VENINI, Paolo
– Nato a Cusano Milanino (Milano) il 12 gennaio 1895, figlio di Celestino e di Giuseppina Todeschini, crebbe – insieme ai tre fratelli e alle due sorelle – in una famiglia benestante, essendo il padre un proprietario terriero.
Dopo essersi laureato in legge a Pavia e aver lavorato per qualche tempo presso uno studio notarile, fu nominato ufficiale di compagnia nella laguna di Venezia durante la Grande Guerra. Per un breve periodo si interessò anche di aviazione civile e di arte antica.
Al ritorno dal conflitto venne a contatto con l’ambiente del vetro tramite il veneziano Giacomo Cappellin, titolare di un negozio di antichità a Venezia e a Milano. L’incontro con l’antiquario segnò un passaggio fondamentale per la sua ‘iniziazione’ e verso la fine del 1921 – insieme a quest’ultimo, a Luigi Ceresa ed Emilio Ochs – venne fondata a Murano la VSM (Vetri Soffiati Muranesi) Cappellin Venini & C. Il pittore Vittorio Zecchin fu incaricato di seguirne la direzione artistica e a lui si devono le eleganti forme d’ispirazione rinascimentale e quattrocentesca realizzate in quegli anni. Alla prima Esposizione internazionale di arti decorative di Monza del 1921 venne subito sancita l’impronta di rottura proposta dalla neofondata vetreria muranese, che ottenne importanti premi e riconoscimenti, pari a quelli riscossi anche l’anno successivo alla Biennale d’arte di Venezia.
Nel 1923 Venini sposò Ginette Gignous, con la quale ebbe due figlie, Laura e Anna. Dopo il matrimonio la coppia si stabilì a Venezia, città della quale il giovane avvocato si era innamorato fin dai tempi della prima guerra mondiale. Negli anni di collaborazione con Cappellin il timone della società rimase fermamente in mano a quest’ultimo, mentre l’imprenditore milanese si dedicò alla promozione aziendale e all’organizzazione della rete commerciale. Aprì negozi a Venezia, Milano, Roma, contrattualizzando agenti e concessionari in molte città europee e maturando parallelamente importanti legami con intellettuali, architetti, artisti. Venini creò così il terreno ideale per le sue future relazioni, sia in Italia sia all’estero. Nella primavera del 1925 i due imprenditori decisero di sciogliere la VSM, nonostante il successo conseguito all’Esposizione di Parigi dello stesso anno, cui seguì l’assegnazione del Grand prix a Zecchin, con la società ormai chiusa. Cappellin aprì una propria ditta; continuando la sua collaborazione con Zecchin a Venini restò invece la fornace muranese e il 1° giugno 1925 ripartì con i negozi e l’organizzazione commerciale da lui creata. Fu così fondata a Murano la vetreria Vetri Soffiati Muranesi Venini & C. insieme a Napoleone Martinuzzi, Francesco Zecchin, Ruggero Maroni e Alberto Francini. In capo alla direzione artistica lo scultore Martinuzzi, all’epoca direttore del Museo del vetro di Murano. L’amministrazione era in mano a Paolo Venini, detentore di una quota societaria maggiore rispetto al resto della compagine.
I cataloghi ufficiali dell’epoca testimoniano la produzione del periodo dando conto di una linea di continuità con quella definita da Vittorio Zecchin all’epoca della VSM, al punto da rendere difficile una differenziazione di stili tra le due vetrerie. Le tendenze produttive principali, evinte dal Catalogo Blu furono all’epoca dettate da un duplice ordine di interesse: la riproposizione parziale di forme e modelli già ideati insieme a Zecchin, ma anche i nuovi vetri ‘moderni’ – studiati via via da Martinuzzi fino al 1931 – che si contraddistinsero per modalità e caratteri compositivi vicini alle nuove tendenze plastiche di stampo novecentista.
