SCALABRINI (Scalabrin), Paolo
SCALABRINI (Scalabrin), Paolo. – Nacque intorno al 1719 (l’atto di morte, 23 febbraio 1806, gli attribuisce circiter 87 anni), probabilmente a Verona (nel 1781 e 1784 gli atti della Compagnia di S. Cecilia di Lucca lo dicono «veronese»): il che spiega la forma apocopata del cognome come figura nei libretti della sua prima composizione nota, il dramma sacro metastasiano Il Giuseppe riconosciuto, dato a Venezia nell’oratorio di S. Filippo Neri nel 1742 (poi ripreso ivi e a Bologna nel 1750; partitura a Venezia, S. Maria della Fava).
Dallo stesso anno il suo nome comparve nei libretti di spettacoli allestiti Oltralpe dalla compagnia operistica del veneziano Pietro Mingotti. I primi drammi di cui gli venne attribuita la musica, «a riserva di alcune arie di diversi autori» (così nei libretti), andarono in scena nel teatro sul Tummelplatz di Graz a Carnevale (Sirbace, dramma di Claudio Nicola Stampa) e a settembre di quell’anno (Oronte re de’ Sciti, Carlo Goldoni); nella stagione 1742-43 seguirono Demetrio (Pietro Metastasio; brani manoscritti attribuiti a Scalabrini sono nell’Istituto di musicologia dell’Università di Colonia), Cajo Fabricio (Apostolo Zeno) e Semiramide riconosciuta (Metastasio). In estate la compagnia diede Siroe re di Persia (Metastasio), Venceslao (Zeno) e Ipermestra (Antonio Salvi) nel Ballhaus di Linz. Ad Amburgo, nella stagione 1743-44, i Mingotti, oltre a riprendere Venceslao, Ipermestra, Siroe (un manoscritto di arie a Berkeley, University of California, Music Library; Strohm, 2005, p. 557), allestirono Artaserse (Metastasio): di questo e di altri quattro pasticci amburghesi confezionati da Scalabrini con musiche proprie e altrui vi è copia alla Biblioteca Estense di Modena (Strohm, 2005, pp. 554 s., 560-568). Gli spettacoli piacquero al principe ereditario di Danimarca, Federico, in viaggio di nozze con la principessa Luisa di Hannover (Müller von Asow, 1917, pp. 27 s.): prima di ritornare a Copenaghen gli sposi gratificarono la compagnia di un regalo di 200 talleri imperiali. Con i Mingotti, nei primi mesi del 1744 Scalabrini lavorò nei teatri di Praga (Adelaide, Salvi; Artaserse e Antigono, Metastasio) e a Lipsia. Di ritorno ad Amburgo in luglio, fino al Carnevale 1745 allestì Adelaide (in collaborazione con Filippo Finazzi) nonché Didone abbandonata, Antigono, Demetrio, Catone in Utica e Semiramide del Metastasio; nella stagione 1745-46 Diomeda (libretto di Francesco Passarini), Arminio principe de’ Cauci e de’ Cherusci (Salvi), La gara o sia La pace degl’eroi (Giovanni Francesco Darbès) e Angelica e Medoro (Metastasio); nel 1746-47 Lucio Vero e Merope di Zeno e Il tempio di Melpomene su le rive dell’Alstra, componimento musicale e coreutico mistilingue di Darbès e d’altri poeti. Dopo Amburgo, Scalabrini lavorò con i Mingotti a Lipsia e a Dresda (Merope, Didone, Demetrio). Ritmi di produzione così frenetici sono tipici della compagnia Mingotti (Polin, 2010), che mediante i ‘pasticci’ assemblati con arie di operisti in voga come Bernasconi, Galuppi, Giacomelli, Graun, Hasse, Jommelli, Lampugnani, Manna, Pergolesi e Vinci propagò e alimentò nei teatri di città dell’impero il culto dell’opera seria italiana (con intermezzi buffi).
