ORSINI, Paolo
ORSINI, Paolo. – Nacque nel 1369, figlio di Francesco, esponente del ramo di Gallese e titolare di beni e castelli in Sabina.
Irrequieti feudatari dei pontefici, che avevano accordato e riaffermato loro la signoria su Torre, San Paolo, Collevecchio, Selci, Montasola sino alla metà del secolo XIV, gli Orsini di Gallese estendevano la propria giurisdizione sia a nord di Roma e nella valle del Tevere, sia nella Sabina. Sebbene la loro presenza in loco risalisse alla seconda metà del Duecento, i loro domini non erano territorialmente unitari e la loro forza non era compatta. Pertanto il legame con la Chiesa di Roma offrì alla famiglia un’ulteriore occasione di promozione sociale e militare.
Fin dalla gioventù Paolo diede ampia dimostrazione del suo valore bellico nonché di diplomatico. Nel 1387 combatté in favore di papa Urbano VI, contrastando il conte di Manoppello. Nel 1390 prese parte alle ostilità contro Sciarra Colonna, opponendosi ai banditi che all’indomani del giubileo insidiavano il patrimonio di S. Pietro. Nell’autunno del 1394, insieme a Mostarda da Strada, sostenne papa Bonifacio IX, costringendo alla fuga la riottosa famiglia Colonna. Il suo contributo risultò fondamentale nel reprimere le azioni di Giovanni Colonna e Onorato Gaetani, sostenitori dell’antipapa Benedetto XIII.
Divenuto presto celebre condottiero d’armi, operò ininterrottamente sui campi di battaglia per circa un ventennio, dal 1396 al 1416. Fu, inoltre, abile gestore delle compagnie di ventura dipendenti dalla sua persona, servendo a vicenda amici e nemici e propendendo alternativamente verso coloro che offrivano accordi più vantaggiosi.
Nel 1396 combatté in Toscana con Ottobono Terzi, in favore di Giacomo Appiani, signore di Pisa e alleato visconteo, opponendosi fieramente a lucchesi e fiorentini. Nel corso del medesimo anno, affrontò i Visconti, ergendosi al fianco dei fiorentini. L’anno 1397 lo vide cambiare ancora padrone, schierato con Alberigo da Barbiano, sceso in guerra contro i fiorentini. Giunto sotto le mura di Siena, ritornò proditoriamente tra le schiere fiorentine, correndo in soccorso dei Gonzaga, in opposizione a Galeazzo Visconti. In seguito, trovandosi a Roma, sostenne Bonifacio IX, riparato a Viterbo a causa delle rivolte popolari in atto. Utilizzando le sue raffinate doti diplomatiche, condusse a buon fine una trattativa con i Colonnesi, agevolando il ritorno del pontefice e ponendosi al suo servizio (marzo 1398). Di lì a poco, in concomitanza con l’uccisione a Perugia di Biordo dei Michelotti, unitosi a Mostarda da Strada e Ugolino Trinci si impegnò per scacciare dalle città di Assisi, Spello, Todi, Nocera Umbra, Gualdo Tadino, Trevi, Cesi e Orvieto il partito dei raspanti, per poi portarsi, forte di 1500 cavalli, nei territori perugini, devastando il contado e obbligando gli abitanti ad accettare il rientro del papa.
Nel settembre 1399, a Orvieto, al cospetto di 200 pellegrini dei Bianchi, indossò lui stesso il saio, incedendo scalzo e fustigandosi, secondo l’ uso di quel movimento. Superata la metà del mese, tuttavia, abbandonò le vesti ascetiche ed espiatorie, per tornare alle armi.
