CALIARI, Paolo
In Verona si trova normalmente indicato col diminutivo Paolino Caliari, che lo distingue dal ben più grande suo antenato. Nacque a Verona nel 1763 da Domenico Caliari, negoziante di libri e calcografo sul corso di S. Anastasia. Studiò con Prospero Schiavi, scolaro di Giambettino Cignaroli, e il 30 ag. 1788 conseguì il diploma di professore presso la locale accademia. Si affermò fin dagli inizi per la sua perizia nell'eseguire copie dai maestri del Quattro e del Cinquecento imitandone i procedimenti tecnici; su questa strada giunse anche a trattare con ottimi risultati la pittura a encausto. Per questa sua capacità, e su interessamento del marchese veronese Maurizio Gherardini, ministro d'Austria a Torino, venne incaricato di eseguire copie e quadri di sua invenzione per il principe di Carignano, incarico ben presto annullato in seguito alla Rivoluzione francese e alla morte del Gherardini.
Per tre anni consecutivi (1792, 1793, 1794) vinse il premio Lorgna presso l'Accademia di Verona con opere eseguite all'encausto: Hebe, Ecce Homo, Le Esperidi. Ciò consolidò la sua fama veronese e gli procurò numerose protezioni e ordinazioni. Nel 1808 venne nominato maestro all'Accademia Cignaroli, dove insegnò per il resto della sua vita.
La perizia di copista del C. è indicata anche da un aneddoto: avendo una commissione imperiale deciso di trasferire a Vienna la Madonna del Garofalo di S. Tommaso Cantuariense, egli ne trasse una copia tanto perfetta da ingannare la commissione stessa, che scambiò e asportò la copia per l'originale. Tra le copie eseguite per Verona e segnalate dalle fonti ottocentesche, sono da ricordare quelle dal Mantegna (le tre tavolette della predella dell'ancona di S. Zeno, che, portata dai Francesi nel 1797 a Parigi, rientrò mutila di esse); da Iacopo Bellini (1816, in S. Fermo Minore in Braida, oratorio dei filippini: la Crocefissione, desunta da disegni di quella ad affresco del duomo, distrutta da un incendio nell'amo 1759); dal Veronese (in S. Giorgio in Braida: il Miracolo di s. Barnaba, asportato dai Francesi nel 1797 e non più rientrato); da Raffaello (in S. Fermo Minore in Braida, oratorio dei filippini: Spasimo di Sicilia, Cristo portato al sepolcro);dal Bonsignori (il S.Sebastiano di S. Nazzaro, segnalato in casa Zamboni Mi vicolo del Pero); da Gerolamo dai Libri (Itre angeli, segnalato in casa Castellani).
Sempre in questo genere di attività si colloca la serie di quaranta disegni a penna (più un'incisione) eseguiti per illustrare la collezione del cugino e cognato Giovanni Albarelli, serie legata in volume sotto il titolo Gabinetto di quadri o raccolta di pezzi originali esistenti in Verona presso il sig. Gio. Albarelli disegnati da P. C. con illustrazioni (Verona 1815) e conservata presso la Biblioteca civica di Verona. Il disegno è netto e preciso, ma scarsamente efficace a distinguere i modi dei singoli artisti, già progetto per traduzione incisoria, nel gusto razionale di stampo neoclassico. Un solo pezzo, però, è riprodotto a stampa dal bulino dello stesso C.: il Martirio di s. Sebastiano di Girolamo dai Libri con quattro storie laterali. Figurano opere di Giovanni Bellini (2), Mantegna (1), Cima da Conegliano (1), Girolamo da Santacroce (1), Leonardo (1), Luca di Leyda (1), M. Basaiti (1), Pellegrino da San Daniele (1), V. Catena (1), Gentile Bellini (1), Carpaccio (2), Raffaello (1), Correggio (1), Gerolamo dai Libri (3), G. Caroto (1), Tiziano (3), Giorgione (1), G. A. Licinio (1), Veronese (3), Iacopo da Ponte (1), Leandro da Ponte (1), Carlo Caliari (1), Palma il Giovane (1), Reni (1), Guercino (1), F. Zuccari (1), Van Dyck (1), B. Luini (1), A. Turchi (1), G. B. Paggi (1), Strozzi (1), A. Tempesta (1), Giordano (1).
A testimoniare l'attività incisoria del C. restano L'Arena di Verona, Tre angeli (da Gerolamo dai Libri), la Crocefissione (dalla menzionata Crocefissione di Iacopo Bellini già nel duomo di Verona), il Bambino (dal Mantegna), e le illustrazioni per l'opera L'Agricoltura di Lucio Columella tradotta dal veronese Benedetto Del Bene, estimatore e protettore del Caliari. Parallelamente egli svolse un'intensa attività di ornatista, decorando stemmi, mobili, lettighe di gala, cocchi, ceramiche, aiutato anche dal figlio e continuatore Giovanni. Quest'attività si esercitò anche negli spazi più ampi di sale e ambienti di residenze urbane e suburbane (soffitti, pareti, porte decorate con arabeschi raffaelleschi, finti bassorilievi, meandri, festoni di frutta e fiori, gruppi di fauni, amorini, soggetti mitologici e paesaggi).
