CADAMOSTO (de Cadamosto), Paolo
Nacque da antica famiglia lodigiana nella prima metà del secolo XIV. Il C. era canonico "Reghinensis" o, più correttamente, "Regiensis" (di Reggio Emilia) allorché, il 7 febbr. 1354, Innocenzo VI lo nominò successore di Luca di Castello nella sede episcopale di Lodi; dalla copia di un doc. del 1367 risulta che da vescovo usò anche il titolo comitale (C. Vignati, Codice diplomatico laudense, II, Milano 1885, p. 431). Il suo episcopato fu turbato dalle continue controversie che dovette affrontare contro i Visconti per la difesa o il recupero dei beni della mensa vescovile, in particolare di quelli che Bruzio Visconti, quando era stato podestà in Lodi, aveva usurpato e che l'arcivescovo Giovanni Visconti, al quale erano stati richiesti, non aveva restituito. Già con il successore di Giovanni, Matteo II, il C. ebbe forse delle questioni; con Bernabò poi insorsero certamente aspre controversie, documentate nelle carte dell'archivio vescovile (G. Agnelli, Vertenze dei Visconti colla mensa vescovile di Lodi ed altre memorie sulla dominazione viscontea nel Lodigiano, in Arch. stor. lomb., s. 3, XVI [1901], pp. 260-289). Un documento dell'11 luglio 1357 testimonia l'intromissione di Bernabò in una causa tra il C. e due suoi feudatari; il 10 ag. 1357 il Visconti incaricava Girardolo de la Pusterla di scegliere nel collegio dei giurisperiti di Milano il giudice che definisse la questione dei beni di Castione e di altri luoghi, dei quali Bruzio s'era fatto investire dal vescovo Luca. Fu scelto Ruggero Biffi che, il 13 settembre, convocò Giacomo da Lavagna, rappresentante del vescovo di Lodi, e Odoardo Corrado, che rappresentava Bernabò. La sentenza del 1º novembre di quello stesso anno fu favorevole al C., ma Bernabò non si diede per vinto e incaricò Andriolo da Dugnano di dare un'altra sentenza. Questi, il 27 febbr. 1358, confermò la precedente; Bernabò allora infierì contro i congiunti del C., che erano stati investiti dei beni che erano un tempo dei capitani di Comeliano. Imprigionati, dopo molte resistenze, dovettero cedere sotto la minaccia di tortura, e rinunciarono il 15 nov. 1359 ai benefici dei quali venivano investiti uomini fedeli al Visconti. Bernabò inoltre poneva sotto sequestro i beni che i due giudici gli avevano negato finché il 28 marzo 1366 si impadroniva delle rendite più cospicue del vescovato, facendone investire Giovannolo dei capitani di Vittadone. Solo nel 1385 la lunga vertenza verrà composta, quando, in seguito a una richiesta inviata dal C. a Gian Galeazzo in data 12 giugno, questi consentì alla restituzione dei beni della mensa vescovile di Lodi.
Non poche difficoltà amministrative si presentarono al C. anche per le frequenti richieste di denaro che gli provenivano da parte dei legati pontifici. Da poco eletto, nell'estate del 1354 Egidio di Albornoz gli ingiunse il pagamento di una decima da riscuotersi presso tutto il clero per le più urgenti necessità della Chiesa. Il 14 maggio 1358 l'arcivescovo Roberto Visconti gli rendeva noto il contenuto di una lettera di Androin de La Roche, abate di Cluny, legato pontificio e vicario per l'Italia, con la quale si imponeva una nuova decima. Poiché questa non fu completamente pagata, nel 1362 una parte del clero fu colpita dalla scomunica, dalla quale tuttavia il C. assolse gli insolventi con il consenso dell'Albornoz, nuovamente legato per l'Italia. Nel 1364 il C. convocò un sinodo diocesano sulla difesa della giurisdizione della sua Chiesa. Infine, nel dicembre 1366, Androin de La Roche, succeduto ancora una volta all'Albornoz, gli imponeva di dare ufficialmente notizia della scomunica inflitta a Tommaso de Tacchis, abate di Cerreto, e ad altri ecclesiastici per la loro insolvenza. Non ci sono notizie precise sulla legazione che Gregorio XI avrebbe affidato al C., forse nel 1372, presso Luigi il Grande d'Ungheria (F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, IV, Venetiis 1719, col. 679; Molossi, p. 114; Samarati, p. 147). Dopo il suo ritomo in patria il C. continuò in un'intensa attività pastorale; fondò l'oratorio dei SS. Cosma, Damiano e Gottardo; nel 1384 trasferì dalla chiesa di S. Paolo all'oratorio dei SS. Filippo e Giacomo i resti di s. Gualtiero; restaurò l'antica cattedrale di S. Maria di Lodivecchio.
Il C. si spense nel novembre del 1386 e fu sepolto nella cattedrale.
Bibl.: F. Ughelli-N. Coleti-F. A. Zaccaria, Laudensium episcoporum series, Mediolani 1763, pp. 280-294; G. Molossi, Memorie d'alcuni uomini illustri della città di Lodi, I, Lodi 1776, pp. 112-116; G.Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XII, Venezia 1857, pp. 369 s.; G. Porro, Storia diocesana, in Arch. stor. lodigiano, IV(1885), pp. 177-81; Della famiglia Cadamosto, commentario historico di Defendente Lodi, ibid., XLIV (1925), p. 86; L. Samarati, I vescovi di Lodi, Milano 1965, pp. 144-148.