Nel gennaio 1400, quando Giovanni e Nicola Colonna favorirono l’insorgere di una sollevazione popolare finalizzata a detronizzare Bonifacio IX in favore dell’antipapa Benedetto XIII, Orsini, corso in difesa del pontefice, attaccò Palestrina con 2000 cavalli, uscendo vittorioso dalla battaglia. In onore dei suoi meriti, ottenne il vicariato in temporalibus sulla terra di Canino e sul fortilizio di Olevano Romano. Ricevette poi dal pontefice l’incarico di recarsi nei territori marchigiani in compagnia del cugino Gentile, per fronteggiare i ribelli locali. Nel settembre 1402, con Braccio di Montone, Mostarda da Strada e Conte da Carrara, sotto il comando di Giannello Tomacelli, si trasferì nel Perugino, giungendo ad assediare il capoluogo. Poi, dopo aver stretto Assisi in un estenuante assedio, ottenne dal castellano le due rocche cittadine, dietro l’esborso di 1000 fiorini (luglio-agosto 1403). In quel medesimo frangente (1403), venne anche autorizzato da Bonifacio IX a riscuotere la sua precipua condotta, ammontante a 490 lance, direttamente dai signori, come Antonio da Montefeltro, Carlo, Pandolfo e Malatesta Malatesta, tenuti a corrispondere il censo annuale afferente la Curia apostolica.
Giunto in Lombardia (1403), Orsini collaborò con Alberico da Barbiano nella devastazione di Pavia, per poi seguirlo nell’area compresa tra Castel Bolognese e Faenza, conducendo le sue scorrerie sino alle porte di Bologna. Successivamente, grazie al sostegno dei Malatesta, arrivò a costringere il signore di Imola, Ludovico Alidosi, ad abiurare l’alleanza stretta con i viscontei, mentre a seguito della pace di Caledio (25 agosto 1403) conquistò la possibilità di entrare nella cittadella di Bologna.
Nel marzo 1405, fu richiamato a Roma da papa Innocenzo VII, perché si opponesse ai Colonna, ai Savelli e alle milizie del re di Napoli, Ladislao d’Angiò. In collaborazione con Mostarda da Strada, fronteggiò gli insorti e, presso i Prati di Nerone, ebbe la meglio su Giovanni Colonna, posto a difesa del Borgo Leonino, riuscendo a entrare in Vaticano. Ritornato a Roma dopo un breve soggiorno romagnolo, non volendo più rivali al suo fianco, non esitò a istigare alcuni suoi familiari o Antonio Orsini a uccidere Mostarda da Stada (settembre 1405).
Nell’aprile 1406, Innocenzo VII gli attribuì una condotta di 500 uomini d’arme, mentre il suo stipendio venne ricavato dai censi di alcuni vicariati marchigiani. Collaborando con Ludovico Migliorati, Orsini proseguì nell’assedio di Castel S. Angelo, opponendosi ai baroni romani schierati con il re di Napoli. Quando, alla fine di giugno, il pontefice dichiarò decaduto dal trono Ladislao d’Angiò, questi cercò la riconciliazione, finché, presso Tor di Mezza, fu stipulata una tregua della durata di 11 giorni, alla presenza di Pieretto d’Andreis e dello stesso Orsini, che, in seguito, fu creato gonfaloniere dello Stato della Chiesa. Di lì a poco (dicembre 1406), assistette, tra le navate della basilica di S. Pietro, alla cerimonia che sancì l’ascesa del nuovo papa, Gregorio XII, dal quale fu ugualmente assoldato. Tuttavia, essendo ancora creditore verso lo Stato pontificio di una somma di 60.000 fiorini, marciò verso Carneto, occupò svariati castelli e mise a ferro e fuoco il centro di Tuscania (gennaio 1407).
Nel giugno 1407, le truppe napoletane e quelle colonnesi penetrarono in Roma, attraverso una breccia aperta presso la porta di S. Lorenzo. Mentre il pontefice fu costretto a rifugiarsi in Castel S. Angelo, Orsini irruppe in Vaticano e, combattendo strenuamente, ebbe la meglio sugli avversari, giungendo addirittura a catturare Niccolò e Giovanni Colonna, Antonio Savelli, Giacomo Orsini, Corradino di Antiochia, Riccardo Sanguigni e Galeotto Normanni.
Grazie alla vittoria riportata, Gregorio XII decise di assegnargli le entrate della Romagna nonché di altre province pontificie, il vicariato di Tuscania, per un un quinquennio, dietro un censo di un cane da caccia, oltre al vicariato di Narni. In aggiunta a tutto ciò il papa, non possedendo sostanze tali da consentirgli di saldare il ragguardevole credito vantato dal condottiero, si risolse a concedergli i castelli di Collescipione, di Canino, di Marta e di Montalto di Castro.