Morto Cristiano VI, Federico V e Luisa assursero nel 1746 al trono di Danimarca. Trascorso l’anno di lutto protocollare, il giovane sovrano effettuò un rimpasto degli ufficiali di corte. Appassionato dell’opera italiana, invitò la troupe Mingotti a Copenaghen per la stagione invernale 1747-48. La compagnia arrivò a dicembre. Ne facevano parte Scalabrini e sua moglie, Grazia Mellini (Melini, Milini), una cantante bolognese specializzata negli intermezzi buffi, che doveva aver conosciuto a Dresda (Hochmuth, 2004, p. 223); il matrimonio dev’essere stato celebrato subito prima o subito dopo il loro arrivo nella capitale danese. Mellini, che in alcuni libretti figura come bolognese, era nata nel 1720; in scena ebbe per partner il tenore buffo Pellegrino Gaggiotti. A Copenaghen la compagnia allestì tra l’altro il collaudato Venceslao di Scalabrini, che la coppia regale aveva già applaudito ad Amburgo, e la sua Didone del 1744. La compagnia si congedò nel febbraio 1748, ma Grazia e Paolo Scalabrini restarono a Copenaghen (non senza scorno dei melomani amburghesi; Schütze, 1794, p. 204). La corte danese poté vantarsi di aver trattenuto il ferace Scalabrini e la consorte, acclamata per il virtuosismo canoro e la disinvoltura scenica: da aprile i due, apprezzati anche in concerti da camera, poterono godere dell’alloggio gratuito a spese del sovrano. In luglio Scalabrini ottenne un contratto come maestro di cappella reale con stipendio annuo di 600 talleri, mentre Grazia fu nominata «virtuosa di Corte» a titolo gratuito (Overskou, 1856, p. 61); a fine mese Mellini partorì il primo e unico figlio, battezzato Fridericus Ludovicus Josephus Benedictus.
Negli anni seguenti Scalabrini fu impegnato a comporre e concertare cantate celebrative genetliache (Den foragtede Kierlighed, ossia Amor schernito, per il compleanno della regina, 1748; libretto di Darbès) o epitalamiche (Den medfølgende Kiærlighed, L’amor secondante, 1749; Peder Sparkiær), nonché una cantata per il terzo centenario della famiglia reale (Tak og Bøn for Kongen, Rendimento di grazie e preghiera per il re, 1749; Sparkiær). Accudì anche ai pasticci metastasiani Adriano e Alessandro nell’Indie, allestiti nel 1749.
Tra le altre incombenze, a Scalabrini toccava ampliare il repertorio musicale di corte, anche sul versante strumentale. Nel 1750 compose almeno 24 sinfonie, e ne procurò altre sei di Giovanni Verocai più altre tre dozzine da Amburgo e da Dresda; l’anno dopo ne compose in proprio una dozzina e ne procurò altre 36 da Dresda e Amburgo (Thrane, 1908, p. 91). Anno dopo anno dal 1749 al 1756 (salvo il 1750-51) la compagnia Mingotti fece tappa a Copenaghen in stagioni d’inverno, allestendovi opere di Scalabrini. Nel novembre del 1753 Mingotti portò con sé il giovane Giuseppe Sarti. La corte decise di erigere un nuovo teatro per le opere italiane.
Nell’aprile del 1755, alla fine della stagione invernale, pensionato Scalabrini, Sarti venne ingaggiato come nuovo maestro di cappella. Due mesi più tardi un decreto regio impose a Mingotti di sborsare 600 talleri annui a Scalabrini e moglie fintanto che avessero allestito opere a Copenaghen (Weitemeyer, 1909, p. 57): ma prima della fine dell’anno Mingotti fece bancarotta. Gli Scalabrini rimasero nella capitale, aggregati al Teatro Danese («Den danske Skueplads»).
