1496» (Venezia, Civico Museo Correr).
L’opera presenta infatti numerosi dettagli desunti dal lessico cimesco, evidenti soprattutto nelle due figure della Vergine e della Maddalena, che riprendono tipi facciali e decori plastici caratteristici del linguaggio del maestro trevigiano, schematizzandoli tuttavia in formule di più statica e robusta monumentalità.
Accanto a questo dipinto possono essere collocate ulteriori composizioni di impianto devozionale, a diverso titolo coinvolte in una declinazione semplificata delle volumetrie e dei cromatismi di ascendenza cimesca. Tra queste si segnalano in particolare tre versioni abbastanza omogenee della Madonna col Bambino (Trieste, Civico Museo Revoltella; Amsterdam, coll. de Boer, firmata, Pallucchini, 1957, fig. 205; Cambridge, MA, Fogg Art Museum, firmata) e una Madonna leggente col Bambino (Rovigo, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi), firmata, forse identificabile con un dipinto ricordato nel Settecento da Francesco Bartoli nel Palazzo vescovile di Rovigo (Vedova, 2008); a quest’ultima è stata avvicinata un’altra Madonna col Bambino (coll. priv.) che presenta una firma apocrifa di Giovanni Bellini (Dal Pozzolo, 1994, p. 79 n. 10). Agli anni a cavallo del 1500 dovrebbe inoltre appartenere una Madonna col Bambino, quattro santi e donatore (Praga, Národní Galerie), firmata con l’enigmatica iscrizione «P. Pasqualinus Venetus G.B.F.» (National Gallery in Prague, 2008), nonché una più debole S. Maria Maddalena a figura intera, già segnalata nel 1957 da Bernard Berenson e Rodolfo Pallucchini nella quadreria di palazzo Giustiniani a Venezia e attualmente dispersa. A questa serie è stata da ultimo aggiunta anche una Madonna col Bambino e s. Giovannino (coll. privata milanese, firmata e datata 1502) della quale è stata notata soprattutto l’ampia apertura paesistica, ricca di dettagli vicini al gusto narrativo di Giovanni Mansueti (Pallucchini, 1980).
Particolarmente indicativo del controverso e non ancora del tutto chiarito rapporto con Cima è infine il caso offerto da una tavola di piccole dimensioni raffigurante S. Girolamo nel deserto (Milano, Pinacoteca di Brera), proveniente dalla sala del Tesoro del monastero benedettino di S. Giorgio Maggiore a Venezia (Boschini, 1664), e recante al verso l’iscrizione antica «Lamberti opus», allusiva al possibile cognome di Pasqualino (Puppi, 1961).
Nonostante la presenza di questa iscrizione, la critica si è sempre in prevalenza espressa a favore di un’integrale autografia cimesca, osservando come l’alta qualità tecnica e stilistica del dipinto non abbia trovato fin qui alcun riscontro nel catalogo di Pasqualino (Humfrey, 1984, p. 123).
Tra le opere più incerte e dibattute in questo senso si ricorda inoltre un’ulteriore versione della Madonna col Bambino (Firenze, Galleria degli Uffizi), assegnata per primo a Pasqualino da Rudolf Burckhardt (1905, p. 118), ma in seguito per lo più annoverata tra gli autografi di Cima dell’ultimo decennio del Quattrocento (Humfrey, 1984, p. 103).
Ai primissimi anni del Cinquecento risalgono anche le uniche notizie documentarie riguardanti il pittore, relative a un accordo per l’esecuzione di un telero destinato alla sala dell’Albergo della Scuola Grande della Carità di Venezia raffigurante La presentazione della Vergine al tempio (Ludwig, 1905; per la trascrizione completa dei documenti, si veda Rosand, 1982, pp. 230 s.).
