D'ERCOLE, Pasquale
Nacque a Spinazzola, in provincia di Bari, il 23 dic. 1831 da Giovanni. Compiuti i primi studi nel paese natale, poi quelli superiori in seminario a Molfetta, nel 1848-49 approfondi gli studi letterari con Michele Agostinaccio, discepolo di B. Puoti e di F. De Sanctis, per recarsi, nello stesso '49, a Napoli e immatricolarsi nella facoltà di legge. Subito emersero però i suoi interessi marcatamente filosofici: seguì le lezioni dei docenti galluppiani e giobertiani e assisté per circa tre anni alle lezioni di Giambattista Ajello, che leggeva privatamente il testo dell'Enciclopedia hegeliana. Partecipò anche, legandosi ad A. Vera, visto come il simbolo della "comunione universale" del sapere, agli scontri interni del ocenacolo hegeliano" di Napoli. Nel 1859 si recò, per un corso di perfezionamento, a Berlino, dove aderì subito ai gruppi hegeliani; in particolare si avvicinò al Michelet, del quale seguì le lezioni e il cui insegnamento rievocò in un saggio pubblicato a Roma nel 1894 (Carlo Ludovico Michelet e l'hegelianismo). Partecipò così all'intensa vita intellettuale di quella università, conoscendo anche F. A. Trendelenburg e Th. Mommsen ed entrando, nel 1860, a far parte della Società filosofica (hegeliana) di Berlino. Nel 1862 fu nominato professore di filosofia teoretica nell'università di Pavia, come successore di R. Bonghi, e da lì, nel 1878, passò a Torino dove insegnò ancora filosofia teoretica, ma anche filosofia morale, e dove morì il 16 genn. 1917.
Nel periodo della formazione filosofica a Napoli e negli anni berlinesi il D. aderì al "più ortodosso hegelismo", mostrando grande perizia nella comprensione delle opere di Hegel e un preciso acume di commentatore. Tuttavia non fu un mero ripetitore di Hegel, ma si dedicò piuttosto alla trattazione di alcuni problemi particolari del sistema elaborato dal filosofo di Stoccarda, mantenendo una propria autonomia di giudizio. Ciò appare con piena evidenza dalle pagine del saggio, uscito a Milano nel 1875, dedicato a La pena di morte e la sua abolizione, dichiarate teoricamente e storicamente secondo la filosofia hegeliana, nel quale si oppone alle tesi di Hegel, pur appoggiando direttamente la sua argomentazione ai testi del "maestro" berlinese.
Di questa prima adesione all'hegelismo rimase al D. un interesse alquanto intellettualistico per i problemi metafisici, che, però, sotto la spinta della "crisi" dell'hegelismo tedesco e dell'avvento della filosofia positivistica come filosofia egemone in Europa, venne trascrivendosi in termini sempre più decisamente naturalistici, avvicinandosi anche all'evoluzionismo del Darwin e dello Spencer. Passò così da una concezione quasi platoneggiante della logica, secondo la quale i principi logico-metafisici sono "vere entità ideali sussistenti ed operanti nelle cose come elementi costitutivi delle medesime", a un "naturalismo quasi positivistico" che, come ricorda Garin, pone "alla radice della natura e dello spirito un Essere logico-metafisico che non a caso è stato avvicinato all'Indistinto di Ardigò".
Questa fusione di elementi hegeliani con elementi tratti dall'evoluzionismo è chiaramente leggibile nello studio L'essere evolutivo finale, come tentamento di una nuova concezione ed orientazione del pensiero filosofico nascente dall'hegelianismo, (in Rivista di filosofia, II [1910], pp. 202-16), nel quale il D. fissa le tappe evolutive dell'essere (naturale, spirituale, "universale", ovvero "logico-metafisico", che riunifica natura e spirito) ed afferma che anche la logica "corne qualsiasi altra concezione umana, sorge e si costituisce propriamente ed unicamente secondo le intuizioni e le notizie sperimentali del grado di evoluzione storica, nel quale si trova la coscienza filosofica".
Il programma filosofico hegeliano risulta, qui, espressamente ribaltato e trascritto in termini fortemente naturalistici, poiché "capovolge la celebre formula hegeliana, sostituendola con un sistema dell'essere evolutivo finale, in cui l'Idea dell'essere" si pone, alla fine, come "unità non statica, ma dinamica" (Carlini), come finalità assoluta che investe tutto il cosmo e ne costituisce la struttura razionale.
Negli anni Ottanta-Novanta il D. aveva pero, sempre richiamandosi al suo hegelismo profondamente sentito e rivissuto, intrapreso, da un lato, un'aspra battaglia contro il teismo, pubblicando nel 1884 a Torino un saggio su Ilteismo filosoficocristiano teoricamente e storicamente considerato, con speciale riguardo a s. Tommaso e al teismo italiano del XIX secolo, dall'altro, il recupero di una esperienza originale dell'hegelismo italiano, quella di P. Ceretti, a cui dedicò tra il 1886 e il 1913 ben sette volumi, dall'introduttiva Notizia degli scritti e del pensiero di P. Ceretti al più complesso lavoro su Il saggio di panlogica, ovvero l'Enciclopedia filosofica dell'hegeliano P. Ceretti.