Nell’agosto 1407, intervenendo con Niccolò Orsini contro il popolo romano insorto, Paolo restaurò l’ordine in Campidoglio e quando Gregorio XII si recò a Viterbo rimase a Roma in qualità di capitano generale della Chiesa con l’incarico di difenderla anche da pericoli esterni. Nell’aprile 1408, alla testa di 12000 uomini e di numerosi fanti, Ladislao d’Angiò assalì nuovamente la città. Orsini, potendo contare su appena 2000 cavalli e un’esigua quantità di fanti, dapprima rigettò l’attacco, poi ricevute, con tutta probabilità, parecchie migliaia di ducati dagli angioini, lasciò campo libero ai nemici, consegnando loro ponti e porte della città.
Dopo aver trascorso un periodo nel Perugino, sdegnato per la nomina alla carica di senatore di Giannotto Torti, fece ritorno a Roma e fomentò la ribellione popolare. Giunto in Campidoglio, sconfisse i capitani angioini e fece prigioniero il senatore di nomina regale. Tuttavia, riappacificatosi con Ladislao d’Angiò, nel corso del 1409, bloccò presso Orvieto l’avanzata dell’esercito nemico, impedendone il vettovagliamento. Allettato però dalle profferte pecuniarie fiorentine, migrò al servizio dell’antipapa Alessandro V e del pretendente al regno Luigi d’Angiò. L’antipapa, dal canto suo, gli riconobbe la signoria sui medesimi feudi assegnatigli in precedenza da Gregorio XII, concedendo una condotta di 600 lance e di 200 fanti, nonché una provvigione personale di 600 fiorini.
Entrato a Roma al fianco di Luigi d’Angiò, dopo alterne vicende, nel gennaio 1410, fomentò la sollevazione popolare e dichiarò sciolto il governo precedente. Spazzato via l’ultimo baluardo napoletano in Roma, divenne capitano generale della Chiesa, proseguendo nella gestione delle operazioni di guerra. Tra giugno e luglio 1410 occupò Tivoli e Ostia, obbligando alla resa i Colonna e i Savelli, e sconfisse gli avversari a Roma, presso i Prati di Nerone. Poi, con Montone e Sforza, assalì Perugia, alla testa di 2000 cavalli e di 300 fanti (novembre 1410). Tuttavia, le strenue difese organizzate da Angelo Tartaglia lo costrinsero a ritirarsi per svernare nei suoi possedimenti.
Nel biennio 1411-12 fu impegnato su più fronti: partecipò con Muzio Attendolo Sforza alla battaglia contro le truppe del re Ladislao, che vinse a Roccasecca (maggio 1411), poi si trasferì in Umbria a fianco di Montone e di Sforza e nell’assalto del castello di S. Giuliana rimase gravemente ferito a un occhio (agosto 1411). Riuscì poi a sottrarre Sassoferrato a Carlo Malatesta (1412), provocando però, grazie alla sua iniziativa, la defezione di Sforza verso la parte avversa. A causa del repentino cambiamento di campo, Paolo sfidò a duello il presunto traditore, ma, sebbene lo sfidato avesse accettato il confronto, fu poi lui stesso a rifiutarlo.
Nel giugno 1412, l’antipapa Giovanni XXIII, stipulato un trattato di pace con il re Ladislao, decise di non annoverare fra i suoi alleati Orsini, il quale, appresa la notizia, marciò su Roma e, penetrando attraverso una breccia nelle mura presso porta Capena, costrinse l’antipapa alla fuga. Di lì a poco, si riappacificò con il pontefice, raggiungendolo a Bologna con una scorta di 150 cavalli.
Nel giugno 1413 si unì a Ponte Pattoli, presso Perugia, con i contingenti di Montone il quale, risoluto ad attaccare le milizie del re di Napoli, lo incaricò di affrontare il nemico. Avendo Paolo disubbidito, Montone promise di vendicarsi, soprattutto dopo aver saputo che Orsini era di nuovo tornato al servizio di Ladislao (maggio 1414). Nel luglio 1414 Paolo venne attirato con l’inganno nel Perugino e, accusato di tradimento a opera di Sforza, fu incarcerato insieme a Orso e Niccolò Orsini e, dopo essere stato trasferito a Castelnuovo, fu condannato a morte. Riuscì a evitare l’esecuzione grazie alla morte di Ladislao (6 agosto 1414) e venne liberato per volontà della regina Giovanna II d’Angiò dietro la corresponsione di una taglia di 30.000 fiorini.
