partecipazione
Il concetto ha assunto, nella storia del pensiero occidentale, tre significati principali: il primo, legato all’originaria accezione platonica, è di tipo metafisico; il secondo, emerso negli studi antropologici, indica la caratteristica fondamentale della mentalità primitiva; il terzo riguarda invece la dimensione politico-sociale ed è strettamente connesso all’idea e alla prassi della democrazia moderna.
La p. o metessi (➔); (dal gr. μέϑεξις) rappresenta – insieme alla parusia (➔) e alla mimesis (➔) – uno dei concetti con i quali Platone cerca di risolvere il difficile problema del rapporto tra la realtà delle idee (trascendente, unica, indivisibile) e quella delle cose (sensibile, molteplice, divisibile). Impiego analogo dell’idea di p. si avrà nella filosofia cristiana e in quella araba, una volta accolta l’identificazione del platonico mondo delle idee con il νοῦς neoplatonico e risolto questo nel verbo di Dio: la p. avrà lo scopo di esplicare, in questo caso, il rapporto tra Creatore e creature. Queste ultime sono in quanto ‘partecipano’ delle idee presenti nella mente divina: il loro è un essere per p., a differenza di quello divino che è un essere per essenza (come dirà Tommaso d’Aquino, Dio «è» l’essere, mentre le cose «hanno» l’essere).
Secondo Lévy-Bruhl la mentalità primitiva è caratterizzata dalla legge di p., cioè da un sentimento oscuro dei legami e delle corrispondenze esistenti tra i singoli componenti del mondo naturale e sociale. Questa mentalità prelogica non distinguerebbe tra concetti oggettivi e soggettivi: per es., una persona, i suoi capelli tagliati, il gruppo al quale appartiene o il luogo dove vive partecipano di un’unica essenza e quindi ogni cosa che accada a uno di questi oggetti riguarda anche tutti gli altri.
L’idea di p. è strettamente connessa all’accezione moderna di libertà politica: mentre la libertà civile garantisce all’individuo una sfera in cui può agire a proprio talento senza subire interferenze da parte dello Stato, la libertà politica consiste nella possibilità di prendere parte alle decisioni pubbliche e quindi, in primo luogo, alla formazione delle leggi. Se la prima dà luogo a una condizione di indipendenza dal potere, che ha trovato i suoi fautori negli esponenti del liberalismo classico, la seconda si traduce nella p. al potere stesso, e ha trovato i suoi sostenitori nei pensatori della tradizione repubblicana e democratica. Al di là delle divergenze (più o meno significative) tra queste grandi tradizioni la p. politica, nel corso del 20° sec., è stata riconosciuta come uno degli ingredienti indispensabili dei sistemi democratici e come tale è stata oggetto di numerosi studi. La scienza politica ne ha messo a fuoco le forme e le condizioni di esercizio. Per quanto riguarda le prime, si va dalla semplice ‘presenza’ a riunioni, assemblee e manifestazioni alla ‘attivazione’ in seno alle organizzazioni politiche, sino alla p. in senso stretto, ossia al contributo personale a una decisione di tipo politico o alla scelta di candidarsi per una carica pubblica. Vi sono poi forme spontanee di p. politica, in genere legate allo svilupparsi di movimenti ‘dal basso’. Quanto alle condizioni di esercizio, esse sono perlopiù legate – nelle grandi democrazie contemporanee – alle procedure per l’elezione delle cariche pubbliche: di qui il prevalere, per la maggior parte dei cittadini, di una p. indiretta, la cui unica eccezione è costituita dalle consultazioni referendarie. Accanto a queste forme di p. politica (che implicano sempre l’elemento della volontarietà; quando questo viene a mancare, come nei regimi autoritari e totalitari, è bene parlare di mobilitazione dall’alto e non di p.) esistono occasioni di p. attraverso il mondo delle associazioni volontarie, che svolgono sia una funzione di stimolo verso il sistema politico, mediando il rapporto tra la società civile e la sfera politico-istituzionale, sia una funzione di reclutamento e formazione. Le analisi empiriche attestano inoltre come la p. politica, anche nelle democrazie mature, sia generalmente bassa e circoscritta, come rivelano l’astensionismo elettorale (forte soprattutto nel sistema statunitense), lo scarso interesse per gli avvenimenti politici (seguiti con attenzione da una ristretta cerchia di persone) e la sempre più esigua p. diretta all’attività politica (iscrizione e militanza nei partiti). Taluni studiosi, tuttavia, sostengono che alle forme tradizionali di p. politica stiano subentrando forme nuove, che troverebbero espressione nelle realtà associative e nei peer groups, spesso impegnati ad affrontare questioni specifiche, vicine alle esigenze concrete dei cittadini. Quanto alle riflessioni di tipo normativo, è soprattutto la filosofia politica di ispirazione repubblicana e democratica a sottolineare l’importanza di una p. attenta e consapevole alla cosa pubblica e a paventare i rischi dell’apatia politica: si ritiene infatti che la p. politica garantisca la stabilità e la vitalità del sistema politico, accresca il senso di responsabilità civica, favorisca il controllo dei governanti e quindi aumenti la qualità della rappresentanza. La tradizione liberale, se per un verso riconosce la validità di questi argomenti (soprattutto al fine di controllare i governanti), per l’altro mette anche in guardia contro gli eccessi di p. politica, intravedendo nel cittadino continuamente attivo nella sfera politica il rischio di una iperpoliticizzazione della società che risulterebbe esiziale per la libertà individuale.