ROASENDA, Paolo
ROASENDA, Paolo (in religione Mariano da Torino). – Nacque il 22 maggio 1906 a Torino da Giovanni Battista, magistrato, e da Angela Rustichelli.
I genitori, entrambi originari di Cuneo, lo battezzarono nella parrocchia dei Ss. Filippo e Giacomo, ora S. Agostino, con i nomi di Paolo Mario Luigi Francesco. Nel 1912 all’età di sei anni ricevette i sacramenti della comunione e della cresima. Maturò la sua religiosità in primis nel contesto famigliare. Trascorse molto tempo con i nonni paterni e le zie, in particolare con la zia Costanza Grosso Roasenda, terziaria francescana, a cui fu molto legato e con la quale intessé uno scambio epistolare. A undici anni nella parrocchia di S. Maria del Carmine, dove nel frattempo si trasferì assieme ai genitori, abitando in via Garibaldi 38, si iscrisse all’Azione cattolica nel circolo Beato Amedeo di Savoia e successivamente al Terz’ordine francescano, facendo la professione il 27 agosto del 1936. Sempre adolescente, entrò in contatto con il gesuita Pesso e con il suo Circolo dell’Immacolata, pensato dai gesuiti proprio per gli studenti delle scuole pubbliche di Torino. Vi prese parte attivamente, diventando negli anni animatore. Nel 1917 si iscrisse al liceo classico Cavour, a Torino, e nel 1923 alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, per una marcata vocazione all’insegnamento, che già sentiva molto forte. Si laureò in lettere classiche il 14 dicembre del 1927 con una tesi dal titolo Pagine costantiniane. Ricerche storiche sui primi anni del regno di Costantino (306-313 a.C.), relatore Gaetano De Sanctis, storico dell’antichità e allievo di Karl Julius Beloch, che nel dopoguerra sarebbe divenuto presidente dell’Istituto della Enciclopedia Italiana e senatore a vita, ma che quattro anni dopo quella sessione di laurea, nel 1931, venne deposto per aver rifiutato il giuramento di fedeltà al regime fascista. Padre Pesso, De Sanctis e il teologo Carlo Gianolio costituirono dei punti di riferimento importanti per la sua formazione.
Nell’anno scolastico 1928-1929 fece il suo ingresso professionale nel mondo della scuola come professore di lettere greche e latine, diventando il più giovane d’Italia a salire in cattedra. Il lavoro lo portò in diverse città: prima a Gorizia, poi dall’anno scolastico 1929-1930 fino al 1934 a Pinerolo, professore al liceo classico, dove aveva chiesto il trasferimento. Fu in quel periodo che lesse, rimanendone colpito, Storia di un’anima di s. Teresa di Lisieux, che, assieme a L’imitazione di Cristo, furono i testi che più assiduamente rileggeva. In quegli anni iniziò anche la sua attività di pubblicista, sulla rivista mensile Ars Italica, sul settimanale diocesano L’armonia, sulla Rivista dei giovani, sul settimanale religioso Il giovane Piemontese; scrisse per la rivista torinese di studi filologici di letteratura cristiana antica Didaskaleion due articoli, uno su Decio e i libellatici (1927), uno su Il mimo romano in Genesio (1929), poi nel 1932 per la casa editrice piemontese Sei, un commento alle epistole di Quinto Orazio Flacco, ristampato numerose volte fino alla metà degli anni Cinquanta e nel 1935 per Aevum l’Epistulae ad Diognetum XI-XII capita adnotatio.
Dopo aver conosciuto la Compagnia di S. Paolo del cardinal Ferrari e aver svolto l’attività di propagandista delle attività editoriali, entrò in contatto con i missionari della regalità di Cristo, il sodalizio fondato nel 1928 da padre Agostino Gemelli e costituito da laici consacrati. Incontrò personalmente Gemelli e Olgiati, con cui si confrontò e, nella Pasqua del 1933, chiese di consacrarsi, rimanendovi fino al 1938. Accanto all’attività di insegnante, affiancò anche un intenso impegno come conferenziere e animatore di gruppi di preghiera.
