SANQUIRICO, Paolo
– Nacque verso il 1565 a Trecasali, presso Parma, dal parmigiano Giovan Matteo (Ostrow 1998, pp. 27, 50 nota 4). Non si conosce il nome della madre. Il suo nome potrebbe derivare dalla vicina località di San Quirico.
Del tutto sconosciuti sono gli esordi di Sanquirico. L’unica traccia di una sua eventuale attività a Parma potrebbe essere la menzione di un «Don Paolo Sanquilici», pagato nel 1590 «per aver miniato le lettere maiuscole del privilegio di cittadinanza parmigiana» di due fratelli veronesi (Dallasta, 1994, pp. 362 s.). Tuttavia, allo stato attuale degli studi non è possibile confermare l’identificazione dell’artista, né dunque ipotizzare una sua formazione o attività di pittore.
La maggior parte della sua carriera si svolse a Roma. Vi si sarebbe recato «in età giovanile» (Baglione, 1642, p. 322), ma la cronologia e le circostanze del trasferimento restano da chiarire. La biografia scritta da Giovanni Baglione fa pensare a un suo arrivo precoce nella città pontificia, tuttavia non comprovato da documenti prima del 1606. È stata ipotizzata una collaborazione con Camillo Mariani (circa 1567-1611) sul cantiere delle statue di S. Bernardo alle Terme (1599-1602; Ostrow 1998, p. 28). L’amicizia con il Mariani, evocata da Baglione, svolse verosimilmente un ruolo importante, ma, per valutarne in modo più giusto l’influenza, occorrerebbe conoscere la prima formazione dell’artista. Secondo Baglione, Mariani avrebbe insegnato a Sanquirico l’arte di «far modelli di rilievo», una competenza di certo determinante per il seguito della sua carriera. Ma all’arrivo di Mariani a Roma nel 1597 Sanquirico aveva già 32 anni, un’età troppo avanzata per considerarlo – come si è spesso ripetuto – un mero «allievo»; per giunta, egli era più anziano del suo presunto «maestro». Comunque sia, un apprendistato tardivo nel modellare, mediante un’amicizia con uno scultore, non deve sorprendere nel percorso davvero eclettico di Sanquirico, che anche in tarda età non esitò a sperimentare nuove tecniche.
Baglione ricorda innanzitutto la realizzazione di «ritratti di cera coloriti piccoli», che l’artista eseguiva – a quanto pare – all’epoca del suo arrivo a Roma (1642, p. 323). Unica altra testimonianza di questa produzione, di cui non si conosce nessun esempio conservato, è la tarda menzione di due teste in cera nelle collezioni Ludovisi nel 1623 e nel 1641 (S. Giovanni Battista e S. Caterina; Garas, 1967, p. 346; Wood, 1992, p. 519; Ostrow, 1998, p. 42; Id., 2008, p. 68).
Sotto il pontificato di Paolo V (1605-21) Sanquirico raggiunse l’apice della carriera. Nel 1606 scrisse un Discorso sopra l’inondatione del Tevere, che dimostra una vera ambizione di ingegnere idraulico (manoscritto pubblicato in D’Onofrio, 1982; Ostrow, 1998, p. 33; Segarra Lagunes, 2004, passim). Inoltre, Baglione sostiene che Sanquirico «si dilettava di disegnare di fortificazione, e ne dava lezione; et anche ammaestrava con regole di architettura» (1642, p. 323). Più che un architetto stricto sensu, tuttavia, l’artista pare esser stato un dilettante autodidatta, il cui valore è attestato dal progetto per le rive del Tevere.
Negli stessi anni Sanquirico divenne lavorante (1608-12) e maestro della Zecca (1612-13). S’ignora chi fosse il suo maestro nel campo della medaglistica. In passato si è pensato a Mariani, ma la sua produzione di medaglie, di recente circoscritta agli anni 1608-09 (De Lotto, 2008), parrebbe coeva a quella di Sanquirico. In assenza di testimonianze, è pure da escludere un apprendistato presso Giacomo Antonio Moro (circa 1575-1624), che gli subentrò alla Zecca nel 1613 (Ostrow, 1998, p. 51 nota 33).