Nel 1756 il compositore fornì le musiche per Le Sicilien, ou L’amour peintre da Molière (Copenaghen, Biblioteca reale); nel 1758 allestì L’amor premiato, una curiosa opera buffa mista di danese e italiano, in cui comparvero insieme cantanti indigeni e forastieri, con magro successo (fu dismessa alla quarta recita). Essendo ritornato Sarti in Italia nel 1758-61, a Scalabrini venne commissionata la musica di vari eventi, in particolare per il centenario della monarchia assoluta in Danimarca (Geniernes Fest, La celebrazione dei virtuosi, 1760; libretto di Niels Prahl).
Nel frattempo la passione per gli intermezzi buffi era venuta scemando, e il teatro li abbandonò del tutto dopo l’ultima esibizione della Mellini nel 1759 che prese parte come cantante camerale a svariati eventi di corte: nel gennaio del 1759 intervenne nella cantata genetliaca per il principe ereditario Federico (Post-Tidender, 26 gennaio 1759). Tre anni più tardi Scalabrini fu autorizzato a lasciare Copenaghen, ma nel 1767 su richiesta della corte fu richiamato ed ebbe lo stipendio di Sarti, assente fino all’anno dopo. La corte puntava ora sull’opera buffa; ritiratasi dalle scene la Mellini, Scalabrini fu spedito in Italia a ingaggiare cantanti capaci e a procurare partiture per il Teatro Danese (Weitemeyer, 1909, p. 57). Dalle sue lettere risulta che passò da Venezia a Bologna, mettendo sotto contratto tra gli altri Teresa Torre, apprezzata per il suo trillo, e il tenore Michelangelo Potenza (lettere a Copenaghen, Biblioteca reale). La nuova compagnia sbarcò a Copenaghen ai primi del 1768, e in settembre Scalabrini concertò l’orchestra davanti alla regina presentandole la Torre.
Di nuovo nel 1770 Scalabrini fu pensionato, ma con la Torre venne assunto da una società musicale costituitasi di recente, per comporre e dirigere concerti. Avviò una collaborazione con il poeta e drammaturgo Johannes Ewald e produsse undici tra cantate e oratori (come Hedningernes Frelse, La salvezza dei Pagani, 1771, incompiuto) e l’oratorio pasquale Johannes & Maria (1771), che ebbe però esito incerto, anche per la mediocre comprensione del testo danese da parte di Scalabrini (J. Ewald, Efterladte Papirer; Copenaghen, Biblioteca reale, NKS 489 e fol.) e della pronuncia da parte di Teresa Torre. Scalabrini allestì anche due opere nuove, tra cui l’Anagilda (1772; libretto di Girolamo Gigli), severamente criticata per il disinvolto assemblaggio di musiche altrui (Den dramatisk Journal, 1915-1916, n. 7); riveduta nel 1774, l’opera non ebbe miglior esito.
Risale al 1773 il più rilevante contributo dato da Scalabrini all’opera danese, Kiærlighed uden Strømper (L’amore senza ghette; Johan Herman Wessel; partitura a Copenaghen, Biblioteca reale). Si trattava di una parodia della tragédie francese, ma Scalabrini, che non dovette rendersene conto, la musicò alla stregua di un’opera seria; per converso, i cantanti autoctoni, inesperti, fecero una magra figura nel tentativo d’imitare gli italiani nel gesto e negli abbellimenti. L’ilarità dilagò tra gli spettatori, che la presero per una caricatura: la cosa imbufalì i cantanti italiani di stanza a Copenaghen, che accusarono Scalabrini di averli messi alla berlina. L’opera, recensita come «pièce accattivante e spassosa ripiena di un’ironia sorgiva e di satira nordica» (Den dramatiske Journal, 1915-1916, n. 19), fu poi ripresa anno per anno fino al 1783 e saltuariamente dipoi. Nel 1774 Scalabrini compose un Prologo per le nozze dell’erede al trono (1774, libretto di Ewald; partitura a Copenaghen, Biblioteca reale).