Dal 1934 iniziarono una serie di trasferimenti che dal Piemonte lo portarono a esercitare la professione nelle scuole laziali: nell’anno scolastico 1934-1935 insegnò infatti ad Alatri, a Frosinone; l’anno dopo, al liceo Umberto I a Roma e nel 1936-1937 al liceo Mamiani, dove rimase fino all’anno scolastico 1940-1941. In marzo chiese e ottenne l’aspettativa dalla scuola; venne dichiarato dimissionario d’ufficio il 7 maggio 1942 «per non aver ripreso servizio alla scadenza dell’aspettativa» (Pagine costantiniane. Ricerche storiche…, p. 8), per la vocazione che maturò tardivamente, frutto di un lungo cammino graduale.
Accanto all’opera come insegnante, continuò sempre in parallelo anche la sua intensa attività nell’associazionismo: il 23 novembre 1937 il cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani, vicario di Roma, lo nominò presidente della Gioventù italiana di Azione cattolica (GIAC) di Roma, in sostituzione a Salvatore Salvatori, diventato nel frattempo presidente di giunta. Rimase presidente fino alla sospensione della presidenza laicale, nel 1939, anno in cui tornò a ricoprire tale carica Salvatori.
Verso la fine del 1939, oramai trentatreenne, anche su consiglio del suo direttore spirituale, si fidanzò per una decina di mesi. Pur nel riserbo mantenuto rispetto a quei momenti, la scarna testimonianza dell’allora fidanzata rivela come fosse comunque evidente la strada scelta da Roasenda.
Il 28 dicembre 1940 Roasenda fece infatti domanda per l’ammissione nell’ordine dei cappuccini, con una lettera di presentazione del padre Ottavio da Alatri, ministro provinciale dei cappuccini di Roma. Due settimane dopo iniziò il noviziato nel convento di Fiuggi: cambiò nome, secondo la prassi, facendosi chiamare padre Mariano da Torino, per la sua devozione a Maria, e l’11 gennaio 1942 iniziò ad indossare il saio. Si avviò così verso le tappe usuali che la sua scelta comportava: il 12 gennaio emise i voti temporanei per tre anni, seguì un corso di filosofia scolastica nel convento di Alatri, per poi trasferirsi in settembre in quello di via Vittorio Veneto a Roma, dove fino al 1947 seguì i corsi all’Angelicum. Si laureò il 30 novembre 1949 con una tesi su Essenza e valore dell’umiltà nella vita interiore, pubblicata nel 1988 da L’Italia francescana, l’anno in cui sarebbe stata istituita la commissione diocesana per la causa di beatificazione.
L’11 febbraio del 1945 venne ammesso alla professione solenne dei voti religiosi e cinque mesi dopo, il 29 luglio, venne ordinato sacerdote, in S. Maria in Campitelli, a Roma, da monsignor Traglia, vicegerente di Roma. Quello stesso anno fu nominato cappellano del carcere di Regina Coeli e poi all’ospedale psichiatrico di S. Maria della Pietà, nell’omonima piazza, in zona Monte Mario. L’anno scolastico 1945-1946 fu anche quello che segnò il suo ritorno dietro a una cattedra, nel liceo dove aveva già esercitato la professione di insegnante, il liceo Mamiani, nei panni questa volta del professore di religione. Iniziò anche una intensa attività di apostolato, sotto varie forme: conferenziere, predicatore, organizzatore di ‘Settimane del Vangelo’, nonché pubblicista, impegnandosi, per tutta la sua vita, nella produzione di opuscoli per lo più a carattere catechetico. Firmò anche qualche recensione per la Rivista francescana con lo pseudonimo di Fra’ Simplicio. In questi anni inoltre assunse incarichi direttivi: da novembre del 1947 fu nominato vicedirettore del convento di Viterbo, dove insegnava dogmatica e apologetica agli studenti, e cappellano nell’ospedale S. Spirito in Sassia, dove rimase fino al 1950.