Nella medaglistica si esprime ancora una volta la sensibilità di Sanquirico per l’architettura: dal 1608 al 1613 egli produsse infatti una serie di medaglie consacrate ai progetti edilizi di Paolo V (Ostrow, 1998, pp. 30-32).
La sua medaglia più antica (1608) fu concepita per celebrare il progetto della nuova facciata di S. Pietro in Vaticano. Sanquirico sfruttò l’intera superficie per rappresentare la basilica in tutta la sua monumentalità; nonostante le dimensioni ridotte dell’opera, l’artista tradusse le articolazioni dell’architettura modulando sottilmente il rilievo. Sono state colte delle somiglianze con la medaglia di Caradosso per la fondazione del nuovo S. Pietro (1506); del resto, l’attenta osservazione di modelli rinascimentali famosi fu in lui costante anche in seguito (Whitman - Varriano, 1983, pp. 52 s.; Jacobi, 2002, p. 5). Le altre medaglie di Sanquirico dimostrano lo stesso rigore compositivo, legato a una grande richezza dei dettagli: la fortezza di Ferrara appare in una notevole veduta prospettiva (1609; Ostrow, 1998, p. 32), mentre la fontana dell’Acqua Paola è rappresentata in modo strettamente frontale con tutti i particolari dell’architettura (1610; Jacobi, 2002, p. 14). La medaglia del porto di Fano (1613) ricorda i disegni di fortificazioni evocati da Baglione: vi si osservano sia il porto che la sua cinta (Whitman - Varriano, 1983, p. 63).
Le medaglie di Sanquirico erano principalmente fuse, non coniate (Simonato, 2008, p. 13; Ostrow, 2014). L’artista ne produceva talvolta decine di esemplari, da seppellire nelle fondamenta degli edifici (Orbaan, 1920, pp. 303, 306; Corbo - Pomponi, 1995). Ne fuse altre in oro e in argento che funsero da regali diplomatici (1609; Orbaan, 1920, p. 304).
Le medaglie presentano anche dei ritratti di Paolo V, per i quali l’esperienza di ceroplasta fu probabilmente utile al Sanquirico. Con la commissione ulteriore della statua del papa in bronzo, stabilita da un contratto rogato il 13 agosto 1615 con i canonici di S. Maria Maggiore, l’artista poté dimostrare il suo talento di ritrattista su scala monumentale. Steven Ostrow (1998, p. 38) suggerisce che sia stata l’abilità tecnica di Sanquirico nella fusione delle medaglie a motivare i committenti, e aggiunge che l’artista fu forse favorito dal legame con uno dei canonici incaricati del controllo della commissione, Odoardo Santerelli (1549-1620). La sua attività con Mariani costituiva inoltre un probabile argomento a suo favore. L’ambizione di Sanquirico, che volle non solo modellare ma anche fondere la statua, lo distingue dalla maggior parte degli scultori attivi a Roma nei secoli XVI e XVII (Ostrow, 1998, p. 38). Poiché nel 1617 egli fu in contatto con il fonditore Gregorio de’ Rossi, al quale fornì del metallo (Marconi, 2004), viene da pensare che abbia frequentato il milieu dei fonditori romani per perfezionarsi nelle tecniche di fusione. Ciò non impedì un accidente, che, secondo Baglione (1642, p. 323), costrinse l’artista a ripetere la fusione due volte. La statua venne eseguita finalmente nel luglio 1619, e nell’agosto 1620 fu sistemata su un piedistallo marmoreo, in una nicchia della «nuova sacristia» di S. Maria Maggiore (Ostrow, 1998, pp. 34-42; Ferrari - Papaldo, 1999, p. 234).
La statua raffigura il papa benedicente, secondo i modelli del Paolo III di Guglielmo della Porta (S. Pietro in Vaticano, 1551) e del Sisto V di Taddeo Landini (1587, distrutta).
L’opera è menzionata in diverse guide, ma è stata quasi sempre giudicata negativamente (Cicognara, 1824, p. 101; Venturi, 1937). Eppure la fusione è di buona qualità, con dettagli lavorati accuramente (Ostrow, 1998, p. 38; Guido - Mantella, 2015). Il recente restauro (2006) ha confermato che la statua merita di essere considerata tra le sculture più importanti della Roma pre-berniniana.