Nel 1775 Sarti fu espulso dal regno: di nuovo Scalabrini fu promosso a maestro di cappella reale. L’opera seguente, Oraklet (L’oracolo, 1776; libretto di Germain-François Poullain de Saint-Foix e Christian Fürchtegott Gellert; partitura a Copenaghen, Biblioteca reale), non incontrò e fu cancellata alla sesta recita. L’interesse per l’opera seria, genere ormai screditato, tramontò; Scalabrini fu inviato in Italia a procurare cantanti buffi (Thrane, 1908, p. 140). Seguirono tre stagioni di opera buffa, ma neanche questo genere attecchì davvero: a detta del sovrano, gli spettacoli non piacquero «né alla corona né al popolo», talché nel 1778 l’opera italiana fu dismessa (p. 140). Gli albori di uno spirito nazionale danese comportarono tra l’altro l’istituzione di una scuola di canto danese, a scapito del canto italiano, tedesco e francese. Perciò di lì in poi a Scalabrini toccò musicare versi danesi. Nel 1777 compose il Balders Død (Morte di Balder), dramma eroico in musica di Ewald, ma riuscendogli oscura la mitologia scandinava, desistette al termine del primo atto; incompiuto, il brano fu eseguito nel gennaio del 1779. L’anno dopo fu decretato che tutti gli impiegati della corte dovessero essere cittadini danesi: Scalabrini, ben inserito nella società cittadina (fu anche affiliato a una loggia massonica), fece domanda di naturalizzazione e l’ottenne.
Il 19 febbraio 1781 fu registrato il decesso di Grazia Mellini, sessantunenne; a Scalabrini fu concessa una pensione annua di 300 talleri. Il Kraks Vejviser, l’indirizzario della capitale, lo registra ancora nel 1782; ma già il 23 novembre 1781 è documentato a Lucca, dove si stabilì una volta giubilato dal servizio danese: lì, tra il 1782 e il 1784, sposò la Torre, rimpatriata a fine 1776.
Scalabrini morì a Lucca il 23 febbraio 1806; fu inumato nella chiesa dei Ss. Giovanni e Reparata nella sepoltura riservata ai sodali della Compagnia di S. Cecilia, alla quale era stato affiliato il 30 gennaio 1784.
In conseguenza dell’incendio che nel 1794 devastò il palazzo reale, Christiansborg Slot, gran parte delle musiche di Scalabrini andarono distrutte. Sopravvive un certo numero di sinfonie (Berlino, Staatsbibliothek; Bruxelles, Conservatoire; Washington, D.C., Library of Congress; Lund, Universitetsbiblioteket; Rheda, Biblioteca dei principi di Bentheim-Tecklenburg, una sinfonia attribuita a «Scalabrine a Venezia») e un pezzo singolo per cembalo (Stoccolma, Musik- och Teaterbiblioteket). Pur nella scarsità e frammentarietà di quanto ne rimane, delle sue opere italiane ci si può fare un’idea in base alle citate partiture dei pasticci amburghesi conservate a Modena, e alle copie di arie favorite vendute alla porta del teatro in occasione delle riprese (molte sono nella Biblioteca reale danese). Se non spiccò per originalità, di certo Scalabrini era versato come inventore di melodie che accattivarono tanto il pubblico cittadino quanto la corte. In un memorandum stilato al momento del rientro in Italia, il direttore del teatro lo descrisse come un musicista «professionalmente perspicace e integro, che di buon grado e amabilmente svolgeva i compiti a lui assegnati» (cit. in Høgel, 1964, I, p. 33).
Scalabrini si riconosce probabilmente tra i musicisti raffigurati nel coperchio di un clavicordo appartenuto alla regina Luisa (dipinto di Peter Cramer, ca. 1750; Maribo, Fondazione Lolland-Falster; K. Neiiendam, Danske teaterhistoriske studier, København 2000, pp. 57-80).