La ricerca di nuove forme di apostolato lo portò ad avvicinarsi prima alla radio e poi alla televisione, diventando il suo vero carisma. Pur non essendo uno studioso di comunicazione o di media, la grande capacità comunicativa che lo caratterizzava, dovuta anche agli anni di insegnamento nelle scuole, lo fecero diventare un vero «apostolo del video».
Dopo l’esperienza di apostolato in radio, in particolare dai microfoni di Radio Vaticana dal 1950 al 1954, con la rubrica Quarto d’ora della serenità, e da quelli della Rai, con le conversazioni nelle rubriche Casa serena e Sorella radio, il pulpito dal quale più si spese fu la neonata televisione italiana, che lo vide impegnato dal gennaio 1955 al marzo del 1972. Furono i superiori a segnalarlo nel dicembre del 1953 come possibile conduttore di una rubrica religiosa. Venne scelto tra una rosa di venti potenziali candidati. In quelle settimane gli fu affidato anche il commento della messa di mezzanotte del Natale del 1953, trasmessa in via sperimentale da quella Rai che stava ultimando le prove tecniche di trasmissione. L’anno dopo, il 30 gennaio 1955, fece così il suo esordio come conduttore nel programma che lo avrebbe reso una vera e propria star del piccolo schermo, La Posta di padre Mariano, in onda dopo la messa domenicale delle ore 11, all’interno della rubrica Sguardi sul mondo, a cadenza mensile. Il successo di tale trasmissione portò poi la dirigenza Rai a trasformarla dal 1° maggio in una rubrica autonoma, dal 1° gennaio 1956 in rubrica quindicinale (la prima e la terza domenica del mese) e dal 1958 in settimanale. Le trasmissioni continuarono fino al 7 marzo 1972, l’anno della morte. La trasmissione, che negli anni ottenne un grande successo, in sé molto semplice – padre Mariano leggeva le numerose lettere ricevute, con dubbi, richieste di spiegazioni, e le commentava –, lo consacrò come il primo telepredicatore italiano.
Dal 10 febbraio 1958 la Rai decise di assegnargli una seconda rubrica, In famiglia, nella quale il frate francescano passava in rassegna il rapporto tra genitori e figli, l’educazione dei bambini, i rapporti tra i coniugi, la ‘dolce attesa’, la ‘vocazione paterna’, etc. In quell’anno partecipò anche a Telescuola. L’esperienza durò solo per quell’anno scolastico per i già troppi impegni. Nel novembre del 1959 padre Mariano diede vita infatti a un’altra rubrica: Chi è Gesù? L’uomo moderno alla ricerca di Cristo.
Il 21 marzo 1965 iniziò anche la collaborazione con il Radiocorriere TV, all’interno della rubrica Lettere aperte (Risponde padre Mariano e, dal 1966, solo Padre Mariano). In quello spazio, che ebbe fino al 1972, padre Mariano rispondeva in modo sintetico prima mensilmente e poi dal 1966 settimanalmente a dubbi e quesiti sulla fede che gli ponevano i lettori («C’è una spiegazione al peccato della bestemmia?», «Che differenza c’è tra preti e frati?», «Che giudizio dare sulle “lettere a catena”, dette anche lettere di Sant’Antonio?», «Non riesco a pregare senza distrarmi, come si fa a pregare senza distrarsi?»…). Quelle risposte furono pubblicate anche in volumi a partire dal 1968 per le edizioni Cesca.
