PARABIAGO
Località in provincia di Milano, sulla destra dell'Olona, nota soprattutto per il rinvenimento, avvenuto nel 1907, di una patera figurata d'argento. Si tratta di una patera su piede, di argento quasi puro, fusa tutta di un pezzo e poi lavorata a sbalzo, con lumeggiature in oro e particolari rifiniti a cesello e a bulino, del diametro di cm 39 (piede cm 15,8) e del peso di kg 3,555; il retro non reca marche e il suo stato di conservazione è quasi perfetto: presenta solo un leggero appiattimento delle figure a rilievo, dovuto all'uso. Fu rinvenuta in via Maggiolini, durante i lavori per la fondazione di una villa. Rimase presso il proprietario F. Gaio e, sconosciuta, fino al 1931, quando fu acquistata dallo Stato e custodita prima alla Pinacoteca di Brera, e poi al Museo del Castello Sforzesco di Milano.
Nella prima edizione della patera (A. Levi), si dice che essa era stata trovata usata come coperchio di una tomba a cremazione, costituita da un'anfora di tipo vinario, segata ai due terzi, secondo un costume frequente nella zona di Legnano, insieme ad un cucchiaio di bronzo argentato, con paletta a forma di conchiglia e qualche altro argento andato disperso. Intorno al luogo del trovamento, in varie epoche, sono apparsi resti di un sepolcreto romano a cremazione, costituito in maggioranza da anfore segate e ricoperte da tegole, e una iscrizione funeraria (C.I.L., v, 5579), databile, come tutto il sepolcreto, tra il II e il III sec. d. C.
Tuttavia, il fatto che le circostanze del ritrovamento, che sarebbero estremamente importanti ai fini di un inquadramento cronologico del pezzo, siano state date all'editore dopo molti anni dal trovamento, e da persone che non avevano assistito allo scavo e non avevano competenza in materia, non consente di assumerle con certezza e lascia aperta la possibilità di considerare il pezzo prescindendo da esse.
La decorazione, distribuita armonicamente nel campo circolare, si dispone su tre registri: al centro la Gran Madre Cibele con Attis, sul carro trionfale tirato da quattro leoni e scortato da tre coribanti; davanti al carro la figura giovanile di Aion entro il cerchio dello Zodiaco, sostenuto da Atlante, presso un obelisco intorno al quale si attorciglia un serpente; il tutto inquadrato in una visione cosmica: il cielo in alto, simboleggiato dai carri di Helios e di Selene, preceduti da Vespero ed Espero; in basso la Terra con Oceano, Tritone e Teti, e una Ninfa, simbolo delle acque interne, e le Quattro Stagioni, raffigurate come putti danzanti, con attributi. Probabilmente, con una complessa sintesi concettuale, è qui rappresentata la ierogamia di Cibele e Attis, cui assiste l'intero universo (cfr. vol. i, figg. 1139; 261).
Nonostante l'accordo di massima sui caratteri stilistici: composizione di spirito ellenistico, con probabili influenze orientali, resta molto discussa e incerta la cronologia che, fissata alla seconda metà del II sec. dal suo primo editore, oscilla ora tra la fine II-inizî III e il IV secolo inoltrato.
La datazione al II sec. (A. Levi) era basata, oltre che sui dati di scavo, su notazioni stilistiche e iconografiche e su paragoni con le monete adrianee del Saeculum Aureum (Aion entro lo Zodiaco) e con il mosaico di Sentinum (le Stagioni). I dati di ritrovamento sono messi in discussione per la prima volta dall'Albizzati, che conferma però la datazione al II sec. sulla base di un esame concettuale e di un confronto con un rilievo mitriaco da Magonza, che sembra riprodurre sul retro, nel calcare, la decorazione di un piatto rotondo in argento, del tipo di quello di Parabiago.
La datazione è stata poi variamente spostata: alla fine II-inizî III (Gullini), in base ad un esame stilistico che sottolinea il vistoso plasticismo delle figure, nel quale le note disegnative dei volti e dei panneggi rivelano una tradizione ellenistica orientale; questa datazione sarebbe confermata anche dal confronto, per la resa prospettica della quadriga, con l'Arco di Settimio Severo a Leptis Magna. Al IV sec. inoltrato sulla base di confronti con il missorium di Teodosio a Madrid (388; Alföldi), in particolare per il parallelo tra la Tellus di P. e quella dell'esergo del missorium (Rumpf); per il distacco di figure e gruppi che non sembrano subire la disciplina del contesto (Mansuelli, Volbach); per il parallelo che viene stabilito tra i putti simboleggianti le Stagioni e quelli del Calendario del 354 e delle pitture dell'aula Palatina di Treviri (Hanfmann; Cagiano; von Gerkan-L'Orange); per la somiglianza tra il volto di Attis e il medaglione aureo di Costanzo II da Nicomedia (354; Hanfmann); per il parallelo con il Sol Invictus su quadriga dell'Arco di Costantino (von Gerkan-L'Orange); per confronti con la lanx di Corbridge e un disco argenteo con amazzone a cavallo della Collezione Dumbarton Oaks (Strong). Il problema della datazione resta tuttora aperto; comunque gli studî più recenti concordano per una datazione al IV secolo.
Bibl.: A. Levi, La patera di Parabiago, Roma 1935; Arch. Anz., L, 1935, p. 522; A. Levi, in Critica d'Arte, II, 1937, pp. 218 ss.; C. Albizzati, La lanx di Parabiago e i testi orfici, in Athenaeum, N. S., XV, 1937, pp. 187 ss.; A. von Gerkan-H. P. L'Orange, Kostantinsbogen, Berlino 1939, p. 164, n. i e p. 175; A. Levi, in Journ. Rom. St., XXXIII, 1943, tav. VI, i; D. Levi, in Hesperia, XIII, 1944, p. 287 ss.; A. Alföldi, Die Spätantike in der Ausstellung "Kunstschatz der Lombardei" in Zürich, in Atlantis, XXI, 1949, pp. 69 ss.; M. A. Hanfmann, The Season Sarcophagus in Dumbarton Oaks, Cambridge 1951, II, n. 449, con bibl.; A. Rumpf, Stilphasen der Spätantike Kunst, Colonia 1957, p. 20; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1946, p. 197; F. W. Volbach, Arte Paleocristiana, Firenze 1958, p. 79, n. 107; G. Gullini, in Mostra Ori e Argenti dell'Italia antica - Catalogo, Torino 1961, pp. 188 e scheda n. 813; M. Cagiano de Azevedo, in Aevum, XXXVI, 1962, pp. 216 ss.; G. A. Mansuelli, in Arte e Civiltà Romana nell'Italia Settentrionale, I, Bologna 1964, pp. 131 ss.; A. M. Tamassia, ibid., II, Bologna 1965, scheda n. 589; D. E. Strong, Greek and Roman Gold and Silver Plate, Londra 1966, p. 198.