Fonti e Bibl.: Bologna, Museo della musica, I.24.114-116 (lettere del 2 luglio 1775, 25 giugno e 6 luglio 1776 a padre G.B. Martini); København, Rigsarkivet, Christiansborg Slotskirke, Ministerialbog, 31 luglio 1748 (battesimo del figlio di Paolo Scalabrini e G. Mellini); Trinitatis Kirke, Ministerialbog, 19 febbraio 1781 (decesso di G. Mellini); Archivio di Stato di Lucca, Biblioteca Manoscritti, 139: Deliberazioni e Decreti dell’Alma Compagnia di S. Cecilia (1721-1794), libro C, cc. 230v, 231v-232r (23 novembre 1781: contributo volontario di Teresa Torre e Paolo Scalabrini al rifacimento della falsabraca dell’organo); c. 239r (30 gennaio 1784: affiliazione di Paolo Scalabrini); Lucca, Archivio parrocchiale della Pieve S. Stefano, Manuale degli atti per la Compagnia di S. Cecilia (1780-1889), pp. 2 (la Torre consorella), 12 (30 gennaio 1784), 34, 48 (Paolo Scalabrini priore nel 1791), 62; Archivio storico diocesano, Parrocchia di S. Martino: Liber Defunctorum Eccl.ae Cathed.s Lucensis, H (1800-1849), c. 17v; Parrocchia di S. Martino: Stato delle anime della Cattedrale e sue Chiese e Bracci (1765-1784), 80, p. 137, n. 72 (1783 ss.); Parrocchia di S. Martino: Stato dell’anime della Parrocchia di S. Martino, Chiesa Cat. (1785-1807), 81, sub anno 1785, n. 70; 1805, n. 68 (fonti lucchesi cortesemente segnalate e riscontrate da Fabrizio Guidotti).
J.F. Schütze, Hamburgische Theatergeschichte, Hamburg 1794, pp. 193-207; T. Overskou, Den Danske Skueplads, II, Kjøbenhavn 1856, ad ind.; V.C. Ravn, Festskrift i Anledning af Musikforeningens Halvhundredaarsdag, I, Kjøbenhavn 1886, ad ind.; C. Thrane, Fra Hofviolonernes Tid, Kjøbenhavn 1908, ad ind.; H. Weitemeyer, Kendte Navne fra kjøbenhavnske Kunstnerkredse, in Personalhistorisk Tidsskrift, s. 5, VI (1909), p. 57; P. Rosenstand-Goiske, Den Dramatiske Journal (1771-1773), II, a cura di C. Behrens, Kjøbenhavn 1915-1916, nn. 7, 19; E.H. Müller von Asow, Angelo und Pietro Mingotti, Dresden 1917, ad ind.; T. Krogh, Zur Geschichte des dänischen Singspiels im 18. Jahrhundert, København 1924, ad ind.; S. Høgel, P.S. liv og værker, I-II, MA diss., Københavns Universitet, 1964, pp. 1-289; H.J. Marx - D. Schröder, Die Hamburger Gänsemarkt-Oper: Katalog der Textbucher (1678-1748), Laaber 1995, ad ind.; M. Hochmuth, Chronik der Dresdner Oper, 2: Die Solisten, Dresden 2004, pp. 115, 223; R. Strohm, Metastasio at Hamburg. Newly identified opera scores of the Mingotti company, in Il canto di Metastasio, Atti del Convegno..., Venezia... 1999, a cura di M.G. Miggiani, Bologna 2005, pp. 541-571; G. Polin, Mingotti, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXIV, Roma 2010, pp. 623, 625; R. Theobald, Die Opern-Stagioni der Brüder Mingotti, Wien 2015, ad ind.; P. Hauge, Composer, translator and educator: Kapellmeister Scheibe and the emerging liberal market during the second half of the eighteenth century, in Fund og Forskning, LV (2016), pp. 191-195, 203 s.