LA ROTELLA, Pasquale
Nato il 26 febbr. 1880 a Bitonto da Vito e da Bibiana Ambrosi, fu ammesso all'età di otto anni al conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli, dove studiò flauto con I. Piazza, diplomandosi nel 1893. Si iscrisse poi alla classe di organo di E.M. Bossi, a quella di pianoforte di V. Romaniello e a quella di composizione di N. D'Arienzo. Quest'ultimo avviò il giovane allievo allo studio della polifonia sacra della tradizione italiana, alimentando un interesse che doveva poi consolidarsi negli anni trascorsi alla guida della schola cantorum di Bari. Avendo cominciato prestissimo un'attività direttoriale non gli fu permesso di portare a compimento gli studi: grazie all'appoggio del didatta e compositore C. De Nardis, il L. esordì infatti giovanissimo, presso il teatro Mercadante di Bari, come direttore d'orchestra con Rocco, di E. Gianturco iunior (un allievo di De Nardis), cui seguirono Napoli di carnovale del barese N. De Giosa, Faust di Ch. Gounod, Ernani di G. Verdi e Cavalleria rusticana di P. Mascagni. L'attività direttoriale affiancò sempre, da questo momento, quella compositiva.
Grazie al sostegno economico di un mecenate, nel 1896 si trasferì a Milano. Il 20 genn. 1900 fu rappresentata, al teatro Piccinni di Bari, la sua prima opera, Ivan, ripresa alcuni mesi dopo nella stagione del teatro Dal Verme di Milano.
L'opera appartiene, come Siberia di U. Giordano (Milano 1903), al filone di ambientazione russa: il tratto patriottico-rivoluzionario (l'azione si svolge intorno al 1850) amplifica, secondo i canoni estetici della librettistica veristica, la vicenda sentimentale, conferendole una risonanza corale (si veda il finale del secondo atto, la rivolta dei servi della gleba). Il soggetto del libretto di A. Perotti è, non a caso, l'adattamento scenico di un racconto d'appendice pubblicato sul quotidiano Il Secolo. L'impianto drammaturgico di Ivan è, nella sostanza, quello della Giovane Scuola verista, con una forte tendenza all'enfasi melodrammatica e una spiccata predilezione per i pezzi caratteristici ("La canzone dell'usignolo"); rimarchevole l'abilità tecnica esibita dal L. nei brani concertati (ad esempio nel quintetto).
Il L. fece poi ritorno a Bari, dove assunse, in seguito al superamento di un concorso ministeriale, la direzione della schola cantorum della basilica di S. Nicola (1902-11). In questo periodo scrisse, oltre a diverse composizioni sacre, per lo più di brevi dimensioni, la sua seconda opera, Dea, andata in scena l'11 apr. 1903 al Petruzzelli di Bari (il teatro fu inaugurato proprio in quell'anno). Basata su un soggetto "romantico" ambientato in Scozia, Dea fu accolta positivamente dalla critica, nonostante le gravi manchevolezze rilevate nel libretto di G. Di Crollalanza.
Nel 1904 il L. sposò il soprano Angela Scannicchio, che gli fu di aiuto nella gestazione della terza opera, Fasma, su libretto di A. Colautti, pubblicata da Sonzogno (teatro Dal Verme, direttore T. Serafin, autunno 1908, con Emma Carelli nel ruolo principale).
Fasma può considerarsi il frutto della ricezione italiana della Carmen di G. Bizet, che il L. frequentò assiduamente come direttore d'orchestra: l'impiego di citazioni colte (per esempio, in un coro, dalla Polacca in la maggiore op. 40 di F. Chopin) è volto alla creazione di un generico colore locale polacco, in consonanza con un gusto che si manifesta anche nella produzione di autori lontani dal L. per sensibilità e ideali estetici (per esempio in Chopin di G. Orefice). La diade delle protagoniste femminili, che stilizza la contrapposizione fra la femme fatale e la "brava ragazza", ha il suo archetipo nella Carmen di Bizet, ma si rifà anche a Le Villi di G. Puccini.
Fra il 1911 e il 1918 si intensificò la sua attività direttoriale al Petruzzelli (soprattutto repertorio italiano: Verdi, Puccini, Mascagni, Giordano, F. Cilea, ma anche I pescatori di perle e Carmen di Bizet) e all'estero (Il Cairo, Budapest, Barcellona, Nizza e altre città francesi, in Belgio, in America del Nord). Trasferitosi nel 1912 nuovamente a Milano, seguì una lunga battuta d'arresto nella composizione: il L. avvertì per la prima volta un'esigenza di rinnovamento. Lontano per sensibilità dall'estetica della generazione degli anni Ottanta, poco interessato alle esperienze neoclassiche di un A. Casella o al ritorno alla melopea gregoriana di I. Pizzetti, cercò di allargare il proprio orizzonte arricchendo la tavolozza armonica e timbrica attraverso la frequentazione (innanzitutto come direttore d'orchestra) della musica francese (C. Debussy, M. Ravel) e tedesca (R. Strauss), pur rimanendo fedele ai principî estetici e drammaturgici di un teatro musicale di matrice sostanzialmente verista.
Il 13 nov. 1933 fu rappresentata a Roma, sotto la direzione dello stesso L., Corsaresca, "visione tragica in tre atti" su libretto di E. Cavacchioli, opera vincitrice di un concorso indetto dalla Corporazione dello spettacolo.
