Partito comunista spagnolo ( PCE)
(Partido comunista español, PCE) Partito politico spagnolo. Un primo partito comunista fu costituito in Spagna nell’aprile 1920, a seguito di una scissione della Federazione giovanile socialista; un anno dopo, da una costola del Partito socialista, nacque il Partito comunista operaio spagnolo. Infine, sotto la pressione del Comintern, i due spezzoni si unificarono nel PCE (14 nov. 1921). Sottoposto alla repressione della dittatura di P. de Rivera, il PCE non riuscì a costruire un forte radicamento di massa. In occasione del 4° Congresso (Siviglia, 1932), l’Internazionale inviò in Spagna l’italoargentino V. Codovilla, attorno al quale si costituì un nuovo gruppo dirigente, col segretario J. Díaz e D. Ibarruri, detta «la Pasionaria». Nel 1934 il PCE partecipò alla rivolta delle Asturie, ma fu solo a seguito della svolta dei fronti popolari, cui seguì nel genn. 1936 la costituzione del Fronte popolare in Spagna, che il PCE acquisì una dimensione di massa, mentre a livello giovanile e sindacale si realizzavano processi unitari anche di tipo organizzativo. Dopo la vittoria elettorale del Fronte popolare, il PCE rimase però fuori dal governo Azaña. Il golpe di F. Franco, intanto, dava inizio alla guerra civile (19 luglio 1936). Pochi giorni dopo, in Catalogna, i comunisti si fondevano con altre forze nel Partito socialista unificato di Catalogna (PSUC). Sul piano nazionale, intanto, il PCE decideva di partecipare al governo guidato da L. Caballero, mentre l’afflusso delle Brigate internazionali e il sostegno dell’Unione Sovietica alla causa repubblicana accrescevano il prestigio dei comunisti. I conflitti con le componenti anarchiche e trotzkiste dello schieramento antifascista, d’altra parte, non mancarono, e sfociarono nei violenti scontri del maggio 1937. Intanto il PCE era parte integrante anche del governo Negrín. La caduta della Repubblica (apr. 1939) costrinse i comunisti scampati alla morte o all’arresto ad andare in esilio, tenendo in vita il partito all’estero, partecipando alla Resistenza in Francia e organizzando un movimento clandestino in patria. Dal 1942 il PCE fu guidato da D. Ibarruri, col giovane S. Carrillo responsabile dell’organizzazione. Nel 1960 divenne segretario Carrillo, sulla base di una linea di unità nazionale che ponesse il «paese contro il regime»; al tempo stesso il PCE si radicava tra i lavoratori attraverso le battaglie economico-rivendicative delle Comisiones obreras. La condanna dell’intervento del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia (1968) costituì il segnale di una nuova autonomia rispetto all’URSS, la quale ebbe i suoi sviluppi più significativi negli anni Settanta, con la partecipazione del PCE alla stagione dell’eurocomunismo. Franco intanto era morto (1975) e il partito era tornato alla legalità, conquistando il 10% dei voti. Messo in difficoltà dalla concorrenza del Partito socialista, indebolito da varie scissioni e poi dal tramonto dell’eurocomunismo, il PCE entrò in una fase di crisi, che portò alle dimissioni di Carrillo nel 1982. Nel 1986 fu tra i fondatori del cartello di Izquierda unida (IU), poi costituitosi in vera e propria forza politica, ma già nel 1984 l’ala filosovietica del PCE ne era uscita per fondare il Partito comunista dei popoli di Spagna (PCPE). Nel 1996 IU raggiunse il 10% dei voti, ma al suo interno la crisi del PCE divenne sempre più visibile, manifestandosi in particolare in una costante emorragia di iscritti. Nel 2000 segretario di IU divenne G. Llamazares, esponente del PCE. Nel 2004 il PCE e IU nel suo insieme parteciparono alla nascita del Partito della sinistra europea. Dal 2004 al 2008 hanno sostenuto il governo Zapatero, per poi passare a un voto di astensione.