PAOLINO II, patriarca di Aquileia
PAOLINO II, patriarca di Aquileia. – Intellettuale ed ecclesiastico, ebbe un ruolo di primo piano nella riforma culturale carolingia.
Un vir valde venerabilis e artis grammaticae magister di nome Paolino, che tutti gli studiosi identificano con il futuro patriarca, è nominato in un diploma di Carlo Magno, datato Ivrea il 17 giugno 776 (MGH, Diplomata Karolinorum, I, pp. 158 s.), come nuovo assegnatario dei beni già posseduti a Lavariano, in Friuli, da Waldando, longobardo morto poco tempo prima in una fallita rivolta antifranca. La formula con cui Paolino è designato mostra che egli era all’epoca considerato un importante maestro di grammatica nell’ambiente di corte. La concessione è forse da intendersi come ricompensa per il carme celebrativo Regi regum, che Dieter Schaller ipotizza essere stato scritto e offerto dal maestro al re per la Pasqua precedente; essa indica comunque il consolidarsi di un rapporto fiduciario che esisteva già in precedenza e che si intuisce dal diploma, e fa pensare che Paolino si trovasse in quel momento al seguito di Carlo.
Nulla sappiamo della vita di Paolino prima di questo momento. Poiché nel 776 egli è definito venerabilis, si può ritenere che non fosse più giovane e avesse una qualifica ecclesiastica, che però non è indicata. Nacque certamente in Italia, che Alcuino in seguito definirà sua patria; si ritiene che fosse di origine latina, e non longobarda.
Non vi sono invece prove certe di una sua origine nel territorio aquileiese, pure sostenuta da molti studiosi: se l’attribuzione di beni in questa regione parrebbe indicare precisi interessi locali di Paolino, stupisce d’altra parte che egli non dia mostra di conoscere Paolo Diacono, di sicura origine cividalese, nonostante questi fosse all’incirca suo coetaneo e avesse una storia parallela alla sua.
Una sua formazione nell’Italia nordorientale è stata ipotizzata sulla base di considerazioni stilistiche (Pollard 2009); anche in questo caso si registrano però sensibili differenze con le opere di Paolo Diacono. Qualche somiglianza fra testi paoliniani e scritti della Cancelleria pontificia è stata rilevata da Dag Norberg; un collegamento precoce di Paolino con Roma è stato talvolta ipotizzato sulla base di oscure menzioni di un personaggio di questo nome in lettere di papa Adriano I a Carlo del 775 e del 781 (MGH, Epistolae, III, pp. 571-573 e 599-601).
Forse già in precedenza, e certo negli anni immediatamente successivi al 776, Paolino si trovò alla corte di Carlo, e fu uno dei primi e più attivi componenti del circolo di intellettuali che indirizzò la politica culturale ed educativa del regno. Attraverso l’azione sua e di altri intellettuali italiani, l’eredità delle scuole dell’ultima età longobarda venne raccolta all’interno di un nuovo progetto di ampio respiro, e contribuì a formare una tradizione europea destinata a durare per secoli. Abbiamo notizia di sue strette relazioni con Alcuino di York, che di quel progetto fu l’animatore, con Arnone, dal 784 vescovo di Salisburgo, e con Angilberto, abate di Saint-Riquier. Alcuino in particolare parla scherzosamente di Paolino – qualificato anche stavolta come magister – in un carme scritto dall’Inghilterra fra il 778 e il 782 (MGH, Poetae Latini aevi Carolini, d’ora in poi PLAC, I, p. 222); gli indirizzò poi sette lettere, tutte successive alla nomina patriarcale, spesso scritte in tono intimo; compose alla sua morte un carme celebrativo e un epitaffio (MGH, PLAC, I, pp. 240 s.).
Nel circolo degli intellettuali carolingi Paolino era designato con lo pseudonimo di Timotheus, alludendo forse alla sua devozione o alla sua competenza dottrinale (Paulinus, il ‘Piccolo Paolo’, così come discepolo di Paolo era stato Timoteo).
Nel periodo passato a corte Paolino svolse certamente attività di maestro; ma vari indizi farebbero pensare che abbia anche avuto funzioni di poeta ufficiale: oltre al Regi regum, Schaller ha proposto di attribuirgli anche il Carmen de conversione Saxonum (MGH, PLAC, I, pp. 380 s.), in esametri, composto nel 777 per celebrare le vittoriose spedizioni di Carlo contro i Sassoni, e due epitaffi del 778, rispettivamente per Lotario, figlio di Carlo, e per il guerriero Eggihard (MGH, PLAC, I, pp. 71-73).