Il critico G. Cesari parlò, nella sua recensione per il Corriere della sera, di "tecnica dell'arte decadentistica e di derivazione wagneriana", di una "tendenza sinfonica" e di una patina impressionistica che compensano una certa qual "languidezza di contenuto espressivo" (cit. in Fassone, p. 20). Pur restando fedele al primato tradizionale del canto, il L. impreziosisce il trattamento orchestrale nell'evocazione della dimensione marino-fiabesca, che interpreta tuttavia, nel segno della drammaturgia verista, come idillio tragico (archetipo del genere, sul piano letterario, è Undine di Fr. La Motte-Fouqué). La perizia tecnico-compositiva della Corsaresca fu apprezzata anche da musicologi poco inclini alla musa verista come A. Toni, uno studioso interessato fortemente al "ricupero dell'antico", alla poetica neoclassica dei ritorni al passato che interessa una gran parte del teatro musicale italiano della prima metà del secolo (G.F. Malipiero lavorava in quegli anni alla sua edizione critica degli opera omnia di C. Monteverdi).
Corsaresca segna senza dubbio il momento più alto della parabola operistica del L.: fu anche l'ultima opera che riscosse, oltre a un successo di pubblico che doveva accompagnare anche le produzioni future, un ampio consenso da parte della critica.
Nel 1933 il L. assunse la direzione del liceo musicale N. Piccinni di Bari e si trasferì nuovamente nel capoluogo pugliese. Cominciò subito dopo la sua fruttuosa collaborazione con il teatro di Montecarlo, celebre in quegli anni per l'assidua presenza di artisti come V. De Sabata, D. Mitropoulos, R. Strauss e A. Toscanini: il repertorio del L. si ampliò a W.A. Mozart, R. Wagner, M.P. Musorgskij e R. Strauss, del quale diresse nel 1936 Arabella. Nel 1936 Mitropoulos propose al L. di raccogliere in una suite le pagine migliori di Corsaresca: ne nacque la Suite sinfonica da Corsaresca, tenuta a battesimo a Montecarlo dallo stesso Mitropoulos, da annoverarsi fra le pagine più riuscite del La Rotella.
La seconda guerra mondiale segnò uno spartiacque nella sua carriera di compositore: a parte due opere andate perse (Vincenzella e Maria di Trento), Manuela, nata dalla collaborazione con il librettista e commediografo A. Rossato e rappresentata in prima esecuzione al teatro Municipale di Nizza il 4 marzo 1948, è l'ultima fatica del L. per le scene, ripresa nel gennaio 1951 dal teatro Petruzzelli sotto la direzione dell'autore.
In Manuela, tre atti e cinque quadri, si rileva una patina di facile folclorismo messicano, eco dei viaggi del L. Oltreoceano (così ad esempio nel Carioca della terra) e una consapevole semplificazione del lussureggiante apparato orchestrale di Corsaresca. Accanto a pagine esemplari di un'armonia nutrita di apporti quanto mai eterogenei ma ben rifusi, vi affiora, dalle lontane nebbie veriste, la predilezione per il pezzo caratteristico, la "stornellata" popolare di facile impatto emotivo, cristallizzata in un manierismo pregno di echi pucciniani, evidente nel linguaggio armonico, che costituisce il limite estetico dell'opera. Nell'opera prevale un declamato melodico continuo che rievoca ancora una volta il "recitativo lirico" pucciniano, un mezzo espressivo che il L. pone al servizio di una concezione drammaturgica prettamente verista. La tendenza all'enfasi melodrammatica e al bozzettismo psicologico (la contrapposizione stereotipa fra i due rivali in amore, Paco e Pedro, il tema mascagnano dell'addio alla madre, memore di Cavalleria rusticana, la catastrofe finale in seguito al ritorno inaspettato di Paco dalla guerra) è predisposta, sin nei minimi dettagli, dal libretto di Rossato, meno pretenzioso, dal punto di vista letterario, di quello di Corsaresca.
Nel 1952 scrisse la Preghiera alla Vergine, per soli archi, dedicata al vescovo di Bitonto. Fra le composizioni liturgiche un posto di rilievo spetta allo Stabat Mater (1960), l'ultima opera significativa del La Rotella.
Articolata in quattro sezioni, la pagina vuole essere un omaggio alla tradizione ottocentesca napoletana. Tale intento è palese nel ricorso a un linguaggio assolutamente tradizionale, nel quale si ravvisano echi degli ultimi lavori sacri di Verdi, che infondono al brano un'espressività drammatica ma pur sempre contenuta, e nella riduzione dell'organico strumentale (il gruppo degli ottoni è rappresentato da un unico corno). Tali caratteristiche meritarono all'opera, dopo la prima esecuzione, l'apprezzamento di F. Abbiati ("pagina commossa e commovente, animata dal soffio della fede, incalzata dall'ansia della perfezione", osservò Abbiati nella sua recensione per Il Corriere della sera, 30 apr. 1960).
Il L. morì a Bari il 20 marzo 1963.
Fonti e Bibl.: A. Giovine, Musicisti e cantanti di Terra di Bari, Bari 1968, ad nomen; A. Fassone, P. L. e la metamorfosi della musa verista in Italia, Fasano 1991; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, p. 285.