PANZA di Biumo, Giuseppe
PANZA di Biumo, Giuseppe. – Nacque il 23 marzo del 1923 a Milano da Ernesto – nominato conte di Biumo dal re d’Italia Vittorio Emanuele III nel 1940 – e da Maria Mantegazza in una famiglia di commercianti vinicoli.
Introdotto alla storia dell’arte dalla madre, compì i primi studi da autodidatta interessandosi anche alla filosofia di Platone, Friedrich Hegel e Henri-Louis Bergson. Conseguita la maturità classica, s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Milano, ma a causa della guerra riparò in Svizzera dal 1943 al 1945.
Tornato in Italia, trascorse il periodo conclusivo degli studi nella villa di famiglia a Biumo (Varese), restaurata dall’architetto Piero Portaluppi nel 1936, luogo che fu congeniale alla sua sensibilità estetica per l’armoniosa relazione tra l’architettura settecentesca e il vasto parco. A Varese, lo scultore Vittorio Tavernari lo introdusse all’astrattismo di Mario Radice, Atanasio Soldati e Osvaldo Licini. Dopo la laurea in filosofia del diritto nel 1948, la scomparsa del padre lo portò ad amministrare i beni ereditati, indirizzando l’impresa verso il settore immobiliare.
Nel 1954 si recò negli Stati Uniti ricevendone una profonda impressione che annunciava il suo prossimo coinvolgimento nella cultura americana. L’anno seguente sposò Rosa Giovanna Magnifico, con la quale ebbe cinque figli e condivise la passione per l’arte e le scelte nel collezionismo.
Nell’appartamento milanese della coppia ebbe inizio la straordinaria avventura della raccolta, che li avrebbe portati a riunire oltre 2500 opere.
Fu inizialmente Panza a manifestare il desiderio di acquistare arte: la scelta dei dipinti gli apparve da subito corrispondere a una ricerca sulla propria interiorità. All’empatia estetica tra opera e possessore, si unì una concezione del collezionismo come esercizio critico. La creatività del proprio tempo gli avrebbe infatti consentito di contribuire all’affermazione di un artista, impiegando un budget contenuto.
Alla fine del 1955 comprò una pittura di Soldati e nel 1956 i dipinti di Gino Meloni dalla galleria Apollinaire di Guido Le Noci a Milano. Tra il 1957 e il 1958 la preferenza per l’arte astratta si accompagnò ad acquisti nell’ambito di scuole pittoriche internazionali: l’amico e critico Pierre Restany gli suggerì l’astrazione lirica dell’École de Paris, ma egli s’interessò anche a Emilio Vedova e agli americani Philip Guston e Richard Diebenkorn.
Con acquisti effettuati dal 1957 al 1964, confluirono tuttavia nella prima parte della raccolta – oggi conservata presso il MOCA (Museum of Contemporary Art) di Los Angeles – altre poetiche: l’Informale europeo di Antoni Tàpies e Jean Fautrier, l’espressionismo astratto di Franz Kline e Mark Rothko, il neo dada di Robert Rauschenberg e la pop art di Claes Oldenburg, James Rosenquist, Roy Lichtenstein e George Segal.
La ricerca di un’essenzialità visiva lo condusse dall’Informale al radicalismo di Kline, che conobbe attraverso la rivista Civiltà delle macchine (1957). Gli artisti statunitensi s’imposero da allora alla sua attenzione «per la violenza con cui affrontano le contraddizioni e i problemi dell’uomo moderno, senza l’oppio delle estetiche e dei divertimenti intellettuali di molti pittori europei» (Panza, 1957, p. 13).
Tra il 1960 e il 1961 assemblò sette pitture di Rothko di cui comprese il misticismo contemplativo in assonanza con Lo spirituale nell’arte (1911) di Vasilij Kandinskij. Iniziò allora anche il durevole rapporto con Rauschenberg, scoperto a Documenta (Kassel, 1959). I suoi combine paintings lo introdussero alle poetiche dell’oggetto e al sodalizio con il gallerista Leo Castelli (New York) che avrebbe condotto entrambi, attraverso pop art, minimalismo e arte concettuale, a determinare il sistema dell’arte. Nel 1962 acquistò dalla Green Gallery di Richard Bellamy sedici pezzi del The store di Oldenburg. Due anni dopo, la XXXII Biennale di Venezia celebrò la scena artistica newyorkese con il premio tributato a Rauschenberg, cui egli contribuì prestando Untitled combine (1955), Factum I (1957) e Gift for Apollo (1959).