La strategia aziendale della vetreria fu impostata nel segno della tradizione, ma anche di una forte spinta verso le novità e il rinnovamento del prodotto. Alla Biennale di Venezia del 1928 si presentarono infatti con una serie di pezzi rivoluzionari («pulegosi»), caratterizzati dall’inclusione di innumerevoli bolle d’aria all’interno della massa vetrosa. Fu questo il periodo della vera e propria svolta per la fornace e anche per Venini, fortemente legatosi nel frattempo all’ambiente degli architetti milanesi e divenuto figura cardine del gruppo Il Labirinto. Già avviato nel 1927 insieme a personaggi quali Tomaso Buzzi, Emilio Lancia, Michele Marelli, del gruppo era elemento di spicco anche Gio Ponti, architetto e buon amico di Venini, che appoggiò costantemente il lavoro della VSM Venini & C., soprattutto attraverso articoli pubblicati su Domus, rivista da lui fondata nel 1928, sulle cui pagine l’imprenditore apparve e venne elogiato in diverse occasioni negli anni a seguire.
Il 28 gennaio 1932 la VSM Venini & C. fu messa in liquidazione a causa di un forte passivo in bilancio, determinato dalla profonda crisi economica seguita al crollo della borsa di New York nel 1929. Venini ripartì nel giro di qualche mese alla guida esclusiva di una nuova compagnia, denominata Venini s.a., che mantenne l’attività produttiva nei medesimi locali. In seguito all’ingaggio di Tomaso Buzzi l’identità della nuova azienda si arricchì per l’inserimento a catalogo di innovative serie di oggetti in asse con le più esigenti richieste del mercato. Prodotti simbolo, frutto di questa breve cooperazione, furono i vetri ‘incamiciati’, realizzati a più strati di colore. Tra il 1932 e il 1933 vennero inoltre messe a punto nuove colorazioni, con tonalità sfumate ed estremamente variabili alla luce (laguna, alba, alga e tramonto). Sempre nel 1932, iniziò a collaborare con la fornace anche l’architetto Carlo Scarpa. Venini ne intuì subito l’eccezionale talento e l’architetto assunse il ruolo sempre più articolato di ispiratore e interprete progettuale delle idee dell’avvocato e insieme pervennero a inattese e quanto mai felici soluzioni formali e tecniche che permisero alla fornace di distinguersi da tutte le altre.
Furono infatti realizzati vetri artistici di grande successo commerciale, ma vennero anche brevettati dei sistemi di illuminazione per le Ferrovie dello Stato e le Poste italiane, enti con cui Venini sottoscrisse importanti contratti.
Con l’arrivo di Scarpa il catalogo aziendale giunse a un’idea uniforme e condivisa: presenti i numerosi pezzi che insistevano sulla rivisitazione delle tradizioni antiche (filigrane e murrine), realizzati con l’uso di particolari tecniche di lavorazione a caldo, ma anche quelli molati e incisi, che inaugurarono la stagione dei decori a freddo, rimeditando peraltro alcune forme prese a prestito dall’arte orientale. Basti qui ricordare le mezze filigrane (1934-36), i vetri sommersi a bollicine (1934-36), i lattimi (1936), i velati e gli iridati (1940) e infine i laccati bicolori (1940), ispirati proprio alle lacche cinesi. Le Biennali veneziane e le Triennali milanesi a partire dal 1932 e fino al 1942 servirono come sempre per esibire la straordinaria capacità innovativa acquisita dall’azienda e dai suoi progettisti, accanto ai quali Venini intervenne anche personalmente, contribuendo all’ideazione di nuove tipologie di vetri, come per esempio le murrine romane (1936), ideate in stretta sinergia con Scarpa. A Venini si deve poi la serie dei Diamante o brillantati (1934-36), oggetti di grosso spessore in vetro trasparente (cristallo diamante) con spesse nervature incrociate che successivamente furono utilizzate anche nell’illuminazione.