Rientrò a Roma nel novembre 1415 con il precipuo scopo di sostenere la regina di Napoli. Rinsaldata la sua autorità romana, si allontanò dalla città e occupò, in breve tempo, Narni, Terni e Orte. Tuttavia, sul finire del dicembre 1415, si pose agli stipendi dell’antipapa Giovanni XXIII.
Nel corso del 1416, a fronte di un compenso di 3000 fiorini, venne chiamato in soccorso dai perugini contro Braccio da Montone, le cui milizie stavano danneggiando il loro territorio, insieme ai fuoriusciti del partito nobiliare. Dopo aver costretto Montone a rifugiarsi presso Narni, grazie a una serie oltremodo fortunata di operazioni militari Paolo guadò il Nera, per muoversi incontro al nemico.
Venne ucciso a tradimento da Tartaglia, Cristoforo di Agello e Ludovico Colonna, a Colfiorito, presso Foligno, il 5 agosto 1416, mentre le sue truppe furono sopraffatte dai bracceschi.
È certo che il figlio illegittimo Francesco esercitò la professione militare, mettendosi agli stipendi prima di re Ladislao poi del pontefice Martino V, mentre lacunose sono le notizie sugli altri due figli, Giampaolo e Calvinia, probabilmente avuti dalla moglie Rita Sanguigni.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Reg. Vat. 315, cc. 132v-134r, 148v; 316, cc. 254v-255r, 314r-317r; 317, cc. 61r-62r, 100v, 133v, 193v-197v; 320, cc. 3v-4r, 113r-114r, 180v, 234r-v; 347, cc. 35v-36v; 79, cc. 56v-60v; Cronaca di ser Guerriero da Gubbio, a cura di G. Mazzatinti, in Rer. Ital. Script., II ed., XXI, 4, Città di Castello 1902, pp. 32, 35 s., 38 s.; Annales Forolivienses ab origine urbis usque ad annum MCCCCLXXIII, a cura di G. Mazzatinti, ibid., II ed., XXII, 2, Città di Castello 1903-09, pp. 80-82; Antonio di Pietro dello Schiavo, Il Diario romano, a cura di F. Isoldi, ibid., II ed., XXIV, 5, Città di Castello 1917, pp. 11-14, 17, 20 s., 23-25, 27-30, 33 s., 44 s., 49 s., 53-58, 60-64, 66 s., 74, 76, 77, 81, 87-89, 102 s.; Braccii Perusini vita et gesta ab anno MCCCLXVIII usque ad MCCCCXXIV, auctore Iohanne Antonio Campano, a cura di R. Valentini, ibid., II ed., XIX, 4, Bologna 1929, pp. 16, 25, 44, 54 s., 67 s., 70 s., 74, 80, 85, 92, 99, 114. Antonio di Nicolò, Cronaca della città di Fermo, a cura di G. de Minicis, Firenze 1870, pp. 39-41, 45; A. Meriggi, Honorabilibus amicis nostris carissimis. Lettere inedite dei da Varano di Camerino al comune di Montecchio (Treia), Camerino 1996, pp. 64-66, 70 s., 73-76, 79 s., 82, 84-86, 88 s., 102-104, 108, 112-115, 117, 129, 133; F. Sansovino, De gli huomini illustri di Casa Orsina, Venetia, Bernardino et Filippo Stagnini, 1565, pp. 65 s.; P. Litta, Orsini, in Famiglie celebri d’Italia, tav. XXI, Milano 1847; B. Colonna, Gli Orsini, Milano-Varese 1955, pp. 200-203; A. Esch, Bonifaz IX und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, pp. 247 s.; F. Allegrezza, Organizzazione del potere e dinamiche familiari. Gli Orsini dal Duecento agli inizi del Quattrocento, Roma 1998, pp. 127 s., 201; A. Falcioni, Il capitano di ventura Mostarda da Forlì. Indagine sulle fonti archivistiche marchigiane (secoli XIV-XV), in Studi romagnoli, LII (2001), pp. 611, 614-619.