Tra il 1960 e il 1964 selezionò le opere riunite nel periodo formativo costituendo così la prima collezione.
La precocità delle scelte in seno alla pop art inseriva la sua figura nel contesto del collezionismo statunitense, mentre trovava un corrispettivo nell’attività dell’italiano Giorgio Franchetti jr. Il supporto agli artisti esordienti e il proposito di approfondirne l’opera lo inducevano a perseguire un collezionismo monografico, paradigma che rimase costante e fu ispirato dai mecenati russi Sergej Shchukin e Ivan Morozov.
Dal 1960 s’interessò all’arte africana tradizionale e precolombiana per impulso del connaisseur Franco Monti, riconoscendovi il superamento della dicotomia tra estetica e significato. Entro il 1979 mise insieme una collezione di memento mori: netsuke di teschi del XIX secolo e sculture di varia provenienza, soprattutto barocche.
Persuaso della persistenza di valori comuni tra civiltà artistiche, accostò le opere extraeuropee agli arredi (XVII - XVIII secolo) e all’arte contemporanea, fondando l’esperienza estetica sulla sintesi delle arti. La villa di Biumo, dove aveva trasferito parte della collezione dal 1958, divenne il luogo in cui sperimentò innovativi criteri espositivi: dalle sale di Kline e Rothko alla galleria della pop art.
Dopo aver brevemente interrotto l’attività di acquisto, costituì dal 1966 al 1976 la seconda collezione che rappresentò, con circa 650 lavori, le evoluzioni della neo-avanguardia statunitense: minimalismo, arte concettuale e postminimalismo.
L’ascesa del minimalismo, celebrata nel 1966 dalle mostre newyorkesi Primary structures (Jewish Museum) e Systemic paintings (Guggenheim Museum), fu prontamente recepita da Panza con l’acquisizione delle geometrie di Robert Morris e delle lampade fluorescenti di Dan Flavin. Tra il 1967 e il 1973 assemblò un nucleo consistente di minimal art e antiform che lo rese, insieme al tedesco Peter Ludwig, il maggiore collezionista. Vi incluse opere di Donald Judd, Carl Andre, Richard Serra e Richard Nonas. Approfondì l’astrazione radicale di Robert Ryman e la pittura riduzionista di Brice Marden, Robert Mangold, Alan Charlton, Bob Law e altri.
Nel 1968 soggiornò a New York: vide i lavori dei concettuali presso la galleria di Seth Siegelaub e conobbe Robert Irwin alla Pace Gallery dove acquistò il primo Disc (1966-67). Iniziò a collezionare a fondo le ricerche corporeo-spaziali di Bruce Nauman, di cui avrebbe installato a Biumo alcuni dei più importanti progetti ambientali (Green light corridor, 1970).
Dalla fine degli anni Sessanta strinse amicizia con il critico Germano Celant, che enfatizzò la congiunzione tra le tendenze nella mostra Conceptual art, Arte povera, Land art (Torino 1970) e avrebbe curato il primo catalogo generale della raccolta Das Bild einer Geschichte 1956/1976. Die Sammlung Panza di Biumo (Milano 1980).
Strumentale alla nascita della collezione minimal e concettuale fu l’attività dei galleristi Heiner Friedrich (Colonia, Monaco), John Weber (New York), Gian Enzo Sperone (Milano, Torino) e Konrad Fischer (Düsseldorf). A indirizzarlo verso il concettualismo fu l’esigenza di indagare il rapporto tra filosofia e immagine, portato dell’eredità di Marcel Duchamp che frequentò negli anni Sessanta. Dal 1969 al 1974 documentò gli sviluppi internazionali della tendenza: Lawrence Weiner, Joseph Kosuth, Douglas Huebler, Sol LeWitt, Robert Barry, Hanne Darboven, Ian Wilson, Hamish Fulton, Jan Dibbets e altri.
