PARABOLA (gr. παραβολή "collocazione di una cosa accanto a un'altra", quindi "comparazione", "similitudine")
Per essa un argomento per sé difficile e astruso viene chiarificato ravvicinandolo a uno più chiaro, desunto sempre dalla vita reale. Da questo ultimo punto di vista la parabola differisce dalla favola che mette sulla scena animali o esseri inanimati, dal mito perché questo nasce dall'inconscia immaginazione del popolo come personificazione di fenomeni della natura o della vita, e dall'allegoria perché questa altro dice e altro vuole significare e le è estraneo, per sé, l'elemento comparativo. Da questo significato generico, che si ritrova nella retorica greca e latina, la parabola ha assunto nel Nuovo Testamento un valore. più ampio. Essa è sempre una similitudine, ma assai più sviluppata e sceneggiata al punto da raggiungere le proporzioni di un racconto, a illustrazione d'una verità religiosa o morale. Si badi tuttavia che la forza probativa della parabola sta tutta e soltanto nel paragone fondamentale e che non conviene urgerla sino a ricercare il significato dei singoli personaggi e delle singole azioni compiute, sotto pena di non intenderne più l'insegnamento. Così la parabola del giudice iniquo (Luca, XVIII, 1-8), che fa giustizia alla vedova insistente perché teme che questa passi a vie di fatto contro di lui, significa solo che bisogna pregare senza stancarsi mai; ma non conviene cercare chi sia l'iniquo giudice e se la vedova possa adombrare l'anima umana.
Soltanto i vangeli sinottici contengono parabole, talune appena accennate, in numero di 28, altre completamente sviluppate, in numero di 21. Di queste ultime, quattro assurgono al valore di racconti illustrativi d'una verità religiosa o morale e sono quelle del buon samaritano (Luca, X, 29-37), del ricco avaro (Luca, XII, 16-21), del ricco epulone (Luca, XVI, 19-31) e del fariseo e del pubblicano (Luca, XVIII, 9-14).
La parabola è la forma propriamente originale dell'insegnamento di Gesù e da essa appunto il popolo coglieva la differenza che separava detto insegnamento da quello degli scribi e dei farisei.
Il genere parabolico non è del tutto ignoto all'Antico Testamento (apologo degli alberi che domandano un re, Giudici, IX, 8-15; apologo della pecora del povero, Samuele, XII,1-7); e lo si ritrova nell'insegnamento rabbinico posteriore (Talmūd). Esso è pertanto un genere didascalico tipicamente ebraico (con qualche precedente, forse, nella letteratura sapienziale dell'antico Oriente), il quale nelle parabole evangeliche ha trovato la sua forma più abbondante e perfetta.
Staccatasi dal contesto evangelico, la parabola trovò nel Medioevo una sua autonomia narrativa confluendo nel genere della novellistica.
Bibl.: A. Jülicher, Die Gleichnisreden Jesu, voll. 2, Friburgo in B. 1899; P. Batiffol, L'enseignement de Jésus, Parigi 1905; L. Fonck, Le parabole del Signore, Roma 1924; G. F. Moore, Judaism, voll. 3, Cambridge (Mass.) 1927; E. Buonaiuti, Le parabole di Gesù, in Religio, 1934.