Pietro Caliari fornisce un nutrito elenco dell'attività in questo settore: casa Portalupi a corso Cavour (due camere con paesaggi; un soffitto con Tobiuzzo che coi suffumigi suggeriti dall'arcangelo Raffaele scaccia il demonio e implora la benedizione celeste sul talamo nuziale;un altro con Due amorini volanti);casa Palazzoli poi Bentivoglio (soffitti di tre stanze con medaglioni mitologici; fatti di storia romana e paesaggi; Natività di Cristo); casa Scalfo poi Da Lisca alla Colomba (una sala con l'Aurora nel soffitto e porte decorate da putti); casa Persico poi Jenna a S. Eufemia (un soffitto con Danza di amorini;altro con il Sacrificio ad Imene;in una sala tre pareti con la sintesi figurativa e psicologica di una storia greca; uno stanzino con fregi e riquadri di gusto pompeiano); palazzo Emiley ora Forti (fregio a raffaellesche); casa Lavagnoli poi Astori a S. Eufemia (soffitto, con Virtù); casa Franchini poi Giordani alla Cappelletta (soffitto con Flora e Zefiro;altro con Diana);casa Della Torre poi Lebrecht a S. Fermo (un gabinetto da bagno con fregi raffaelleschi; tre pareti di una sala con episodi della storia scaligera: Usurpazione di Fregnano, Morte di Mastino II, Dante davanti a Can Grande, i due ultimi in parte rifatti già all'inizio del Novecento); casa Ravignani poi Benini ai Scrimiari (una sala con paesaggi e rovine classiche; altra con il Riposoin Egitto e episodi di storia romana); casa Scolari poi Galvani a S. Tommaso (due grandi affreschi monocromi in facciata, già perduti all'inizio del Novecento: La Concordia, La Discordia);caffè sotto la Costa (Le quattro stagioni, olio su tavola; quattro pannelli con altrettante figure di caffettieri sono esposti alla Galleria d'arte moderna in palazzo Forti, e provengono sicuramente dal caffè, ove fungevano da sportelli di armadi).
Nel palazzo del suo protettore Benedetto Del Bene il C. decorò alcune camere (in una dipinse medaglioncini con la Fuga in Egitto, la Visione di Giacobbe, l'Arcangelo Raffaele), e così nelle dimore dei Simeoni (poi Brasavola) alla Ghiara, dei Canossa (poi Murari) al ponte Garibaldi, de' Mayer (poi Tedeschi) in Valle. Tra le dimore di campagna vanno ricordate la villa di Stelle (fatti romani) e il villino con la cappella di Maroni del conte Uguccione Giusti. Si aggiungano le pale di soggetto sacro eseguite per chiese e cappelle private: Madonna col Bambino e s. Giovanni (1820) in S. Giovanni in Valle, i SS. Fermo e Rustico (giovanile) e il S. Filippo (ad encausto) per l'oratorio dei filippini, il Sacro Cuore, s. Caterina e altri santi (in collaborazione con il figlio Giovanni) in S. Nazaro; fuori Verona, S. Lorenzo e s. Francesca Romana a Sezano di Valpantena, la Madonna e s. Gaetano a Maroni, la Madonna con i ss. Gaetano, Carlo e altri santi a San Felice presso Navaglie, la Via Crucis di Poiano, la Madonna e santi della cappella Canossa a Bussolengo; gli affreschi nei soffitti della chiesa nella villa dei conti Cavazocca La Pergolana presso Lazise (Assunta, 1816) e di quella di S. Maria in Stelle (Assunta).
La poliedrica attività del C. comprende anche una serie di ritratti tra i quali Pietro Caliari ricorda quelli di Giannantonio, Pietro e Giovanni Arvedi, quelli di Antonio e Giovanni Portalupi e della loro madre Rosanna Canossa, infine quello di Benedetto Del Bene.
Il C. morì a Verona il 23 apr. 1835.
L'attività di copista che il C. praticò fin dagli inizi con notevoli e conclamati risultati non va tanto considerata come il risultato di una scelta pratica, che compensi la consapevole carenza di dati originali. Non a caso essa si esercita su maestri del Quattro e del Cinquecento: alla sua base vi sono maturazioni analoghe a quelle che sostengono, sempre a Verona, il neosammichelismo di un Alessandro Pompei, cioè la reazione alle intemperanze barocche e settecentesche, che, d'altro canto, erano alquanto diluite dalle tendenze accademiche e classicistiche di un Balestra e ancor più di G. B. Cignaroli.
La personalità del C. si situa, nell'arte veronese dello scorcio del Settecento e dei primi decenni del secolo successivo, come quella di un attivo interprete locale del gusto neoclassico e purista, cui perviene attraverso la tradizione accademica e di temperato classicismo fissata nella pittura veronese del Settecento, distinguendosi per cura e correttezza, per vivezza di colore e grazia formale.
Il figlio Giovanni nacque il 17 nov. 1802 a Verona, dove morì il 28 luglio 1860. Allievo e spesso collaboratore del padre, eseguì anche lui copie dai grandi maestri e dipinse con gusto purista. Professore (dal 1822) e poi conservatore nell'Accademia Cignaroli, ebbe tra i suoi allievi V. Cabianca che lo stimò sempre e, legato al maestro da grande affetto, fu in corrispondenza con lui (lettere di proprietà del sig. Giovanni Tosi a Verona) e, alla sua morte, ne litografò il ritratto.
Bibl.: P. Zani, Encicl. metodica… delle Belle Arti, I, 5, Parma 1820, p. 219; B. Lorenzi, Nelle nozze dei nobili sposi Ravignani e Orti. Stanze, Verona 1820; D. Da Persico, Descrizione di Verona, Verona 1821, pp. 90, 202; L. Simeoni, Verona. Guida storico-artistica della città e della provincia, Verona 1909, pp. 111, 159, 178, 238, 278, 323; P. Caliari, P. C. pittore (1763-1835), in Madonna Verona, VI(1912), 21, pp. 37-42; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 397 s. (Per Giovanni, pp. 391 s.).