Nel corso degli anni Venini diresse la vetreria affiancato anche dal fratello Franco, chimico incaricato della composizione dei colori, ma poté sempre contare su maestri di fiducia. Risale inoltre a questi anni la Campagna d’Africa, per la quale fu chiamato nel 1936 prima a Palermo e poi a Napoli, e successivamente congedato per aver dimostrato la necessità della sua industria allo sforzo bellico. Sul finire degli anni Trenta e in quelli a seguire si avvicendarono al suo fianco architetti e artisti con cui realizzò progetti su commissione sia pubblica sia privata. In particolare nella seconda metà degli anni Trenta ingaggiò la ceramista svedese Tyra Lundgren, che riscosse grandissimo successo con una fortunata serie di vetri a forma di pesci, uccelli e diverse foglie, alla Biennale di Venezia del 1938. La collaborazione con la ceramista venne però interrotta a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale, ma riprese nel 1948. In questo lasso di tempo la ragione sociale della ditta fu modificata in Venini S.p.a. che, per far fronte alle difficoltà sopraggiunte a causa del conflitto, mise in produzione bulbi in vetro per lampadine e contenitori farmaceutici (flaconi e provette) prodotti fino al 1947-48. Per limite d’età Paolo Venini non fu richiamato alle armi durante la seconda guerra mondiale e si dedicò esclusivamente all’azienda e nel 1948 si presentò alla Biennale veneziana con una serie di dodici figure ispirate alla commedia dell’arte, ideate da Fulvio Bianconi, illustratore e designer di origine veneta. Seguirono poi i vasi pezzati, esposti per la prima volta alla Triennale del 1951 e destinati a segnare la storia dell’arte vetraria muranese. Questi anni si rivelarono tra i più felici di tutta la storia aziendale, arricchendo il catalogo di ulteriori novità e consolidando la fama di Venini quale figura di spicco dell’arte vetraria nel mondo. Nel frattempo i vezzi e le stravaganze di Bianconi divennero il simbolo della grande originalità della fornace veneziana.
Emblema dell’azienda e frutto del diretto apporto progettuale dell’avvocato stesso è il vaso fazzoletto (1949-50), ideato in stretta cooperazione con Bianconi.
Proposto poi a catalogo in diversi colori e dimensioni, costituisce un oggetto-simbolo della Venini nel mondo ed è tutt’oggi considerato un classico del design del vetro. Nel 1951 la IX Triennale di Milano dedicò un intero padiglione al vetro muranese in cui la vetreria Venini presenziava con un numero davvero cospicuo di opere: dai pezzi storici come le murrine opache di Scarpa del 1940, ai fazzoletti, fino ai vetri zanfirici, dovuti proprio al talento dell’avvocato stesso.
A partire da questo periodo Venini orientò sempre più la produzione nel segno della ricerca e della sperimentazione, ideando originalissime linee (gli opalini, i pesanti, le murrine a dame, a mezzaluna, a puntini) e avviando nel tempo collaborazioni con numerosi artisti, designer e architetti tra i quali Piero Fornasetti, Eugene Berman, Ken Scott, Riccardo Licata, Charles Lyn Tissot.
Risale al 1954 o comunque alla metà del decennio, la produzione di una serie di vetri (zanfirico reticello e mosaico zanfirico) eseguiti secondo precise indicazioni progettuali dello stesso Paolo Venini per i quali richiese l’utilizzo della tecnica del vetro mosaico e mosaico a tessuto multicolore presentata a Venezia e Milano nel 1954. Nello stesso anno e sempre a Milano e Venezia si videro anche i vasi con murrine a mezzaluna rielaborati poi per la successiva edizione della Triennale del 1957. Nel 1956 sempre a Venezia fu la volta degli inediti vetri incisi, debitori dell’influenza del design scandinavo che si andava affermando.
Alla stessa Biennale furono inaspettatamente accettate dalla commissione anche alcune lampade disegnate dal giovane Massimo Vignelli che già nel 1953 era stato contattato da Venini per occuparsi di illuminazione.
Tra gli avvenimenti degni di nota del 1956 va ricordata inoltre l’apertura del negozio Olivetti a New York, per il quale la Venini realizzò un innovativo sistema d’illuminazione.
In occasione della XI Triennale del 1957 vennero poi presentati dei lampadari composti da numerosi tubi di vetro colorato disposti a spirale. Fu inoltre esposta una rivoluzionaria tipologia di vetrata policroma, priva di legatura a piombo. Partecipò all’ideazione di tutti questi manufatti anche l’architetto Franco Albini. L’azienda ormai orientata verso il settore dell’illuminazione, esplorò in particolare le potenzialità compositive degli elementi modulari soffiati a stampo. Nel 1957 il giovane architetto Tobia Scarpa disegnò nuove tipologie di vetri per Venini, tra cui la serie Occhi.
Innumerevoli, infine, le cariche ricoperte da Paolo Venini negli anni presso prestigiosi istituti statali d’arte italiani, scuole superiori, camere di commercio, associazioni industriali, centri studio. Promosse infine la creazione a Murano della Stazione sperimentale del vetro.
Morì a Venezia il 22 luglio 1959.
Fonti e Bibl.: Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Archivio del Centro studi del vetro; Verona, Museo di Castelvecchio, Archivio Carlo Scarpa.
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