L’accordo, registrato nel notatorio della Confraternita il 20 gennaio 1504, specificava che il pittore era tenuto a concludere il lavoro nell’arco dei successivi due anni, fissando il suo compenso nella cifra totale di 170 ducati, comprensivi di spese materiali per tele e colori (ibid.). A quanto risulta dal testo del contratto, l’incarico era stato affidato a Pasqualino dopo un regolare concorso, a seguito del quale la sua proposta era stata giudicata «per la invenzion de el desegnio… molto meglio de li altrij che se ano meso a questa prova» (ibid.). Si ritiene in genere che alla competizione avesse partecipato anche Vittore Carpaccio, del quale si conserva agli Uffizi un disegno con la scena della Presentazione di solito associato a questa impresa (M. Muraro, I disegni di Vittore Carpaccio, Firenze 1977, p. 39).
Il telero non venne mai portato a compimento a causa della morte improvvisa di Pasqualino, avvenuta a Venezia in un momento di poco anteriore al 6 dicembre 1504, quando il suo decesso fu registrato in una delibera presa dalla Scuola (Rosand, 1982, pp. 231 s.).
Il successivo 19 gennaio 1505 un certo «ser Marin», fratello di Pasqualino, si presentò di fronte alle autorità della Scuola per richiedere il rimborso delle spese materiali affrontate fino a quel momento dal congiunto, ottenendo poco più di tre ducati a titolo di «premio per el desegno et la fadiga» (p. 232). L’esecuzione del telero fu in seguito affidata a Tiziano Vecellio, che lo completò entro il marzo 1538; secondo un’ipotesi formulata da Rosand, non è escluso che la composizione del maestro cadorino possa essere stata in qualche modo ispirata dal vecchio disegno predisposto da Pasqualino e rimasto nelle mani della stessa Confraternita (p. 91).
Fonti e Bibl.: M. Boschini, Le minere della pittura, Venetia 1664, p. 567; R. Burckhardt, Cima da Conegliano…, Leipzig 1905, pp. 118, 143 s.; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Malerei, in Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen, XXVI (1905), suppl., pp. 52-56; L. Venturi, Le origini della pittura veneziana, Venezia 1907, pp. 405 s.; B. Berenson, Dipinti veneziani in America, Milano 1919, pp. 198 s.; U. Thieme - F. Becker, Künsterlexikon, XXVI, Leipzig 1932, pp. 273-274; R. van Marle, The development of the Italian schools of painting, XVII, The Hague 1935, pp. 466-470; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Roma 1956, pp. 758, 892; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. Venetian school, I, London 1957, pp. 139 s.; R. Pallucchini, Giunte al catalogo di P., in Arte veneta, XI (1957), pp. 199 s.; L. Coletti, Cima da Conegliano, Venezia 1959, pp. 66, 97 s.; L. Puppi, Per P. V., in Critica d’arte, s. 3, VIII (1961), 44, pp. 36-47 (con bibl.); F. Heinemann, Giovanni Bellini e i belliniani, I, Vicenza 1962, pp. 10, 15-17, 33, 99, 161, 178, 256-259, 265; The early Venetian paintings in Holland, a cura di H.W. van Os et al., Maarssen 1978, pp. 123-127; R. Pallucchini, Un’altra aggiunta a P. V., in Storia dell’arte, 1980, nn. 38-40, pp. 215 s.; D. Rosand, Painting in Cinquecento Venice …, New Haven 1982, pp. 90 s., 141, 230-232; P. Humfrey, Cima da Conegliano, Cambridge 1984, pp. 62, 85, 94, 99, 103, 123, 175, 181 s., 184, 191, 194; E. Dal Pozzolo, «È tutto Cima?», in Venezia Cinquecento, IV (1994), 7, pp. 64, 79, n. 10; G. Fossaluzza, Pittori friulani alla bottega di Alvise Vivarini e del Cima, in Saggi e memorie di storia dell’arte, 1996, n. 20, p. 79; A. Vedova, P. V. documentato: una Madonna col Bambino nell’Accademia dei Concordi di Rovigo, in Arte documento, 2008, vol. 24, pp. 88-91; National Gallery in Prague. Italian paintings c. 1330-1550, a cura di O. Pujmanová, Praha 2008, p. 170.