Il sempre maggiore impegno in televisione di padre Mariano, che diventava di fatto il volto e il simbolo di quella neoprogrammazione religiosa in televisione, rifletteva bene il forte incremento delle trasmissioni religiose nel palinsesto Rai del primo decennio, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi, grazie anche all’intesa tra Rai e Centro Cattolico Televisivo (CCTV). Il suo parlare semplice, la sua figura rassicurante fecero diventare padre Mariano (non casualmente, perlomeno da parte della dirigenza Rai) un vero e proprio personaggio televisivo, un habitué degli schermi della Rai. L’indice di gradimento toccò l’apice tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta; il Servizio Opinioni stimò dagli 8 ai 15 milioni i telespettatori che seguivano le sue rubriche. Fu la quasi ventennale collaborazione con la Rai-Tv a trasformarlo in un vero e proprio volto televisivo, celebre come le star del momento, e quel suo saluto francescano, «pace e bene a tutti», un cult tanto da trasformarlo in un tormentone collettivo. Cifra del successo riscosso dalla sua figura fu anche l’imitazione che ne fece Alighiero Noschese in Doppia coppia. Se la parodia ricalcava comunque l’immagine condivisa che la maggior parte dei telespettatori avevano di padre Mariano, rassicurante e familiare, ben diverso invece era il personaggio che richiamava il frate telepredicatore interpretato da Vittorio Gassman ne I mostri, cinico, presuntuoso, ipocrita; non è difficile immaginare come «la condanna di Risi nei confronti del pulpito televisivo sia totale e senza appello» (Valentini, 2017, p. 196). Anche Achille Campanile lo onorò dedicandogli una delle sue descrizioni icastiche: «L’unica barba della tv, ma uno dei pochi che non sia una barba» (Campanile, 1989, p. 80).
In realtà su padre Mariano e su quel modello di televisione religiosa, non apprezzato da tutti, si giocavano anche altre partite, in primis lo scontro tra la gestione romana (monsignor Albino Galletto e la sua politica del CCTV) e quella milanese (la Consulta ecclesiale televisiva) della televisione, meno incline ad accettare quella versione della religione, fatta di «lepidezze puerili», «risposte piatte e semplicistiche», secondo quanto scrisse Mario Milani ad Antonio Covi il 16 gennaio 1956 (La Spezia, Archivio Nazzareno Taddei, ANT1097), rispettivamente consulente e direttore della Consulta. Nella corrispondenza privata di padre Mariano emergono le preoccupazioni sui tentativi di ostacolare il suo successo, che lui legge come invidie, a partire dal 1960. Tra il febbraio del 1967 e il marzo del 1968 i timori di un avvicendamento del Direttore Generale Rai con un religioso agostiniano lo fanno molto preoccupare. Nonostante le continue apprensioni, le rubriche continuarono ad andare in onda fino alla sua morte; quello che padre Mariano non comprese a fondo di quei tentativi di sostituzione o di riduzione di orario, specialmente dopo il 1964, fu che quel modello di annuncio del Vangelo, dopo il concilio Vaticano II, entrò profondamente in crisi, più legato a un’idea di chiesa pacelliana e dunque lontano dalle nuove forme di evangelizzazione portate avanti.
Per questo suo intenso e lungo apostolato televisivo ricevette diversi riconoscimenti: il Principato di Monaco nel 1958 gli assegnò il premio per la migliore trasmissione religiosa, la Sociedad Española de Radiodiffusion gli attribuì il premio Ondas per il miglior programma religioso trasmesso nel 1960; il 10 dicembre 1966 ricevette dal sindaco di Roma in Campidoglio il Marc’Aurelio d’oro, «in riconoscimento dei meriti conseguiti attraverso le trasmissioni televisive, che costituiscono “un eccezionale bene verso il popolo italiano”» (Padre Mariano, 66 anni morto nella notte a Roma, in La Stampa, 28 marzo 1972), mentre nel 1969 si aggiudicò il premio nazionale di pedagogia Raffaello Lambruschini. Tra il settembre e l’ottobre del 1967 intervenne anche in alcune trasmissioni della radiotelevisione spagnola.
L’annuncio del referendum abrogativo della legge sul divorzio lo vide conferenziere attivo in tutta Italia in difesa della famiglia e pubblicista.