In quel periodo il ruolo di Panza mutò profondamente in relazione al nuovo statuto dell’arte. Avendo acquistato strutture di grande formato e disegni progettuali dei minimalisti, fu tra i primi a confrontarsi con fabbricazione e installazione delle opere. Inoltre, la prassi concettuale, la produzione seriale e il rapporto tra idea ed esecuzione determinarono l’impiego di certificati e contratti che egli stesso sollecitò.
Entro il 1972 completò un significativo intervento di restauro nella villa trasformando i rustici in spazi espositivi dove l’assenza di ogni elemento accessorio favorì le reciproche influenze tra spazio e opera. Accanto agli ambienti monografici (Judd, Serra, Nauman), dispose nella scuderia principale i lavori di grande formato (Morris, Flavin, Ryman) e nello scalone d’ingresso offrì inediti raffronti (Weiner e Rothko).
Mentre la scena artistica newyorkese catalizzava il mondo dell’arte, i coniugi Panza si recarono a Los Angeles. I lavori di Larry Bell e di Irwin diedero un primo impulso alla scoperta del movimento Light & space, cui la critica associò James Turrell, Eric Orr, Doug Wheeler e Maria Nordman. Nel 1973 visitarono il sito del Roden crater di Turrell nel Painted desert (Arizona) e i Mendota stoppages (1969-74) nel suo studio di Santa Monica: spazi percettivi e architettonici creati da effetti luministici. L’unicità dell’ambiente culturale di Los Angeles, dove convivevano filosofia orientale e sperimentazioni tra arte e tecnologia, destò in Panza un interesse per la componente metafisica dei fenomeni scientifici e degli elementi naturali di luce e colore. Condivise tale ideale estetico con Heiner Friedrich e Philippa de Menil, fondatori della Dia art foundation (1974), supportando la fase progettuale del Roden crater e il The lightning field di Walter De Maria (1977).
A fronte delle esperienze maturate, Panza valutò il proprio ruolo di collezionista per divenire committente. Dal 1973 al 1977 alcuni spazi della villa furono ridefiniti da interventi in gran parte site-specific e site-conditioned. Gli ambienti del Light & space si resero per la prima volta permanenti: Irwin, Turrell e Nordman indussero il visitatore a esperire le proprie percezioni psicofisiche attraverso sottili rimandi tra esterno e interno.
Panza riconobbe nell’arte californiana un’evoluzione sostanziale della creatività, come sottolineò in L’arte ambientale (Europa America. L’astrazione determinata: 1960-1976, a cura di F. Caroli, Bologna 1976, pp. 155-159).
Dal 1974 Sol LeWitt avrebbe eseguito a Biumo sei wall drawings, tra i suoi primi interventi in Italia, e due anni più tardi vi tornò Daniel Buren; Flavin concepì Varese corridor (1976) appositamente per i rustici. Le installazioni della villa, aperta su appuntamento, attrassero un flusso crescente di visitatori e l’attenzione delle riviste internazionali (Parachute, 1977; Art news, 1979). L’esigenza di documentare la raccolta attraverso la fotografia, che per Panza rivestì un ruolo centrale nel mostrare l’arte, diede avvio alla collaborazione con il fotografo Giorgio Colombo.
Dal 1976 interruppe gli acquisti, principalmente a causa della crisi economica italiana, per riprenderli nel 1987. Si dedicò allora all’obiettivo di rendere pubblica la collezione e di individuare sedi adeguate per esposizioni temporanee e permanenti di nuclei unitari di opere. Ciò lo condusse a un’estesa attività curatoriale che proseguì fino alla sua scomparsa.