Probabilmente nel 787, Paolino fu nominato patriarca di Aquileia, un episcopato di importanza strategica per l’espansione franca verso i territori non cristianizzati degli Slavi e degli Avari. Nel 796, al termine di una vittoriosa campagna condotta da Pipino, figlio di Carlo e re d’Italia, Paolino partecipò a un sinodo in ripa Danubii, nel quale vennero trattate questioni relative all’evangelizzazione delle regioni assoggettate e del quale redasse una parte degli atti (MGH, Concilia, d’ora in poi Conc., II, pp. 172-176). Amico del margravio franco del Friuli, Erico, probabilmente per lui compose il Liber exhortationis (ed. De Nicola, 2005), un trattato morale ricavato da analoghe opere patristiche, considerato uno dei primi esempi di specula principum; nel 799, quando Erico fu ucciso nel corso di una spedizione militare, compose per lui un lamento celebrativo. Uomo di fiducia di Carlo in Italia, in un anno imprecisato fu missus dominicus per dirimere una delicata controversia relativa a un’abbazia pistoiese.
Come patriarca, Paolino fu uno dei protagonisti della vita religiosa del tempo. Nel 792 partecipò al sinodo di Ratisbona, che censurò una prima volta la dottrina adozionista; in questa circostanza, Carlo rafforzò il prestigio del patriarcato aquileiese, confermandone i beni. Nel 794 fu tra i principali attori del sinodo di Francoforte, che produsse una nuova e più decisa condanna dell’eresia, anche sulla base del Liber Sacrosyllabus (MGH, Conc., II, pp. 130-142), uno scritto di Paolino che egli presentò a nome dei vescovi italiani. Nel 796-797 Paolino convocò un sinodo a Cividale, cui presero parte i vescovi suffraganei di Aquileia (MGH, Conc., II, pp. 177-195), per applicare le direttive di disciplina ecclesiastica dettate dalla corte nell’Admonitio generalis del 787; il sinodo si pronunciò anche a favore del Filioque. Divenuto ormai teologo di fama, Paolino scrisse su incarico di Carlo (probabilmente nel 798) una confutazione definitiva della dottrina adozionista (Contra novellos improbae Felicianae sectae errores; ed. Norberg, CCCM 95).
In queste opere in prosa, cui si aggiungono poche altre lettere a noi conservate (MGH, Epistolae, IV, pp. 516-527), Paolino mostra uno stile retorico e artificioso, rispecchiante canoni estetici di ascendenza tardoantica, piuttosto arcaici rispetto a quelli che si stavano affermando nella prima età carolingia. Ben più significativa è la sua produzione poetica. Il corpus, come definito da Norberg, comprende tre carmi in esametri (una parafrasi del Credo, nota come Regula fidei, e due epistole poetiche) e 14 componimenti in versi ritmici, per lo più di argomento religioso. A questo corpus – la cui autenticità è per lo più accettata – si è proposto di recente di aggiungere i quattro componimenti di corte di cui si è parlato, e due ritmi De bonis e De malis sacerdotibus (MGH, PLAC, I, pp. 79-82; Opere, II, a cura di A. Peršič - S. Piussi, 2007). Si discute se si debba a Paolino il lamento retrospettivo De destructione Aquileiae, sulla rovina della città ai tempi delle invasioni unne. Se i versi in metro quantitativo dimostrano una buona tecnica scolastica, quelli a struttura ritmica, probabilmente concepiti per essere musicati, appaiono decisamente innovativi: essi utilizzano forme e temi estranei alle consuetudini romane, riprendendoli forse dalla tradizione locale aquileiese (Opere, II, a cura di A. Peršič - S. Piussi, 2007) o da quella gallica-irlandese (Stella), in ordine a una migliore fruizione della poesia religiosa da parte di un pubblico popolare. I suoi ritmi divennero un modello, soprattutto oltralpe, e – se così va interpretata una discussa notizia riferita da Walafrido Strabone (840 ca.) – vennero usati anche all’interno delle celebrazioni. Per quanto innovatore nelle forme, Paolino è ricordato dalla tradizione per aver svolto azione normalizzatrice sulle consuetudini liturgiche, favorendo l’abbandono di quelle regionali (definite all’epoca ambrosiane o gallicane, e in parte risalenti a epoca pregregoriana) a vantaggio di quelle romane, in armonia con le direttive unitarie del governo carolingio.
Paolino morì nell’802. Grandemente stimato come letterato e teologo per tutto il IX secolo, godette in seguito di un culto locale a Cividale del Friuli (con festa l’11 gennaio); secondo la tradizione, le sue spoglie riposano nella cripta del Duomo della città.
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