Nel 1971 scoprì di essere affetto da neoplasia primitiva al fegato. Continuò però a comparire in video fino al 7 marzo 1972, quando – stanco e affaticato – andò in onda in quella che sarebbe stata la sua ultima trasmissione. Ricoverato nella clinica romana Quisisana, morì all’età di sessantasei anni venti giorni dopo, il 27 marzo 1972. I funerali vennero celebrati da monsignor Ugo Poletti, vicegerente della diocesi, nella basilica di San Lorenzo. Il 16 febbraio 1985 la salma fu traslata dal cimitero romano del Verano alla chiesa dei cappuccini in via Vittorio Veneto, il quartiere del convento dove aveva vissuto per diversi anni. Il 5 luglio 1988 venne istruito il processo diocesano della causa di canonizzazione. I lavori della commissione si chiusero l’11 maggio 1991. La positio venne redatta dal vice postulatore padre Corrado Gneo e firmata dal relatore della causa, padre Ambrogio Eszer il 29 giugno 1996. Dieci anni dopo venne espresso parere favorevole per il riconoscimento delle virtù eroiche del Servo di Dio. Il 19 febbraio 2008 la Congregazione per le cause dei santi riconobbe la excellentia vitae e papa Benedetto XVI il 15 marzo lo dichiarò venerabile.
Opere. Per l’elenco completo delle opere si rimanda ai nove volumi delle Opere Complete di Padre Mariano da Torino, I-IX, Roma 2007-2012. La tesi di laurea è stata pubblicata come P. Roasenda, Pagine costantiniane. Ricerche storiche sui primi anni del regno di Costantino (306-313 d.C.), Roma 1991, dove è possibile trovare un elenco della bibliografia di Paolo Roasenda/padre Mariano. Per la bibliografia, si rimanda anche a R. Cordovani, Approccio bibliografico su Paolo Roasenda (1906-1940) – P. Mariano da Torino (1941-1972), in R. Cordovani et al., Progetto cristiano e comunicazione. Padre Mariano da Torino, Supplemento al n. 6/95 di La Posta di Padre Mariano, Viterbo 1995, pp. 60-95.
L’archivio di padre Mariano è conservato nel Convento dei Cappuccini di via Veneto a Roma.
Fonti e Bibl.: La Spezia, Archivio Nazzareno Taddei, parzialmente consultabile sulla banca dati del progetto I cattolici e il cinema in Italia tra gli anni ’40 e gli anni ’70, dell’Università di Milano (http://users.unimi.it/cattoliciecinema/view/log.php).
Annuario Rai. Relazioni e bilancio dell’esercizio RAI – Radiotelevisione italiana, Torino 1960; U. Martinucci, Il ricordo di P. Mariano da Torino, in L’Italia francescana, XLVII (1972), 138; M. de Pobladura - E. Bronzetti - M. D’Alatri, Un apostolo del nostro tempo. Padre Mariano da Torino, Roma 1973; D. Mondrone, Padre Mariano da Torino. Testimone e apostolo della santità, in La Civiltà Cattolica, CXXVIII (1977), 2, pp. 247-259; A. Campanile, La televisione spiegata al popolo, Milano 1989, p. 80; M. D’Alatri, Padre Mariano annunciatore televisivo del vangelo, Milano 1990; G. Fiorini, Pace e bene a tutti: padre Mariano da Torino quel primo frate in TV, Cinisello Balsamo 2006; Enciclopedia della televisione, a cura di A. Grasso, Milano 2008, ad vocem; F. Morandi, La via dell’Inferno. Il progetto cattolico nella storia della televisione italiana, Bologna 2009, pp. 58-60; F. Ruozzi, Immagini della fede: radio e TV, in Cristiani d’Italia. Chiese, società, stato, 1861-2011, a cura di A. Melloni, I, Roma 2011, pp. 471-486; P. Valentini, L’immagine della fede sul piccolo schermo. Le rubriche religiose televisive, in Schermi, I (2017), 2, pp. 193-217.