Sin dal 1974 le esigenze di allestimento e il confronto con gli artisti lo avevano portato a introdurre la progettualità nel proprio operato. Anticipando l’affermazione dell’arte ambientale alla Biennale di Venezia (1976), ideò l’Environmental Art Museum, una proposta rivolta alle istituzioni internazionali. Diffuso nelle riviste Data (diretta dall’amico Tommaso Trini) e Domus, il progetto organizzava lo spazio museale a partire da un approfondimento sui singoli artisti, in luogo del consueto criterio cronologico e tematico. I musei del Nord Europa offrirono un primo terreno di confronto (Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf, Museum Abteiberg di Mönchengladbach e Kunstmuseum di Basilea) e, anche se il programma non si concretizzò, ne derivarono importanti mostre come Minimal + Conceptual Art aus der Sammlung Panza (1980) presso il Museum für Gegenwartskunst di Basilea, dove il collezionista presentò una nutrita selezione di opere e fu coinvolto nella conversione dell’ex cartiera in museo.
Dal 1976 elaborò in Italia una serie di progetti per adibire edifici storici a musei d’arte contemporanea con prestiti e donazioni. Alle proposte per Milano (villa Scheibler a Quarto Oggiaro, cascina Taverna al Parco Forlanini, Palazzo Reale) si unirono altri piani di recupero: le scuderie medicee di Poggio a Caiano, villa Doria Pamphilj a Roma, il castello di Rivoli e la Venaria Reale di Torino. Sebbene non attuati, i progetti attestano il contributo di Panza allo sviluppo museologico, ampliando le competenze del museo a committenza e ricerca con interventi site-specific e centri di studio sull’arte internazionale.
Nel 1980 ebbe luogo la prima mostra della collezione in Italia presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma con opere di Andre, Judd e Morris. Nello stesso anno entrò a far parte del Consiglio di amministrazione del MOCA partecipando a vari livelli alla storia del Museo che nel 1984, in seguito ai mancati accordi con le istituzioni italiane, acquistò gli 80 capolavori della prima collezione.
Il 1987 segnò la ripresa dell’attività di acquisto con la formazione della terza collezione, attraverso la quale intese restituire una visione culturale alternativa al postmodernismo. Nel primo biennio integrò il corpus precedente con nuovi progetti di arte ambientale e con lavori, tra gli altri, di Richard Long e Jene Highstein. La ricerca di nuove espressioni artistiche lo condusse alla tendenza organica di Martin Puryear, Peter Shelton, Ross Rudel e Allan Graham. Dagli anni Novanta scoprì la pittura del monocromo e del colore di David Simpson, Winston Roeth, Phil Sims, Ruth Ann Fredenthal, Alfonso Fratteggiani Bianchi e altri. Nello stesso periodo s’interessò agli oggetti contenuti di Stuart Arends, Jonathan Seliger e Ron Griffin. Al di là dei tre principali indirizzi, le sue scelte inclusero le sculture di Ettore Spalletti, l’arte del suono di Michael Brewster e autori quali Max Cole e Ford Beckman.
Proseguiva intanto l’attività espositiva dedicata alla seconda collezione che si affermava, tra il 1989 e il 1990, presso i musei francesi tra cui il Musée de la Ville de Paris. Al Centro de arte Reina Sofia di Madrid presentò nel 1988 lavori di Andre, Flavin, Judd, Morris, Nauman e Nonas. Sebbene Panza lo ritenne un riuscito connubio tra architettura e arte, Judd e Flavin disconobbero la fabbricazione e l’allestimento di alcuni lavori.
Tra il 1990 e il 1992 The Solomon R. Guggenheim Foundation di New York acquisì oltre 350 opere minimal, postminimal, conceptual e Light & space, cui si aggiunse un prestito decennale di 230 lavori. Una selezione fu allestita alla mostra inaugurale del Museo di Bilbao (1997) che nel 2000-01 ospitò un’importante rassegna sulla collezione. Dal 2010 il Guggenheim istituì The Panza collection initiative, un progetto di ricerca sulla conservazione e l’esposizione delle opere.