Lo studio sul teismo pone in rilievo come tale posizione filosofica si fondi su una "universale mancanza di dimostrazione dei principi della propria dottrina" e come implichi la "universale contraddizione" di tali principi "con la realtà tutta e con se stessi". Il teismo è quindi contraddittorio e illusorio, ad un tempo; il suo errore di fondo risiede nel principio della trascendenza; un'analisi coerente e rigorosa di esso non può che condurre alla concezione immanentistica hegeliana - "L'hegelianismo esce come un necessario risultato ed una necessaria conseguenza dal teismo" -, eliminando Dio e i suoi attributi, l'anima e la sua immortalità.
Il lavoro di commentatore del pensiero del Ceretti, caratterizzato da prefazioni assai estese e da note assai dense alle sue opere, risulta troppo spesso sovrabbondante e appare sproporzionato in relazione alla levatura speculativa certamente non eccelsa del Ceretti, anche se attraverso questa esperienza il D. venne scosso nella sua "fede hegeliana" e prese coscienza di una necessaria "riforma" dell'hegelismo, che egli (distinguendosi in parte dal Ceretti, il quale veniva a privilegiare il momento del Logos) affrontò, come abbiamo ricordato, in termini sempre più nettamente ispirati al naturalismo evoluzionistico.
Nel 1912 il D. concludeva la sua attività filosofica pubblicando a Torino uno studio su La logica aristotelica, la logica kantiana ed hegeliana e la logica matematica con accenno alla logica indiana, di cui stese soltanto le prime due parti. Il lavoro, prevalentemente espositivo, intendeva ricostruire le "cinque forme" della logica, mettendo al centro la tradizione occidentale, da Aristotele alla logica matematica contemporanea, ma dando spazio anche alla logica indiana, concepita come una "vera forma logica distinta dalle altre", in modo che di tutte si venisse a definire la "vera natura" dal punto di vista "storico" e "teorico". Il testo del D. testimonia, al tempo stesso, la costante apertura della ricerca del filosofo pugliese, rivolta negli ultimi anni della sua vita ad indagare terreni sempre più lontani dalla metafisica, e l'avvicinamento a quel movimento di studi logici che, anche in Italia, venne costituendosi agli inizi del Novecento e che ebbe proprio a Torino un centro di irradiazione.
Durante tutto lo svolgimento del suo lavoro filosofico il D. mantenne anche un forte interesse e una precisa attenzione verso i problemi pedagogici. Si interessò di educazione dell'infanzia, facendosi sostenitore ed espositore del metodo fröbeliano (L'educazione dell'infanzia secondo Federico Fröbel, Roma 1876; Osservazioni sul metodo oggettivo di Fröbel e Pestalozzi, Genova 1883; F. Fröbel, in L. Loredano-A. Martinazzoli, Diz. ill. di pedagogia, Milano 1893-1903); si occupò della riforma delle scuole secondarie (Alcune proposte di riforma nelle scuole secondarie [Pavia 1874]) e, in particolare, dell'insegnamento della filosofia nei licei (L'insegnamento filosofico liceale e la storia della filosofia, in Rivista pedagogica, I[1908], pp. 493-97); rivolse l'attenzione anche alla "questione universitaria", occupandosi dei problemi dell'unità del sapere e della necessità di una "reintegrazione" delle facoltà di teologia o degli aspetti "didattico-scolastici" dell'insegnamento universitario (La reintegrazione della facoltà teologica, in Rivista di filosofia, II[1910], pp. 444-49; La questione universitaria didattico-scolastica, risolta da un filosofo hegeliano sessant'anni fa, in Rivista pedagogica, IV[1911], pp. 186-90). Fedele seguace di Hegel, come ebbe a definirsi ancora nel 1910 - "io sono ammiratore e propugnatore dell'Hegelianismo da mezzo secolo sì nelle mie opere che nel mio insegnamento; e lo sono tuttora, benché a modo mio e persino con modificazioni dell'Higelianismo stesso" (L'insegnamento filosofico e pedagogico propugnato dal prof. Giuseppe Allievo con riferimento all'Hegelianismo e all'Umanismo, ibid., III [1910], pp. 833-45, 955-62) -, il D. interpretò, in realtà, una di quelle vie di "dissoluzione" della tradizione hegeliana in Italia, prima della "rinascita neo-idealistica" che, ora attraverso il contatto col positivismo, ora attraverso un recupero dello spiritualismo, attuarono "riforme" del pensiero hegeliano che ne vennero, in sostanza, a indebolire il vigore teoretico e critico.
Fonti e Bibl.: Necrologio in Riv. pedagogica, X (1917), pp. 170 s.; Nel 50° anniversario d'insegnamento del prof. P. D. Notizia della vita e delle opere, Torino 1913; A. Carlini, Un filosofo pugliese: P. D., in Corr. delle Puglie, 21 giugno 1914; G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, III, I neokantiani e gli hegeliani, II, Messina 1923, pp. 23-28; G. Alliney, I pensatori della seconda metà del sec. XIX, Torino 1942, pp. 262 s.; E. Garin, Storia della filosofia ital., Torino 1966, pp. 1238 s.; A. Carlini, P. D., in La filosofia ital. tra Ottocento e Novecento, Torino 1954, pp. 79-84.