PAOLO
(esarca). – Delle vicende biografiche di Paolo, esarca di Italia, a cui le fonti riconoscono debitamente anche il titolo di patricius (Lib. Pont., I, p. 403; Paolo Diacono, 49, 2, p. 348), sono note soltanto le notizie relative al suo esarcato, che si colloca tra il 724-725, anno della nomina imperiale, e il 726-727, anno di morte.
A lui sono attribuiti due sigilli plumbei, uno rinvenuto negli scavi della Domus Augustana sul Palatino (Bartoli 1947-48, fig. 1, p. 273) e l’altro conservato nel medagliere vaticano (Laurent, 1962, n. 102), i quali presentano entrambi l’invocazione mariana nel monogramma cruciforme del recto e riportano la sua completa titolatura nel verso: «Paulō patrik[iō] [kai] exarchō » (Laurent, 1962, n. 102, pp. 103 s.).
Tra le fonti che lo consegnano alla memoria storica, la più ricca di informazioni è sicuramente la biografia di papa Gregorio II nel Liber Pontificalis (I, pp. 403-405), in cui si riporta che Paolo fu inviato nella provincia d’Italia verosimilmente da Costantinopoli in opposizione al pontefice.
Il patricius Paolo, infatti, investito dei pieni poteri sia per l’amministrazione civile che per quella militare, giunse nella capitale dell’Esarcato, Ravenna, intorno al 724-25, con l’ordine dell’imperatore Leone III l’Isaurico di destituire Gregorio II e di sostituirlo con un altro papa. La causa di tale disposizione era stata il forte disaccordo tra l’imperatore e il pontefice in merito alla politica fiscale promossa da Leone III tra il 723 e il 724.
La riforma tributaria, di cui nelle fonti si accenna soltanto (Lib. Pont., I, p. 403; Theoph., 5-6, p. 404), sia che riguardasse un aumento dell’imposta fondiaria o una ulteriore tassa anche sui beni ecclesiastici, sia che consistesse in un differente sistema di riscossione del fisco imperiale, avrebbe procurato una considerevole penalizzazione economica per la Chiesa di Roma, a cui Gregorio II si oppose categoricamente, nonostante Paolo avesse tentato di assoggettarlo con diversi metodi di coercizione come riferito nel Liber Pontificalis (I, p. 403: «Paulus vero exarchus imperatorum iussione eundem pontificem conabatur interficere, eo quod censum in provincia ponere praepediebat, ex suis opibus ecclesias denudari, sicut in ceteris actum est locis, atque alium in eius ordinare loco»).
Giunto sulla Penisola, Paolo, riscontrando un clima di generale resistenza alle riforme imperiali, dapprima non osò agire in prima persona contro il pontefice, ma appoggiò il complotto per il suo assassinio, organizzato dal dux romano Basilio, dal chartularius Giordano e dal suddiacono Giovanni Lurion, i quali precedentemente avevano ricevuto l’assenso anche da parte dello spatharius imperiale Marino, inviato a Roma da Costantinopoli.
Il complotto contro Gregorio II fu, però, sventato: Giordano e Giovanni Lurion furono trucidati e il duca Basilio fu rinchiuso in un convento, dove finì i suoi giorni indossando l’abito monastico. L’esarca, incalzato probabilmente dalle pressioni che giungevano dal Palazzo imperiale, non abbandonò il progetto della cospirazione antipapale e di nuovo appoggiò un anonimo spatharius inviato presso la Chiesa di Roma con l’ordine di deporre il pontefice. Fu in queste circostanze che Paolo spedì a Roma un suo comes con alcune milizie, reperite faticosamente tra Ravenna e i castra circostanti, ma la spedizione, mossa dalla capitale dell’Esarcato, venne bloccata al ponte Salario e costretta alla ritirata dall’esercito del Ducato romano e da alcuni contingenti longobardi della Tuscia e di Spoleto, alleatisi per la difesa del pontefice. L’ostilità divenne insanabile quando si estese anche sul piano religioso a causa della lotta contro il culto delle immagini promossa dall’imperatore bizantino a partire dal 726 e poi formalizzata attraverso un editto soltanto nel 730 (G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino 1968, p. 189).
La disposizione iconoclasta nelle lettere che Leone III indirizzò a Gregorio II acuì ulteriormente l’atteggiamento sedizioso del pontefice, che invitò tutta la comunità ecclesiastica in Occidente a rigettare le iussiones imperiali a suo giudizio empie. Dapprima insorsero le truppe della Pentapoli e del Veneto, le quali rifiutando gli ordini dell’esarca elessero, invece, nuovi duchi con pieni poteri e in completa autonomia dall’ordinamento gerarchico bizantino, arrivando a progettare perfino la nomina di un nuovo imperatore da insediare a Costantinopoli.
Poco dopo Ravenna divenne teatro di scontri armati tra la fazione filobizantina e quella fedele al pontefice, durante i quali rimase vittima lo stesso Paolo secondo una datazione incerta che colloca la notizia tra il 726 e il 727.
Agnello di Ravenna informa che subito dopo la morte dell’esarca l’imperatore bizantino, probabilmente per vendicare il crimine commesso dalle forze favorevoli al pontefice che ormai avevano preso il sopravvento sulla città, inviò verso le coste dell’Esarcato una spedizione militare al comando di uno stratego, la quale venne annientata dalle truppe ravennati presso il «campum Coriandri» il giorno dei Ss. Giovanni e Paolo probabilmente del 727 (Agn., c. 153, p. 377, 1-22).
Buona parte della storiografia ritiene attualmente che l’identificazione dell’esarca Paolo con l’omonimo personaggio che nelle fonti greche è attestato come chartularios presso la corte imperiale di Costantinopoli nel 717 e come strategos in Sicilia nel 718 (Theoph., p. 398, 12-14: «Paũlon, tòn oikeĩon autoũ chartoulárion […] patríkion kaì stratēgòn Sikelías»; Nikeph., 55, pp. 124 s.; Sym. Mag., p. 185; Georg. Mon. col. 925B; Georg. Cedr., p. 791, 4-12; Ioan. Zon., XV, 2, pp. 254 s., 5-9) sia molto verosimile.
Il patrizio Paolo fu infatti nominato cartulario privato di Leone III l’Isaurico a Costantinopoli, probabilmente nel 717, quando quest’ultimo salì al trono; l’anno successivo fu inviato in Sicilia con la carica di stratego in seguito agli sconvolgimenti generati dall’azione sovversiva dello stratego Sergio, il quale, approfittando dell’assedio arabo di Costantinopoli, aveva proclamato l’indipendenza dell’isola con l’elezione di un proprio imperatore. L’ipotesi più attendibile sarebbe quella secondo la quale proprio l’esito vittorioso dell’incarico in Sicilia dello stratego Paolo si sarebbe tradotto a suo vantaggio nella promozione a esarca di Italia (Laurent, p. 104; PmbZ, n. 5815).
Completamente priva di basi documentarie – e pertanto da respingere – è l’identificazione di Paolo con il mitico primo doge di Venezia, Paoluccio Anafesto, personaggio fittizio eletto secondo la tradizione intorno al 697; ciò in virtù dell’esistenza documentaria di un duca di nome Paulicius, dal quale si sarebbe potuta generare tale ambiguità (J.J. Norwich, Storia di Venezia. Dalle origini al 1400, Milano 1981, p. 28).
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