Dal 1994 l’attività di Panza fu rivolta a diffondere in Italia e all’estero le espressioni artistiche raccolte dagli anni Ottanta. In quell’anno donò al MOCA lavori di artisti operanti in California (tra i quali Robert Therrien, Lawrence Carroll, Gregory Mahoney) esposti, insieme al nucleo già acquisito, in occasione della mostra Panza: the legacy of a collector (1999-2000). Seguì l’offerta al Museo cantonale d’arte di Lugano di 200 opere postminimaliste e del monocromo, fino ai differenti percorsi di Barry X Ball, Roni Horn e Meg Webster.
Il 1996 segnò un evento decisivo: la donazione della villa di Biumo al FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) che incluse, oltre all’edificio e al parco, l’arte contemporanea (133 opere in seguito integrate), una parte della raccolta di arte extraeuropea, oggetti e arredi. Panza assicurò un accordo tra il FAI e il Guggenheim per promuovere una congiunta azione di tutela verso opere e ambienti di Flavin, Turrell, Irwin e Nordman e ideò nuovi allestimenti museali in vista dell’apertura al pubblico del 2000.
Il dono e la sistemazione della villa a casa-museo s’inserirono nella congiuntura storico-legislativa che favorì il ruolo di enti privati nella valorizzazione dei beni culturali. Questa nuova fase portò alla collaborazione con alcune istituzioni italiane che rese possibile il confronto tra architettura storica e arte contemporanea. La mostra presso il cinquecentesco Palazzo delle Albere di Trento (1996) anticipò il prestito (dal 1999 al 2006) al MART (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto). Con La percezione dello spazio (2001), presentò nel palazzo della Gran Guardia di Verona opere dalla seconda e terza collezione. Per il palazzo ducale di Sassuolo commissionò a sette artisti del monocromo lavori site-specific, donati nel 2005 allo Stato italiano. Nello stesso anno fu insignito della laurea honoris causa in architettura dall’Università della Svizzera Italiana di Mendrisio.
Dedicò gli ultimi anni a musealizzare la raccolta e ai relativi progetti espositivi: riunirono sue opere l’Albright-Knox Art Gallery di Buffalo (2007-2008), l’Hirshhorn Museum and sculpture garden di Washington, D.C. (2007-09) e il San Francisco Museum of modern art (2010).
Morì a Milano il 24 aprile 2010.
In occasione della mostra presso Ca’ Pesaro (2014) sono tornate per la prima volta in Italia dai musei americani opere della collezione idealmente riunita nei suoi tre filoni.
Panza è stato il principale collezionista nel panorama internazionale a raccogliere, esporre e documentare l’arte statunitense dal secondo dopoguerra. Svolse un ruolo decisivo nell’affermazione di tendenze emergenti presso pubblico e mercato dell’arte. La comprensione della sua eredità culturale non può prescindere da una valutazione dell’attività in ambito museografico e nella gestione di una raccolta d’arte. L’estesa produzione ne restituisce un ritratto di ampio respiro: da mecenate a curatore, da critico a committente.
Fonti e Bibl.: Le carte di Panza dal 1956 al 1990 sono conservate presso il Getty research institute di Los Angeles (Special collections) e, per gli anni seguenti, nell’Archivio Panza collection di Mendrisio; G. Panza, La pagina del collezionista, in I 4 Soli, IV (1957), 6, pp. 12 s.; Id., Environmental Art Museum, in Data, IV (1974), 12, pp. 28-33; Id., Ricordi di un collezionista, Milano 2006; G. e Giovanna Panza collezionisti. Conversazione con Philippe Ungar, Cinisello Balsamo 2012.
The Museum of contemporary art. The Panza Collection (catal.), a cura di J. Brown, Los Angeles 1985; Arte anni Sessanta e Settanta. Collezione Panza, prefazione di R. Koshalek, Milano 1987 (ed. integrata: Milano 1999); The legacy of a collector: The Panza di Biumo collection at the Museum of contemporary art, Los Angeles (catal.), a cura di C.H. Butler, Los Angeles 1999; Percepciones en transformación. La collección Panza en el Museo Guggenheim, Bilbao (catal.), a cura di G. Celant - S. Cross, New York - Bilbao 2000; G. P. di B.: dialoghi americani (catal.), a cura di G. Belli - E. Barisoni, Venezia 2014.