Nel 1621 Sanquirico collaborò con Giacomo Antonio Moro alla produzione di Agnus Dei (Bertolotti, 1881). Dopo la morte di Paolo V, ricevette un’altra prestigiosa commissione: due statue in argento di S. Pietro e S. Paolo per Gregorio XV (1621-23), realizzate nel 1622, forse per un altare della basilica vaticana (ma andate distrutte; Bertolotti, 1882, p. 101; Ostrow, 1998, p. 42). Sebbene s’ignori se Sanquirico fosse l’autore dei modelli, la commissione costituisce un’ulteriore prova della sua capacità di superare i limiti della sua arte. Si avvicinò così all’oreficeria, ciò che fece di lui uno dei rari maestri del tempo – con il fonditore Domenico Ferrerio (morto nel 1630; Baglione, 1642, pp. 326 s.) – capaci di produrre sia delle statue di bronzo che delle figure in argento.
Nel 1624 venne incaricato di redigere l’inventario di dipinti e sculture di Giuseppe Patrizi con il Cavalier d’Arpino (Fumagalli, 1989, p. 136 nota 9). Lo stesso anno il suo Crocifisso di bronzo è citato per la prima volta nella cappella Sacchetti in S. Giovanni dei Fiorentini (Ostrow, 1998, p. 44).
La ricerca ha in parte confermato le complesse vicissitudini dell’opera, ricordate da Baglione (1642, pp. 43, 323). Commissionato inizialmente allo scultore Prospero Bresciano dal cardinale Giacomo Savelli (1523-87) per la sua cappella del Gesù, il modello non era completato alla morte dell’artista nel 1593. Per portarlo a termine e fonderlo in bronzo, gli eredi del cardinale si rivolsero l’anno stesso al fonditore Lodovico del Duca, ma le difficoltà economiche dei committenti finirono per bloccare l’impresa. Il testamento di Del Duca, redatto nel 1603, indica che a quella data il modello rimaneva ancora inutilizzato nella sua bottega (Lamouche, 2013, pp. 345-349). S’ignora poi come i Sacchetti lo acquisissero, e come Sanquirico venne coinvolto nell’esecuzione della figura in bronzo (Ostrow, 1998, p. 43). È probabile che l’artista godesse di una bella reputazione nel campo della fusione dopo lo svelamento della statua di Paolo V nel 1620. A tal proposito, si deve notare che l’ornamento della cappella Sacchetti non venne cominciato prima di quell’anno. Baglione considerava il Crocifisso l’opera migliore dell’artista; tuttavia il contratto di Del Duca nel 1593 precisava che il fonditore doveva portare a termine «la testa, le braccia, li fianchi, li ginocchi, le gambe e piedi» del modello, sicché ci si deve interrogare sull’estensione dell’intervento di Sanquirico prima della fusione (Lamouche, 2013, p. 348).
Nel corso della sua vita, Sanquirico seppe trovare importanti protettori. Le sue ambizioni intellettuali e sociali lo indussero a entrare in cerchie come quella del cardinale Giovanni Battista Deti fin dal 1611 e, negli anni Venti del Seicento, quella del cardinale Maurizio di Savoia (Ostrow, 1998, pp. 44-47). Cofondatore dell’Accademia degli Ordinati, Deti gli commissionò una medaglia e lo nominò canonico di S. Maria in Cosmedin (1611). Forse lo aiutò inoltre a ottenere, a una data sconosciuta, l’ufficio di «bussolante» del papa (ibid.). Dal 1626 Sanquirico appartenne all’Accademia dei Desiosi del cardinale di Savoia, e insegnò il disegno ai suoi paggi (1627; ibid.). L’artista era inoltre membro dell’Accademia di S. Luca (Missirini, 1823).
Nel 1629 progettava di tornare a Parma, dove lo aspettava un canonicato, ma la morte lo colse a Roma nel 1630 (Ostrow, 1998, p. 48).
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